L’arte dell’ossidazione

Dopo una serie di incontri non propriamente piacevoli (alcuni dei quali racconterò in seguito) dovevo rinfrancarmi con il mondo, ed in tema di ossidazione mi sono tuffato nella “ruggine” aprendo uno straordinario Madera antico. Il Sercial old reserve Barbeito 10 years old dimorava nella mia cambusa da oltre un ventennio (cioè da quando per una settimana intera mi sono esclusivamente nutrito di liquidi relegato in un esilio paradisiaco sull’isola atlantica). Dal momento che questo blog (come già abbiamo detto) confidenziale non ha alcuna intenzione di essere una didascalica lezione da professorino, se qualcuno dei venticinque lettori è curioso di conoscere il metodo di produzione del Madera, se lo vada a studiare per conto proprio. Posso solo consigliare lui di abbinare alla lettura una fredda bottiglia di Sercial… vedremo poi se farà ancora quella faccia quando sentirà il termine “ossidazione”. Signori… il paradiso. Nei profumi di quel bicchiere puoi trovare di tutto: finezza da fioretto, intensità da pugile. L’uva passa vira al fico, cacao, tabacco (biondo). Una profondità da fossa delle Marianne. E poi perdendo un po’ di temperatura l’uva diventa spina e l’acidità ti avvolge l’olfatto. No… non sono ancora ubriaco! Ma le sensazioni si fondono confondendo i sensi. In bocca tagliente, misurato come un bisturi, infinito in persistenza. E tornano note agrumate imbevute di cioccolato amaro. Ma cosa fate ancora lì? Fra poco la bottiglia è finita.

d.c.



La felicità in un bicchiere ed in una bottiglia quasi finita… da solo!


Ai fondi del caffè preferisco la lettura di questi…

Come siamo diventati sofisticati…

Ma quanto tempo era che non aprivo un rosso della mia terra? Ossia un vino della denominazione Curtefranca, già denominata Terre di Franciacorta, già… Ma quanti sono i produttori che insistono su questa denominazione? Si sa di nobili produttori di bollicine che si pregiano di alcune etichette di Curtefranca rosso e bianco a prezzi borgognoni. Ma mi incuriosisce sapere se il “tipico” taglio bordolese bresciano ha ancora un mercato significativo fuori dai confini locali.

La Montina Curtefranca Rosso dei Dossi 2012, 12% vol. di alcool. Da uve Cabernet (le indicazioni dell’etichetta non aiutano a rilevarne la tipologia, credo però il più morbido sauvignon) e Merlot. 8 mesi di affinamento in barrique ed 1 anno di bottiglia prima di essere messo in commercio. Vino semplice e facile, di gran frutto rosso all’olfatto, piacevole seppur non intensissimo. Fresco e brillante nel cavo orale, con una bella acidità che aiuta la pulizia dello stesso, pur se abbinato ad un piatto ricco dì grassezza come i tipici salumi bresciani. Ma la caratteristica più rilevante è la vivacità, anzi la giovinezza di un vino che invece comincia ad avere già 4 autunni alle spalle. Bottiglia di assoluta economicità: 13 eur in ristorazione (meno di 7 su vendite on-line). Ma perché ci siamo dimenticati dei nostri rossi?

d.c.

Il dettaglio dell’etichetta.


La retroetichetta un po’ troppo sintetica.


La vividezza di un rosso rubino da paradigma nonostante i 4 autunni.

Rebo, vino da invecchiamento

Qualche anno fa dedicai un po’ di attenzione ai vini nati dal misterioso vitigno Rebo, incrocio tra Merlot e Teroldego creato nel dopoguerra nella straordinaria “scuola” di San Michele all’ Adige dagli studi di Rebo Rigotti. Più facilmente rintracciabile in Trentino, sperimentato presso le cantine del Benaco bresciano alla fine dei primi lustri del nuovo millennio. Risale ad allora la mia raccolta e le mie bevute…

Così come risale al 2008 la vendemmia dello splendido Rebo stappato oggi. Ancora IGT del Benaco bresciano, Singia (che a mia memoria topografica è indicazione della vigna), Cascina Belmonte in Muscoline, località Moniga del Bosco (siamo ancora nella valle del Chiese, la vista del lago è inibita pur essendo a poche centinaia di metri dalla sommità della collina morenica).  Generoso il volume alcolico (14,5%). Sorprendente la vivacità e la vitalità del vino nel nostro bicchiere. Di un bel rubino intenso, impenetrabile. Mi sarei aspettato pennellate granate se non aranciate, qui introvabili. Naso intenso e delicato, giocato su note nette di mirtillo e di polveroso cacao, ma su uno sfondo decisamente “smaltato”.  In bocca meno intenso che all’olfatto, ma la tenuta di un’acidità ferrea bilancia la componente alcolica mai invasiva.  Delizioso il ritorno cioccolatoso, che sostiene la persistenza a livelli da record di durata.

Chi l’avrebbe mai detto di una tenuta del tempo tanto granitica, mantenendo il prodotto non solo integro, ma probabilmente non ancora al culmine della propria evoluzione (tranquilli compari… ne ho ancora un esemplare in cantina!). Avvicinato in abbinamento al primo spiedo dell’anno, ne è uscito come regale e perfetto compagno.

d.c.


Analisi di un tappo perfetto.


Il dettaglio di un’etichetta a mio giudizio bellissima (ed oramai abbandonata esaminate le ultime release).


I dettagli in controetichetta.


L’intensità di colore.

90 punti? 

Ricordo quando il grandissimo sommelier e degustatore Luca Gardini assegnò al Valpolicella superiore 2011 di Roccolo Grassi il punteggio ricordato nel titolo.  Ieri ho avuto la fortuna di incontrare il 2012. Che grande vino! Naso intenso, una vera sferzata, con un complesso ventaglio di fiori e frutti rossi, accompagnagnati ai percettori da una colonna alcolica…alla vista la rossosità rubina è prova di una stabile giovinezza! In bocca l’entrata è potente e rotonda: la forza alcolica (14,5%) è anche qui veicolo non solo di calore ma di un frutto dolce e  scuro croccante che rimane di persistenza infinita. La giovinezza è ricordata da una freschezza che sorregge tutta la struttura e da una distinta nota di vinosità, nonostante i 4 autunni. Nessuna nota terziaria percepibile. Per i 90 punti… Non so! Ma di sicuro rimane la voglia di reincontrare questo 2012 fra qualche anno per goderne l’attesa evoluzione. Costo? Inferiore ai 20 euro.

Az. agricola Roccolo Grassi, Mezzane di Sotto (Vr).

d.c.

Tradizione o vetustà ?

La riflessione verso cui oggi voglio condurvi mi viene suggerita (suo malgrado) dall’assaggio di un vino semplice semplice: ho incontrato il Tramoser, un Venezie Bianco Igp dell’ azienda agricola Faccioli di Sona (Vr): vendemmia 2014. Da uve bianche (… Nulla più si ricava dalle schede tecniche sul vino recuperabili sul web… Mi gioco Garganega, Trebbiano e forse Trebbianino, ma scommetto su una quota di Pinot grigio) e lavorazione del mosto in acciaio. Evidentemente la denominazione è, come si diceva un tempo, “di ricaduta”, ma il prodotto è deboluccio: un bel giallo paglierino con chiari riflessi dorati, profumi per niente banali, con un bello spettro di complessità su note di frutta gialla matura ed una nota iodata però che sarà la fonte di tutti i miei dubbi. In bocca la cremosità dolce da crème brûlé sovrasta la spalla acida e sapidità e quella nota iodata già rintracciata dall’olfatto è per me sintomo di un processo degenerativo di ossidazione. Tutto il resto poi è calore apportato da una sostenuta dotazione di alcool (13%). Ricorda esattamente i vecchi vini vecchi da osteria… Ma è un 2014!!! Come pensare che la tecnologia di oggi porti a vini (destinati ad un mercato da “bottiglia”) di obbligato pronto consumo? La denominazione di ricaduta, anziché donare libertà e fantasia di produzione, dona ancora la libertà di scaricare i residui produttivi? Quale il mercato per questi prodotti, se non nell’ambito”localissimo” ?
d.c.

Bastasse l’ispirazione

Chissà dove nasce il Merlot in purezza Col Beato prodotto dall’azienda.agricola  La Sinta in Collebeato ? Nasce sotto il cappello normativo della I.G.P. Ronchi di Brescia, ma chissà dove è localizzato il vigneto? È una zona che credevo di conoscere palmo a palmo, non particolarmente nota per vigneti di prestigio, se non quelli impiantati sul colmo dei Campiani (dove trovano sede anche cantine di significativa valenza e che segna il confine orientale della Franciacorta) dove però non ho mai visto grappoli di Merlot…E poi non si sta parlando di un uvaggio qualsiasi: è chiaro che viene naturale pensare ad una ispirazione transalpina, ai carissimi e setosi vini del Pomerol, ovvero ai ben riusciti (perlomeno in termine di marketing) esperimenti toscani in ambito di IGT (oggi appunto IGP) Toscana. Ricordo però strabilianti Merlot svizzeri, piuttosto che verdi che più verdi non si può “merlottoni” dal grave triveneto. Vuoi vedere che oggi mi imbatto in qualcosa da ricordare? Il naso è pulito con una sensibile intensità: il frutto rosso è dolce, croccante. Nonostante la vendemmia sia una 2010, nessuna nota terpenica verde nè tantomeno attese note terziarie: bene! Un vino vivo e fresco! L’impressione è notevole! È tutto declinato nella semplicità, ma già queste caratteristiche fanno attendere un grande prodotto. Ed invece il sogno si spegne in bocca: la struttura è unicamente giocata su una acidità spiccata, forse di natura tartarica, ma troppo invasiva e coprente una prugna anch’essa qui immatura. Tutta quella bella intensità all’olfatto, delusa da una totale inconsistenza al gusto ed ad un calore alcoolico completamente slegato da tutto il resto. Bottiglia destinata all’esportazione in USA. 13,5% il volume alcolometrico. Forse da rivedere su vendemmia più recente.

d.c.

A la prochaine fois mes amis… Cuvée N.F.

Era da tempo che non infilavo una serie (continua) di tanti vini e di tale qualità: dopo l’esperienza mistica della Cuvée Rosa (di cui ci siamo completamente innamorati) perché non concludere il nostro viaggio con una delle bandiere della maison Billecart-Salmon, con la sua espressione maschile: Cuvée Nicolas Francois Billecart, anno domini 2000. Da uve Pinot noir e Chardonnay provenienti esclusivamente da vigneti classificati Grand Cru, anche se il produttore non ne riporta mai la menzione, evidente consapevolezza della grandezza del prodotto. All’olfatto è di ampia complessità: apre su note grasse, opulente, quasi burrose per defilarsi su pennellate fruttate a polpa gialla e secca. In bocca il vino entra tagliente, compatto, un puro fendente sulle papille linguali, per poi addolcirsi prima su note fruttate e poi morire con una persistenza impressionante su ricordi d’agrumi, su tutti un distinto bergamotto. Abbinabile a tutto, anche solo alla vita… A la prochaine fois, Monsieur NF!

d.c.

Asso pigliatutto…

E chi si ferma più ? Chiudo (ma sarà poi vero?) la serie di Rosé incontrati in questi ultimi giorni, e prontamente raccontativi, con un vino incredibile, magico, una vera meraviglia del creato: Cuvée Elisabeth Salmon Brut Rosé 2002 prodotto in onore della fondatrice da parte della maison di Mareuil sur Ay Billecart-Salmon: processo di tirage dall’ assemblaggio di vini singolarmente prodotti da uve chardonnay da una parte e da uve di pinot noir dall’altra. Eleganza strabiliante nel bicchiere con la brillantezza di un profondo rosa salmone. Ma fra tutte le caratteristiche sono i profumi a rendere estasiati: non ricordo tanta complessità in uno Champagne… Rosa, peonia, fragoline di bosco, una croccante pasticceria, un intera cassetta di agrumi ed infine mi sembra di scorgere un’affascinante nota “silicea”. Al palato tagliente ed avvolgente: il primo impatto è di assoluta freschezza, poi il frutto rosso ed una ribadita fragolina permea il palato, per chiudere con una persistenza sapida infinita. Un vino da sogno, ora abbinato ad un altrettanto onirico plateau di crostacei… Obiettivamente poco accessibile dal punto di vista economico, la bottiglia diventa oggetto di esclusività e di privilegio per i fortunati presenti.
d.c.

Una storia incantata: il tempo ne svelerà la bellezza, la profondità e i dettagli.

È evidentemente un’ impressione esclusivamente personale, ma nessun vino in territorio italico mi riesce a trasmettere un senso di perizia e di “saper fare” come i vini di Langa. E non può essere diverso per questo meraviglioso Barbera d’ Alba Superiore 2013 dell’ Az.agr. G.D. Vajra di Barolo. Ciò che riporto nel titolo è recitato poeticamente nella contro etichetta, e pur essendo puro marketing condiziona fin da subito l’avventizio degustatore, perché pare fin dal primo sorso drammaticamente vero. Equilibrio e profondità: questo sono le note da taccuino dei ricordi. Il vino ti avvolge nel suo velluto e ti trascina nella sua profondità, raccontandoti di colline brumose, di canuti cantinieri pazienti, di orizzonti amati. 

d.c.

Si fa presto a dire Custoza!

Abituato a vini leggeri, beverini, a volte troppo spesso anche banali prodotti all’interno della denominazione veronese di Custoza, ma indubbiamente incuriosito dai recenti successi per cosí dire…”editoriali”, quest’oggi ho fatto il mio piacevole incontro con l’ “Amedeo” de l’Azienda Agricola Cavalchina: vendemmia 2015, un Custoza doc Superiore con 13,5 % di titolo alcolometrico e tante tante cose da raccontare. Prodotto da uve Garganega, Fernanda (in premio un bicchiere pieno a chi ne conosce l’esistenza), Trebbiano e Trebbianino. Luminosissimo alla vista, elegante all’olfattazione con note di frutta gialla, frutta secca ed un piacevole “verde” falciato, non troppo invasivo. Struttura acida imponente, tale da camuffare con estrema facilità la nota alcolica che affiora con un senso di rotondità solo nella retrolfattazione. Qui piacevole uscita con un cenno di nota amarognola, dissetante e che invita al prossimo assaggio. Risultato? Il pomeriggio era caldo ma le due bottiglie sono volate via con una velocità impressionante! Da provare. Ma allora, ogni tanto, le guide ci beccano…

Per i due amici curiosi di mia conoscenza rivolgersi a Tito, per gli altri venticinque lettori a: Az.agr.Cavalchina di Giulietto Piona viticoltore a Custoza di Sommacampagna.

d.c.