Meyer Fonné , Pinot Blanc Vieilles Vignes 2015. Vin d’Alsace.

Brillante, fresco, semplice, ma inneggiante alla beva, mai complessa o impegnata, ma non per questo non piacevole o appagante. Olfatto di floreale finezza, palato di conturbante leggerezza. Questo l’indelebile parte del ricordo. Ahinoi da dimenticare la vena artistica del fotografo, poco impegnato nel ritratto della testimonianza.

d.c.



Straordinario invece il ricordo del risotto che ha accompagnato il sacrificio della bottiglia: risotto al Castelmagno con nocciole delle Langhe e battuta di fassona piemontese. Il tutto servito qui…

Pietra Brox 2015- Tenuta Giardini Arimei.

Alla vista una presunzione di leggera ossidazione, visto il giallo carico, quasi dorato, con cui si presenta nel bicchiere. Forse gli effetti di una vendemmia un po’ avanzata. Ma invece i profumi sono lievi e floreali, su una nota salmastra. Entra pulito nel cavo orale, senza eccessi, sia per acidità che per alcolicità, entrambe sempre misurate. Persistenza indotta da una base di sapidità, cifra della tessitura di tutta la degustazione.

Da vitigno Biancolella. Ischia Doc. Cantina appartenente alla Galassia Muratori.

d.c.


La retroetichetta.


Il tappo di sughero ad alta tecnologia.


Il giallo oro che un po’ mi ha confuso…

Andata e… ritorno.

Ripassaggio sulla Cantina Giorgi, con un prodotto, questa volta, similissimo ad uno già qui recensito un paio di mesi orsono: Pinot nero in Dosaggio Zero denominato Top Zero ma qui nella sua versione Vigna La Sacca ( e con cambio cromatico dell’etichetta…). Sboccatura leggermente più datata del precedente (dicembre 2015), prodotto fotocopia nelle sue caratteristiche principali, se non per una personale percezione di maggiore gioventù, o forse minore maturità, ed una spiccata nota olfattiva di rusticità, che non ho particolarmente apprezzato. Vino per il resto caratterizzato da puntuale correttezza e da una “leggerezza” che evidentemente ne rappresenta la cifra stilistica. Come alla visita di leva: rivedibile.

d.c.

Come nella precedente esperienza l’unico accenno al “cru” nel bollino sovrastante l’etichetta.


La retroetichetta: tutte le informazioni sono puntuali, ne rivedrei la veste grafica.


Tappo, perfetto e di alta qualità.


Miscellanea per la fine di un anno bisesto e per l’inizio di un altro con il 17

Esagerato, si è esagerato! Scrivere un post per ogni vino degustato/bevuto/strapazzato, impossibile! Ci saremmo trovati obbligati a farci offrire subito una cena dal nostro amministratore, cena promessa al raggiungimento del centesimo articolo…

E per cui la scelta di ricordare; di ricordarli tutti, o quasi tutti; sicuramente tutti quelli significativi.

Natale, il pranzo di Natale, all’insegna di una scelta locale e modesta, ma non per questo priva di dignità… Chardonnay, semplice e profumato, Pinot nero, rustico e leggero, delle colline dell’estremo confine franciacortino: per cui il bianco ha potuto fregiarsi della denominazione, mentre il rosso è ricaduto nell’IGP Sebino. Siamo nell’Osteria del Maestrì ed a tavola ci sono i loro vini.


L’avevo già incontrato nel corso del passato anno (bisestile), l’ho voluto fortemente ritrovare prima che il bisesto finisse: e come nel primo incontro, è stato amore viscerale per l’intima eleganza, non solo della sua veste, e per la sua profondità pur mantenendo una semplicità di beva impressionante.




Di corsa… di corsa… ne è rimasto solo il ricordo di una bottiglia finita. Semplice, mi permetterei di definirlo commerciale, ma preciso, pulito, elegante.

Uguale sorte, il pomeriggio seguente per il fratello maggiore: ed in quanto maggiore ha mostrato tutta la sua forza ed i suoi muscoli. Non ne conoscevo le caratteristiche, ne temevo la deriva commerciale, che in realtà non c’è: il vino è intenso, vibrante, emozionante, vero.

Tagliente come una lama. Peccato un ricordo fotografico incerto, ma non il vino apparso alle mie papille straordinario; persistenza di frutta gialla che mi rimane impressionata nella mente a giorni di distanza.


Era tanto che non bevevo un Prosecco tanto interessante. Dolce ma gradevolissimo, di beva immediata e mai paga. Il limitato tenore alcolico ne ha concesso un consumo un po’ fuori “ordinanza”.



Siamo tornati sull’Oger con un Blanc de Blancs molto diverso dal precedente Vergnon:  a parte il fatto che trattavasi, come oramai al solito, di una bottiglia dimenticata, la cuvée non ha mostrato alcun segno di ossidazione. Anzi rimarrà nella mia memoria impressa per la regale speziatura e per un particolarissima nota di polvere di caffè al naso, così straordinaria quanto unica.


Dieci anni e non sentirli! Struttura inscalfibile, acidità misurata e pungente, tannino setoso: qui però ho capito perchè il sangiovese grosso viene chiamato dalle parti di Montepulciano “prugnolo gentile”, l’olfatto è variegato su note di prugna croccante o disidratata come mai mi era riuscito di osservare nei precedenti incontri con questo nobile produttore.


Non ho dubbi! Il RE!!! Il RE di tutto il 2016, ma forse di tutto l’ultimo lustro. Ritengo ingiusto trovare parole per descrivere un vero miracolo: è un capolavoro rinascimentale, un paradigma. 


Una leggera ossidazione, ma non tale da compromettere fragranza ed eleganza di un vino che mostra interessante struttura e notevole complessità. Giunto però al suo culmine e probabilmente sofferente sboccature datate (non ne conosco però la conservazione del campione “magnum” incontrato).


Un altro Blanc de Blancs, un’altra zona (Avize), un vino grande ed ancora diverso: sa di antico, con note di frutta matura e lontana affumicatura di un legno nobile e leggermente vanigliato. Di persistenza impressionante, capace di accompagnare a tutto pasto forse qualsiasi piatto.



Cosa vi raccontavo tempo fa del Pinot Grigio? Beh… lo ribadisco con forza! Alla vista il sospetto di ossidazione, visto il giallo dorato carico con cui è sceso nel bicchiere. Ma i profumi sono puliti, netti, di una fruttuosità esuberante. Al palato l’acidità ha ceduto un po’ il passo ad un alcool intenibile. Io non posso essere obiettivo, ma lui è parso anche a tutti i miei commensali grandissimo.


E per cui… era necessario ributtarsi immediatamente su qualcosa che celebrasse degnamente una delle più importanti cantine goriziane. Vino di 5 anni, ma sembrava di perdersi tra un campo fiorito ed un frutteto maturo. Oblio spettacolare.

Rimasti nel nostro italico nord est, ecco lo sbiadito ricordo di una grande uvaggio: sbiadito nel riflesso fotografico e nella nostra memoria, aggredita dall’alcool della (forse) decima bottiglia della serata. La mano tremolante ne è certamente testimonianza!


Borgogna, magica Borgogna! Nulla come la Borgogna. Sia che tu incontri un vino semplice, anche con qualche difetto (ossidativo) sia che tu intacchi il limite del tuo affidamento in banca, sfidando (perchè di sfida si tratta!) bottiglie con qualche zero prima della virgola. La profondità dello Chardonnay borgognone potrebbe essere assimilato ad un trattato teologico, ma la cui conclusione si definisca esclusivamente con un pavor numi…



Ne conservo in cantina decine di bottiglie, convito, come sono, che trattasi di uno dei Barbaresco più veri e fragranti, senza necessariamente dover contrarre tutte le volte un finanziamento. E nel tempo mi sono convinto che come tutti i Barbaresco (grandi) solo il tempo è capace di levigare la dura pietra del nebbiolo, perchè di anno in anno le bottiglie che apro sono sempre più buone. Chissà i prossimi magnum?


Non fa quasi più notizia scolarsi per merenda un noto prodotto di una grande maison. Preoccupante!…


….Se poi la merenda richiede il rinforzo… c’è qualcosa che non va!

E perchè non ricordare l’ultimo? Semplice semplice, facile facile. Nonostante una sboccatura non recentissima (188/14 ?) un prodotto integro, giovane, di estrema fragranza e riconoscibilità: non un grande Franciacorta, ma indubbiamente un Franciacorta!

d.c. (Che adesso per qualche giorno deve dedicarsi ad una dieta a base di un liquido poco nobile incolore, inodore ed insapore…)

Tour de force

Non riuscirò questa volta a raccontare tutto: la quantità di incontri di questi giorni, che ci porterà a bere in poche settimane un numero di bottiglie superiore a quello che normalmente apriamo in sei mesi, e soprattuto l’assenza di un approccio professionale che esige di registrare con doviziosità tutti i dettagli, implicherà un po’ di superficialità nell’aggiornamento del nostro blog dei ricordi.

Contrariamente alle mie abitudini (che mi portano a dimenticare le bottiglie a maturare in cantina) e soprattutto incuriosito dai giudizi di una guida nazionale, mi sono approcciato ad una bottiglia dalla recentissima sboccatura.

Metodo classico, non dosato, da sole uve di pinot nero, proveniente da una sola vigna, da Canneto Pavese in Oltrepo. Cantina Giorgi. Sboccatura marzo 2016.

E la giovinezza del vino viene rappresentata in tutti gli aspetti dell’analisi organolettica: giallo brillante nel bicchiere, ma estremamente scarico. Perlato da bollicine fitte e abbastanza intense, di grandezza non minuscola. Olfatto tenue, delicato, nettamente impostato su freschi agrumi, su tutti un mandarino e forse anche pompelmo. Entra nel cavo orale secchissimo, ma non tagliente come mi sarei atteso: anche al palato la sensazione principale è la lievità. Piacevole la chiusura retronasale che ricorda l’ananas, leggeremente addolcito. Fintamente con poca struttura: in realtà il vino, che probabilmente è stato pensato non muscoloso e senza eccessi, trova nel suo equilibrio generale e nella sua leggerezza la sua assoluta beltà.

d.c.


Bottiglia esclusiva per la cantina. Di forma elegante, ma non ho apprezzato qualità grafica e tipologia delle etichette.


Retroetichetta, con poche informazioni.


Analisi visiva.


Il tappo, esclusivo e di ottima qualità, nonchè perfetto.


L’unico elemento, oltre al colore dell’etichetta, che contraddistingue la specifica vigna: forse avrebbe meritato più spazio…

Canicola al solstizio d’inverno

Già alla vista comincia ad affascinare: troppo giallo per passare inosservato. All’olfatto vieni rapito da una profonda mineralità: troppo elegante per un vino base vinificato in cemento! Ed invece è proprio così: promosso a pieni voti al primo occasionale incontro! Porta dentro l’estate questo verdicchio, e la porta con una fierezza da premium wine. Tutto risulta nella misura, ed infatti è l’equilibrio l’elemento che più spaventa. L’olfatto spazia dalla frutta gialla al fieno ed alle erbe aromatiche, arieggiando in un solco decisamente materico e minerale, quasi di selce. In bocca l’abbraccio tra la freschezza acida ed il calore alcolico è da applausi. Netto, pulito ed anche qui minerale.Tutto è nella giusta misura per ammaliare al primo sorso. E tutto a meno di 10 eur…

Verdicchio dei Castelli di Jesi doc, 2015…di Gino…Fattoria San Lorenzo, Montecarotto (AN).

d.c.


Il morso della vipera

Per molti anni è stato considerato uno dei più importanti vini bianchi d’Italia, fratello, non proprio minore, del celeberrimo Cervaro della Sala. Il Conte della Vipera viene prodotto da uve sauvignon blanc, con una minima quota di chardonnay. Oggi annata 2006, con tanta aspettativa di cogliere la franchezza di un grande vino, oramai maturo.

Ed invece.. AAAAAAHHHHH…. la rottura del tappo! In fase di stappatura il tappo è propriamente esploso in due parti. Considero l’evento al pari di una sventura, la punizione di qualche divinità. Chissà chi mai ho offeso…

Necessario operare, prima della degustazione, travasi e filtraggi per eliminare i residui di sughero, con l’umore che progressivamente si incupiva.

Il vino era comunque perfetto! Alla vista il giallo era ancora su note paglierine, solo leggeremente carico, privo di attese venature dorate. L’olfatto, per quanto non intensissimo, integro e nettamente costruito su nuances di frutta gialla a polpa acida come un ananas ovvero di agrume, ma più mandarino che arancia. Poi una bellissima foglia aromatica, forse una salvia ed un più caratterizzante dragoncello. In bocca la tenuta della freschezza comincia a lasciare il passo alla componente alcolica, contenuta in valore assoluto, ma rotonda ed ammorbidente il palato. Tale rotondità aiuta a far ritornare aromi retronasali sempre di frutta, qui però sciroppata o sotto spirito.

Chissà come avrebbe coinvolto il mio oblio senza la sventura!

Conte della Vipera 2006, Umbria IGT, Marchesi Antinori.

d.c.




Vino puro

Origini umili, di estrema profondità non solo geografica, ma soprattutto nella storia per questa verdeca salentina. Amo questa cantina per i rosati, ma mi avvicinai a loro proprio tramite il loro vino bianco, accostamento ed abbinamento ideale alle ittiche crudità del tacco d’Italia. La breve permanenza del mosto sulle bucce, pur non facendo calare minimamente l’imponente acidità, estrae dalle stesse un potentissimo bagaglio di profumi: molto giallo l’olfatto, con frutti maturi, dalla sensazione quasi dolce, ma accompagnato da una leggera falciatura di erbe estive. Ma in bocca questa maturità viene immediatamente smentita, inquadrata dalla durezza dell’acidità rinfrescante; solo in chiusura una concessione di leggero calore che ammorbidisce il palato e lo appaga.

Mière, Bianco, Salento IGP, vendemmia 2014. 12,5% volume alcolico. Michele Calò & Figli, Lecce.

d.c.


Un’etichetta tutta da leggere.


Ricercatezza ed eleganza anche nella capsula.


E dove è tutto il sole del Salento?  Giallo paglierino carico, ma mai “dorato”.


La perfezione del tappo, realizzato con sughero ad alta densità.

Senza compromessi

Quale stupefacente incontro questo pomeriggio: non solo un vino, ma probabilmente anche il suo produttore, comparso e scomparso al nostro cospetto quasi al sussurro epicupereo del “vivi nascosto”. Da uve, lo pronuncerò in modo classico, di tocai friulano, in un vigneto di meno di mezzo ettaro, allevato in biologico con impianto a sylvoz con sesto d’impianto di discreta densità di piante (3.000 per ettaro, e non essendo neanche mezzo ettaro…) di età matura (30 anni). Vinificazione estrema, con fermentazione spontanea, malolattica e affinamento sulle fecce per 8 mesi in recipienti di acciaio chiuso. E tutto questo non si vede (il vino è di un brillante giallo paglierino) ma si sente! Alle tipiche ed uniche  note varietali del tocai, si staglia su tutti una leggera nota smaltata e soprattutto di… candela, cera da candela. Affascinate! Scaldandosi poi affiora tenuemente un’erba aromatica, una foglia di salvia fresca. In bocca è rapido, snello, pulito. Estremamente scorrevole, con un corpo non impegnativo, sorretto da un’acidità pulente. Chiusura su classica nota ammandorlata.

Borc Sandrigo, Denis Montanari, Villa Vicentina (UD). 3.900 bottiglie.

d.c.


La bottiglia non sono riuscito a fotografarla, ma il tappo me lo sono portato via!

Valzer viennese

Pararara rra pa ppa pa ppa… ma come avrà fatto a finire nella mia cantina questo vino? In realtà siamo lontani da Vienna, bensì nella vocatissima e bellissima area lacustre del Neusiedlersee. Pinot noir del 2005 (e nella mia cantina quindi è sufficientemente giovane…): tappo a vite! Beh la curiosità della tenuta del vino è tanta, troppo per resistere alla stappatura.

Ed il vino è assolutamente integro: ha iniziato la sua fase di maturità, ma non vi sono note nè di vecchiaia nè di pronunciata ossidazione. Alla vista il rosso rubino domina, con la tipica trasparenza del Pinot nero, ma con accennate pennellate granate. E l’olfatto, poco intenso, si declina ancora su note floreali e di piccoli frutti rossi; solo dopo una decisa ossigenazione appare un elegante cuoio. Fresco in bocca, molto scorrevole, persistenza appena accennata su note di frutta scura disidratata. Sensazione alcolica minimamente percepita. Nella retroetichetta si viene invitati ad una degustazione a temperature limitate a 13-15 gradi, e così ho fatto (15 gradi).

Ulteriore sorpresa otto ore più tardi, quando le poche dita rimaste dal pranzo sono state definitivamente sacrificate. Fuori temperatura consigliata, molto più vicina ai 20 gradi.Le caratteristiche visive sono le stesse, ma ora i profumi sono molto, molto più intensi, pur non avendo modificato il registro della gamma pomeridiana. Anche in bocca identico.

d.c.

Bottiglia regale.


I dettagli dell’etichetta.


… ed un romanzo nella retroetichetta.


Tappo a vite (in realtà durissimo all’apertura, tanto da necessitare di una lametta).


Bandiera ed orgoglio austriaco.


Vi sembra un colore ossidato?



Per chi non avesse capito per 11 anni il vino ha avuto questa protezione…nulla!