Riesling (Italico) 2015, Benaco Bresciano Igt, Pratello.

Ricordo, qualche settimana orsono, come il nostro ottimo D.T. si lamentasse del fatto che in O.P. spiantassero Riesling italico (proprio laddove è storicizzata la maggiore tradizione) per sostituirlo con il più evocativo (ma non nostro!) renano. Io però rimembravo un “italico”  coltivato sulle colline moreniche di Padenghe sul Garda, e finalmente, l’altro giorno, ne ho aperto anche una bottiglia. Non solo Riesling Italico, ma anche biologico: anzi la cantina, Az. agr. Pratello, si è autoimposta un disciplinare di vinificazione ancor più severo ( e di molto) rispetto a quanto previsto dalla certificazione biologica. Per questo Vi invito a visitare il bel sito internet ricordato nella retroetichetta.

Indubbiamente verdognolo e luminoso nel bicchiere; affascina la varietà di erbe di campo, balsamiche, dragoncello godibile all’olfatto, mentre entra con sostenuta acidità nel cavo orale, ma non quanto le attese. Pulito, scorrevole, mai impegnativo, lascia una piacevole sensazione “citroneggiante”. Ne ho una bottiglia vendemmia 2014 in cantina: credo che ne sfiderò le doti di invecchiamento.

d.c.


Qui dietro trovate tutto quello che Vi serve!

Il Pinot nero che non ti aspetti… Nero Outsider 2001, Umbria IGT, Arnaldo Caprai.

Non è da tutti i giorni l’avvicinarsi ad un vino del 2001, ma quando questo rappresenta la 464 bottiglia, in formato magnum, di 560, l’accadimento assume le caratteristiche del privilegio!

Certo che il Pinot Nero di questo Outsider è quantomeno poco decifrabile. La tipica trasparenza dei Pinot borgognoni, ma anche altoatesini o oltrepadani, qui è declinata a tendenze somiglianti all’ inchiostro. Del vitigno nobile dell’OltrePo ne ricorda il frutto intenso, croccante: ne stupisce qui però la fragranza e la freschezza nonostante gli anni di riduzione, sebbene in grande formato. Al mio olfatto e palato però non immediatamente identificato, tanto da averlo confuso in maniera imbarazzante. Poi però nessuna coda di pavone, nessuna attesa variazione nel bicchiere. Rimane, senza perdersi mai, muscolosamente ancorato alle note rosse del frutto, sempre pulito, ma fin troppo monocorde. Bella però la retrolfattazione, calorosa e composta, che concede una persistenza nobile. L’impressione è che il vino abbia ancora la possibilità di maturare ( e forse anche migliorare) per alcuni anni.

d.c.

Fronte (prima) Retro (a seguire).

Ma dove stanno andando in Franciacorta con il Satèn?

Per onestà intellettuale devo ammettere che il mio giudizio non potrà mai essere oggettivo: non sono mai stato amante dei Satèn, fin da quando la Franciacorta ne aveva quasi fatto commercialmente il vino di punta. Mi è capitato nell’ultima settimana di incontrarne tre, e tutti tre mi sono sembrati di impostazione identica. Qui mi toccherà penalizzare  una cantina (ahimè anche cara, e di cui ho già parlato bene in passato), solo perchè ho conservato le fotografie della vittima, ma state pur certi che recupero anche le altre…

Armonia Satèn di Le Cantorie, DOCG, 13% volume alcolico, sboccatura tardo 2016. Scende nel bicchiere con un bel colore giallo paglierino carico, di perlage non intensissimo e bollicine non propriamente “spilloformi”. Profumi per nulla intensi, seppur fini, ma giocati solo su note di frutta gialla matura (banana ed ananas su tutte), segno di uno chardonnay già maturo sulla pianta. In bocca entra con sufficiente freschezza, che però, non sorretta dalla carbonica, lascia velocemente lo spazio ad una nota dolce, fruttata ma intensamente dolciastra (temo che saremo sopra i 10 gr/litro), che permea il cavo orale peraltro avviluppato da una decisa sensazione di calore. Vino facile, troppo facile, quasi scadente nel banale…

Che si stia strizzando un po’ troppo l’occhiolino al modello Prosecco? 

d.c.

Elegantissima etichetta…


… e controetichetta.


Panorama.

Pecorino IGP Terre di Chieti 2016. Belisario.

Cantina a me sinceramente nota solo per i meravigliosi Verdicchio di Matelica, dalla capacità d’invecchiamento mirabolante (trattengo in cantina ancora vendemmie ante 2005, la cui stappatura rappresenta sempre un piccolo sacrificio) sono incappato qualche giorno fa in un curioso Pecorino prodotto da Belisario: curioso perchè credevo il Pecorino originario di qualche parallelo più a sud di Matelica, più verso al Gran Sasso che ai Sibilini…

In realtà le sfuocate fotografie qualche indizio ce lo rilasciano: IGP Terre di Chieti (… si si siamo più a sud!). Ma per comprendere l’arcano è necessario visitare il sito internet della cantina che ci svela la provenienza delle uve prodotte da una consorella (cooperativa) teatina. Quello che in realtà più sorprende visionando il sito è il prezzo di spaventevole economicità (eur 4,50!!!) per un vino piacevolissimo, sicuramente poco conosciuto, ma che potrebbe far impallidire la vanagloria di molti vini bianchi diffusi lungo l’italico scarpone: il 2016 appare invitante alla beva già mentre scende nel bicchiere, giallo paglierino con diffusi riflessi verdi; verde che torna all’olfatto in un susseguirsi di profumi di erba sfalciata, fiori bianchi e qualche erba aromatica. Entra nel cavo orale con una acidità sferzante, pulente, per poi affievolirsi e dare spazio ad una sapidità che si struttura in persistenza. Ne godi della sua leggerezza, e hai bisogno immediatamente di un altro calice…

d.c.

… mai più chimica per dormire!… io voglio solo “vino logico”!

Vero Editore? Un po’ principiava l’ossidazione…

Che la bottiglia fosse nobile, non v’eran dubbi: non tanto per blasone o prezzo, ma sicuramente per la sua esclusività! Uno Champagne 2005 direttamente proveniente dalle “marne” di Bouzy a firma del RM Alain Vasselle: 85% Pinot noir e complemento con Chardonnay.  Scende nel bicchiere con veste d’oro antico, perlage impercettibile alla vista. Profumi che cambiano di attimo in attimo, migliorando in complessità acquisendo la temperatura ambientale: e c’è di tutto, senza grande intensità, ma la finezza espressiva è massima, variegando dalla frutta gialla in maturazione, all’agrume candito, a note ferruginose, fino a complessità speziate tipiche di una elegante parfumerie. Entra deciso nel cavo orale sostenuto da ferma acidità ed una progressiva sapidità crescente; torna la frutta gialla matura e….. ed una nota di miele d’acacia dolcissima. Messieurs, Les jeux sont faits! Siamo arrivati appena in tempo, per godere di quell’olfatto miracoloso. Au revoir. 

d.c.


Monsieur Vesselle era stato onesto, quando consigliava di consumarlo dopo 5 anni dall’imbottigliamento…


Dove sta andando la denominazione Custoza?

La risposta è: BOH?

Questo è ciò che mi porto a casa dall’interessantissima degustazione avvenuta lunedi 03 luglio presso la sede dell’Associazione Italiana Sommelier delegazione di Brescia. L’interesse poggiava sul fatto che dovevo risolvere un pensiero conflittuale: abituato a bere vini bianchi (perchè il Custoza doc non è altro che l’antico Bianco di Custoza doc!) di pronta beva ed immediato consumo,  negli ultimi due anni mi ero imbattuto in campioni tutt’altro che banali, anzi di rilevante qualità e spessore espressivo (vedasi anche precedenti post di W.T.B.).  E naturalmente W.T.B. era presente quasi al gran completo per Voi, esimi lettori, ma soprattutto per noi al fine di godere del piacere dell’amicizia e magari anche del vino…


Otto i vini presenti, non uno uguale all’altro! Ha fatto del suo meglio l’esperto relatore ( ndr Costantino Gabardi per il quale nutro il naturale affetto dovuto dal mio essere un nostalgico ed ancora convintissimo porthosiano, peraltro dalle origini), ahimè professionalmente coinvolto nel difendere una serie di vini nè espressione di una linea produttiva nè tantomeno di un terroir impossibile da identificare in cotante distonie.

I primi due campioni (Summa Custoza Superiore) prodotti dalla stessa mano (Gorgo) in due vendemmie differenti (2015 e 2014) appaiono come Iside ed Osiride: olfatto finissimo il primo, elegante e raffinato. Note di frutta fresca gialla e agrumi canditi. In bocca leggero, troppo leggero e sfuggevole. Addirittura una iniziale nota di carbonica, segno di una fermentazione affrettata e non completamente conclusa (si dice che qui il Trebbiano è in quota minimale, ma è tipicamente il Trebbiano a fare questi scherzi…). Residuo zuccherino non irrilevante.  Che dire poi del seguente 2014 surmaturato, giallo oro, intriso al naso ed in bocca da un invasivo e fastidioso zafferano. Stessa etichetta, ma un vino sembra nato ai piedi delle Alpi e l’altro vendemmiato tardivamente in Sicilia. Capisco che sia la natura a comandare, ma un minimo di traccia del governo di cantina mi piacerebbe ritrovarla nel bicchiere…

Già noto al mio palato, e meritevole di positivi ricordi l’Amedeo di Cavalchina, qui nella sua vendemmia 2013. Già incontrato qui nel nostro diario almeno un paio di volte: una volta a firma mia ed una volta a firma di D.T. Il mio incontro estivo però era con un campione a tappo a sughero, mentre ieri sera con tappo Stelvin. Forse il sughero è destinato alla versione Superiore, che ne è Superiore anche in qualità generale ( e non poco). Qui olfatto sbarazzino, ben fruttato, preciso. In bocca non “finito”, scappa via senza persistenza, ritorna il ricordo del vino di tutti i giorni.

Di ben altra attrattiva l’olfatto del Vigne di San Pietro 2013: un godibilissimo potpourry di erbe aromatiche, una nota balsamica affascinante, un palato leggero ma preciso. Anche questo di persistenza un po’ deludente, ma quell’olfatto variegato e complesso aiuta a perdonare.

Tanta l’attesa che riponevo sul Piona, soprattutto nella versione SP 2013 (leggasi Selezione Personale): olfatto extra maturo con una iniziale nota di sciroppo medicinale e poi tanto, troppo zafferano (ma i nostri cugini d’oltralpe non lo consideravano un difetto?); anche qui carbonica al palato! Non ci siamo! 2012 Campo del Selese, sicuramente meglio, nella sua semplicità (ma complessivamente corretto), ma anche qui mano e cifra stilistica completamente differente dal 2013.

Le Vigne San Pietro 2005 pur in assenza di ossidazione, nonostante i 12 anni di riduzione in bottiglia, ed una polpa integra e matura non convince, donando sensazioni sia al naso che in bocca monotone.

Infine estremamente interessante il non ancora commercializzato Rabitta di Cavalchina (il 2015 non vedrà mai la vendita): finalmente si legge un progetto anche in prospettiva commerciale: mineralità friulane, olfatto verde ed agrumato, che un po’ strizza l’occhio al modello Lugana; di certo la depressione dei prezzi del Custoza rispetto ai vicini deve essere utilizzata come leva di competitività. Unico neo? Di nuovo una totale distonia identificativa con gli altri prodotti.

Peggio per voi, invidiosi!  Noi ci siamo goduti otto calici e tanta, tanta amicizia!

d.c.

Ancenstrali’s Karma

In una fase storica (commerciale) ove va tanto di moda invocare il metodo “ancestrale” nel processo di spumantizzazione, io ho incontrato un vignaiolo (anzi una vignaiola) che mi ha risposto: “ma io l’ho sempre fatto così!” E non potrebbe essere diversamente per la Fattoria Cabanon, che ha fatto del simbiontico rispetto del ciclo della natura la propria filosofia di vita.

Più conosciuta per i meravigliosi rossi prodotti, comincio l’avvicinamento delle nostre chiacchiere via web alla cantina, con il vino più strano della loro poliedrica produzione.

Scende nel bicchiere vestito di un giallo carico maturo (gli ultimi bicchieri persino velati dalla massiccia presenza delle proprie fecce);  i profumi sono semplici, elementari, sa assolutamente di uva, pur non riconoscendo alcuno dei  vitigni costituenti l’assemblaggio (Pinot grigio, Sauvignon e Chardonnay), poi sensazioni di litchi bianco. E’ semplice anche al palato, di struttura leggera, ed è proprio questa leggerezza l’elemento di equilibrio tra un’acidità che non si svela mai (ma presente anche se corroborata da una effervescenza solo residuale)  ed una rotondità alcoolica che ritorna con aromi di frutta gialla matura. Lascia nella degustazione un’impronta antica.

d.c.

L’etichetta.

Visione di insieme.

La retroetichetta con i dettagli del progetto.

Panorama.

Ribolla gialla 2012, Collavini.

Una ribolla gialla vinificata con metodo classico?  L’unica ribolla gialla ? Ero rimasto troppo appeso alla curiosità dopo aver sentito una mirabolante recensione durante una puntata di Decanter a Radio2. E quasi casualmente ho rintracciato una bottiglia del millesimo 2012, con sboccatura 2016 (quindi a maturità del prodotto al culmine).

Scende nel bicchiere in una bella veste giallo carico. Perlage di una certa finezza e persistenza. Deludente per intensità e spettro olfattivo, estremamente tenue e timido, incapace di contraddistinguersi per note aromatiche. Si rifà al palato con una buona incisività e pulizia, piena di frutto giallo. Di buona persistenza e chiusura fruttata senza note amaricanti. Non rimarrà, nonostante i redazionali ascoltati, nei miei ricordi più limpidi…

d.c.

La grafica dell’etichetta è nobile.


Complete anche le informazioni della retroetichetta

Panorama…

Cuvée 600uno, Concilio spa, Trento doc.

Ma bravo Vincenzo! Le aspettative non potevano di certo essere smisurate: Brut di produzione industriale, 6 eur (si si ! Ho scritto 6 eur…) alla bottiglia. Riposto in ghiacciaia per accompagnare qualche aperitivo improvvisato. Ed invece il prodotto è assolutamente corretto: forse, anzi sicuramente agevolato da una sboccatura non datata (giugno 2016), scende nel bicchiere di un bel giallo paglierino carico. Profumi di frutta gialla matura “da chardonnay”. Palato preciso, pulito, “rinfrescante”. Per fortuna mi sono lasciato fregare e ne ho acquistato un cartone… in Franciacorta avrei ottenuto a pari investimento un bottino molto più scarso!

d.c.

Barbera d’Alba doc: Lablù 2012, Damilano; Trevigne 2014, Domenico Clerico.

Il sabato la Barbera d’Alba di Damilano: facile, fruttata, piacevolmente succosa, ma con una acidità che sorregge costantemente la beva. Un inno alla convivialità. “Versato” su strabilianti Plin dell’Antico Pastificio De Filippis nel cuore della prima capitale d’Italia.


La domenica la Barbera di Domenico. Impostazione diversissima. Cupa, profonda (anzi profondissima), complessa e concentrata: nata per stordirti e stupirti. Difficile ad occhi chiusi riconoscere il vitigno, che si può solo intuire per la freschezza che traspare dopo che le papille si sono rilassate dalla corposità del fluido. Di persistenza impressionante.



  d.c.