Majolini Electo 2005. Franciacorta docg

Torno da qualche giorno di vacanza. Necessario mantenersi sempre pronti. Rintraccio in cantina una bottiglia vecchia… evviva!

Dodici lunghi anni dalla vendemmia; probabilmente sei dalla sboccatura (ipotizzo lotto 10/2011). Ed il vino è perfetto, prova  che i  Franciacorta fatti bene, e ben conservati, sono immortali. Scende nel bicchiere con la veste dello stesso colore del sole settembrino di oggi. Olfatto di frutta gialla ed una decisa nota citrina che impegnerà le papille gustative una volta disceso nel cavo orale. Imponente. Nessun particolare cede il passo alla maturità. Inscalfibile.

… che bel ritorno…

d.c.


Tutte le informazioni che ci servono.


Panorama.

Colle Duga 2015, Collio doc. Damian Princic.

Tipico uvaggio del Collio (Friulano, Malvasia Istriana e Sauvignon Blanc), proveniente da Cormons (e già questo è spesso elemento di qualità). Profumi freschi di frutta gialla matura e note verdi di erbe sfalciate. Bello facile, luminoso. Beva rapida, dissetante, nonostante un leggero eccesso di calore alcoolico. Ritorni di frutta dissetante. Finito in pochi sorsi…

d.c.

Ferrari, Riserva Lunelli 2006, Trentodoc.

Amo le bottiglie vanitose, quelle che ti vogliono stupire ancor prima alla vista che al gusto. E questa, nella sua regale tradizionalità, non poteva non affascinarmi. Certo che poi se il contenuto è una Riserva di Ferrari, credo che la frittata sia fatta!

Millesimo 2006 con sboccatura 2014.  La vista evidenza la maturità del vino che scende dorato nel bicchiere agitato da catene di bollicine infinitamente piccole e continue. L’olfatto è secco, nobile, forse ancora troppo giovine, con sensibili tracce del legno utilizzato nella vinificazione.  Graffiante in bocca, di secchezza pungente, di persistenza infinita sulle note fruttate di uno chardonnay croccante.

d.c.


Non credo che si possa dare più informazioni di così…


Sembra una moneta d’oro… tutti i particolari destinati a dare la sensazione di regalità.


… come sopra.

Sogno di una notte di mezza estate: la versione di d.c.

Prima che l’estate oramai al termine e l’oblio si portino via il ricordo del ritrovo, corre d’uopo “impressionare la pellicola”. Perché la versione di d.c.? Perchè quelle che seguiranno saranno i ricordi dello scrivente, che so già non incontreranno i pareri degli altri due/tre lettori (casualmente presenti all’evento) che invito calorosamente ad intervenire lasciando impressionata la loro di versione.

Nella foto sotto compare, è vero, una bottiglia di acqua, ma presente solo come simulacro apotropaico (abbiamo invocato la divinità perchè non si presentasse…), in realtà ci siamo solo divertiti con i campioni in primo piano.

Abbiamo reincontrato, ad un anno di distanza l’Extra Trocken Gruner Veltliner Velsecco, valida espressione austriaca di un convincente Metodo Classico, con utilizzo di uve non propriamente tradizionali: pulito, pungente ed allo stesso tempo grasso al palato. Ci aveva convinti un anno fa, ha confermato le su doti, forse finanche migliorate.

Impressionante il Rosè di Chrles Heidsieck 1999 (deg. 2014), calato come Assopigliatutto all’inizio della serata: impressionante per finezza e qualità di profumi, continuamente cangianti. Vino complesso non solo nella sua capacità di variare, ma soprattutto nella caratteristica di essere “avvicinato”: è proprio difficile, raramente paragonabile ad altri Rosè (ndr. Mi riferisco solo a vini d’Oltralpe, a mio giudizio qui siamo molto indietro…), anzi forse più affrancabile ad un pinot noir vinificato in rosso. Cambierà nel bicchiere mille ed una volta, avvicinando la degustazione ad una meditazione mistica.

Beep….. Beep… Saten Millesimato 2010 Camossi…. beep. Che cosa ho scritto qualche ricordo fa sui Saten franciacortini? Ecco sono qui a ribadirlo! Ma è solo il mio giudizio: attendo l’illustre parere degli ugualmente illustri presenti che so non hanno avuto le mie percezioni… ( a suo favore il fatto di essere arrivato dopo un mostro, ed essendo io suscettibile e terrorizzato, non l’ho capito fino in fondo…).

Necessario poi, per non affaticare troppo le nostre papille, sgasare un po’ la serata con i 14,5% di volume alcoolico di un mirabolante Vieri Sauvignon (Blanc) 2012 di Vie de Romans: ne ho ancora il ricordo gustativo inciso a giorni di distanza. Unico, brillante, impareggiabile, Vino bianco perfetto come solo nel Grande Friuli riescono a produrre. Nessuna nota comune, nessun ricordo a modelli produttivi: un paradigma. Profumi grassi e profondi di acididità agrumate: c’è il pompelmo rosa, c’è il lime, c’è persino una nota di zenzero. Monumentale.

Infine la curiosità di uno Champagne (Apollonis) da sole uve di Pinot Menieur, scovato chissà dove dal nostro D.T. Molto fruttato, un po’ debole in struttura, ma anche questo giudizio è chiaramente influenzato dallo sconvolgimento precedente…

d.c.


La prova della ciocca (solenne).

La prova che eravamo solennemente ciocchi (notare il pigiamino).

Sancerre, Domaine Vacheron, 2007.

Ne avevo incontrato il gemello qualche mese fa, e lo avevo conosciuto in tutta la sua eleganza infinita. Sapidità silicea , percettibile anche al naso e tanto tanto tanto che usciva da quel bicchiere da apparirne un vulcano: ora erbe aromatiche, ora pompelmo rosa, ora salvia ed adesso cedro candito.

Questo no! Pur nella coriacità di una tenuta acida impressionante, ed una sapidità, vera cifra stilistica, un distinto sentore ossidativo abbatte le nostre infinite attese. Quale disdetta…

d.c.

Summa 2015, Gorgo, Custoza Superiore.

Era stato incontrato in una recente degustazione AIS, ed immediatamente “postato” nel nostro WTB (i nostri 3 lettori ricorderanno…). Era piaciuto molto per i nobili profumi e per la inattesa finezza, poi caduto su troppe incertezze al palato, e forse qualche difetto di vinificazione. Figuratevi voi se Tito non doveva coltivare la sua curiosità, e portare a casa qualche nuovo campione.  Qui olfatto meno fine dei nostri ricordi: profumi di frutta gialla un po’ carica e calda; calore che ritorna in bocca dovuto ad un muscoloso tenore alcoolico, ma senza difetti,  ma neanche distinti pregi. Secondo le mie attese non sorretto dalla necessaria acidità. Senza spunti.

d.c.


Bella l’idea di internazionalizzazione.

Domenico Fraccaroli, Grotta del Ninfeo 2013, Valpolicella Ripasso doc.

Non propriamente una bevuta estiva, ma mi sono trovato tra ben due bottiglie aperte, e la mia deontologia non professionale mi costringeva a non tirarmi indietro!

Bicchiere molto facile, al limite dell’elementare, ma non per questo non piacevole, anzi. La cifra stilistica è tutta costruita sulle note di frutta rossa che foderano la cavità orale, che viene scaldata, molto scaldata da un tenore alcoolico da rifugio alpino, poi detersa da un tannino setoso e conturbante. Forse l’unica debolezza può essere rintracciata nella leggerezza di una acidità non pienamente corroborante e che probabilmente ne condizionerà la tenuta nel tempo.

Tranquilli… bottiglie finite!

d.c.

14% di volume alcoolico dentro; 31 gradi Celsius fuori! Ma il nostro dovere è stato portato a termine.

Riserva 2006 Pas Dose’, Francesco Iacono. Muratori. Franciacorta Docg

Evidenzia tutta la sua maturità fin dal momento in cui scende nel bicchiere, con una veste dorata. D’altra parte non tanto gli 11 anni dalla vendemmia ma soprattutto i 4 dalla sboccatura sono normalmente tanti per un vino franciacortino (con le dovute e verificate eccezioni). Perlage alla vista fievole. Naso evoluto, non troppo intenso, ma fine, tra frutta gialla dolce ed un ricordo di agrume, ma si percepisce l’incipit di una nota ossidativa, oggi ancora connotata come maturità, ma segno indelebile di un ineluttabile decadimento. In bocca invece è ancora piacevolissimo: qui la nota carbonica c’è ed è in grado di “sfriccicare” papille e cuore. Ne colpisce la sottile eleganza, prova di grande nobiltà.

d.c.


… comunque 7 anni sui lieviti, avrei però voluto arrivare prima!

Mattia Vezzola, Costaripa. Brut. Metodo Classico

La mano è quella del Grande Maestro, più volte celebrato per aver firmato la produzione, spesso di prestigio, di una nobile cantina franciacortina. Qui però all’opera nella propria cantina di famiglia, Costaripa, posizionata su un altro lago (Benaco) a Moniga del Garda, per anni condotta con il fratello Imer, ma da qualche vendemmia arrecante solo il suo nome, già di per sè sufficiente ad avocare l’attesa di grande qualità: Mattia Vezzola.

Bevo Costaripa da anni (non certo dal 1973 come ricordato nella retroetichetta della bottiglia), da sempre distintasi per la insanabile ricerca della novità, pur rimanendo saldamente ancorata alla tradizione. Mi sono convinto, pur non avendo elementi oggettivi, che il Vezzola abbia utilizzato Costaripa per sperimentare ciò che poi andrà ad “esportare” su Bellavista, soprattutto per il Metodo Classico. Già all’inizio degli anni 2000 il Costaripa Brut Rosè raggiungeva qualità ancor oggi inavvicinabili per molti franciacortini. Il Brut (alla fine un Blanc de Blanc da sole uve chardonnay ) è cresciuto negli anni in finezza e stile, mantenendosi come una sorta di “archetipo”: l’impressione è che pur prodotto dal Maestro, pur con uve non solo benacensi (“provenienti dalle colline moreniche dei nostri laghi bresciani”) il modello non sia affatto franciacortino. Bellissimo alla vista, perlato da infinite colonne di minuscole bollicine. L’olfatto è marcato si da note di frutta fresca, a polpa gialla (con solo Chardonnay mi stupirei del contrario), ma anche da una caratterizzante nota di erbe aromatiche, inusuale quanto appagante. Fresco, preciso al palato, anche senza essere perfettamente in temperatura; e ritorna un frutto croccante, un pochino più maturo di quello che trovavamo tra i profumi. Di giusta persistenza.

d.c.


Eleganza regale, e la corona se la sono assegnata da soli…

L’etichetta della bottiglia di oggi…


Sboccatura 01/2017 e qualche utile notizia.