Nuovo spiedo… nuovo rosso.

Vi ho già spiegato che ogni volta che mi avvicino ad uno spiedo bresciano, la voglia è quella di ricercare un abbinamento con un rosso di terra bresciana. Questa volta è stata l’occasione per stappare un Curtefranca doc Cavalleri 2014. Più “bordolese” del recente Cà del Bosco 2014 di qualche settimana fa (10 settembre 2017); qui la sensazione verde  ed un po’  di acerbezza è affiorante, senza però sconvolgerne l’equilibrio generale. Anzi di notevole pregio la percezione di leggerezza della bevuta, impegnata tra le durezze acide e dei tannini ancora graffianti, ma non per questo appesantita. Sicuramente meritevole di attendere ancora qualche anno in bottiglia.

d.c.

Lo so… lo so…formato mini (0,375 l) per perseguire morigeratezza (…)

Forse ha proprio ragione Franco Ziliani!

Che Franco Ziliani sia uno dei più bravi degustatori dell’italico paese, nonchè affermato wineblogger, credo che non vi siano dubbi. Molto spesso non ne condivido il pensiero relativamente al suo, ultimamente molto affiorante, credo politico, ma in tema di conoscenza del mondo vino sono assolutamente convinto che abbia pochi pari a livello continentale. E tipicamente sua è una battaglia che conduce oramai da qualche anno relativamente ai prezzi depressi con cui spesso i Franciacorta vengono esposti sugli scaffali dei supermercati: offerte, super offerte, 3 X 2; non è raro imbattersi in bottiglie fascettate a meno (molto meno) di 5 euro.

L’esperienza che oggi porto è forse un poco diversa, a prezzi non così drammatici, ma sintomatica di come i produttori debbano commercialmente destreggiarsi (forse per sbarcare il lunario…).

Non c’è nulla di male, intendiamoci, ma a me un po’ spiace, e credo che parzialmente leda l’immagine della Franciacorta, trovare sugli scaffali della Coop, con marchio selezionato Coop, un Pas Dosé millesimo 2012 (quindi un prodotto che dovrebbe essere di punta) di una cantina (che peraltro lavora molto bene come Castel Faglia) a 12 euro a bottiglia. Ed il vino come è? Mannaggia!!! Il vino è proprio buono! Grande intensità olfattiva. Misurata eleganza. Freschezza e precisione al palato. Forse la bottiglia risentiva, ma solo marginalmente, di una recentissima sboccatura, non ancora completamente assorbita, ma campione di assoluta qualità!

E voi cosa ne pensate? E’ giusto che un’etichetta top di gamma esca in habillage da grande distribuzione, a prezzi, oramai, da Prosecco “selezionato”?

d.c.


Si marchia Coop, ma non è altro che il celebre MONOGRAM di Castel Faglia.


La retroetichetta.

Help! Aiuto! Cercasi informazioni disperatamente…

Mi domando come sia possibile che oggi, nel tempo dei bombardamenti informativi, social, pubblicità che non ci lasciano soli neanche quando si dorme, non si riesca a recuperare una notizia una del vino incontrato questa sera: nulla di nulla sull’etichetta, se non una sigla del produttore e località di produzione; nulla di nulla su vendemmia, vitigni. Nulla di nulla su internet (forse non sono un così esperto navigatore). Nulla di nulla! E questo affascina, o perlomeno affascina il sottoscritto. Ed il vino non è male: sicuramente un po’ Petra Style, ma più leggero, meno muscoloso di un Supertuscan, disegnato su una trama di succosa ciliegia ed una freschezza precisa, drenante, pulente. Solo l’olfatto è incerto, un po’ troppo “ridotto”, saremmo più clementi se ne conoscessimo il tempo di affinamento in bottiglia.

Detto ciò, non sono sicuramente disperato, ma metto a disposizione bevuta di annate storiche di vini importanti con i moschettieri di WTB a coloro che vorranno fornire informazioni preziose…

d.c.

Gli indizi…



Quanto mi fanno arrabbiare i ristoratori…

“Gradisci un Vermentino?”. Come rinunciare ad un buon vino bianco di fronte ad un invitante pasta ai frutti di mare. Ma come? Ma quale Vermentino! Ma mi hanno portato un molto più raro (in continente) ed antico Nuragus. Sono situazioni insopportabili per un winesnob come me! Peraltro il Nuragus è un vitigno dalla alta produttività di uva dalla quale normalmente si ottiene un vino leggero e beverino, dal tenore alcoolico limitato, ma anche dalla significatività limitata. Non è così per il S’Elegas di Argiolas, racchiuso nella denominazione di origine Nuragus di Cagliari, ma capace di esprimere una qualità insospettata. Già di notevole intensità il colore e la corposità nel bicchiere. I profumi sono intensi, di una dolcezza di frutto permeante, si sospetterebbe addirittura una caratteristica aromatica. In bocca si attende un eccesso di calore alcoolico ed invece la freschezza acida ne bilancia la beva e ne corregge l’apparente grassezza. Credo che sia un vino il cui prezzo alla bottiglia non superi i 6 euro, e che invito a provare per la sua particolarità.

d.c 

E’ proprio la vendemmia del vino di oggi…

Se dovrò essere il quarto moschettiere… sarò Porthos!

Più per sfida con gli altri tre winesnob che per reale vocazione, ho partecipato, insieme a quegli altri tre pazzi che ogni tanto si dilettano a scrivere qui sopra, alla degustazione (sotto tetto e regia AIS) dei vini prodotti dalla Tenuta L’Impostino, di forma Toscana (Montecucco oggi DOCG) e di anima bresciana.

Non ricorderò in futuro nulla di questi vini, per cui ne riporto le brevi note di degustazione per lasciarne traccia del passaggio. Ma la degustazione, nel suo complesso, è apparsa alquanto improbabile!

BALLO ANGELICO 2016 (vermentino 100%): banale! Ma potrei berne una damigiana! Tendenza dolce data da un frutto maturo ed agrumato.

SASSOROSA 2016 (Sangiovese 60% Syrah 40%). Rosato dall’olfatto piatto e minimamente caratterizzato, ma in bocca non migliora. Senza spigoli, ma senza impronta.

OTTAVA RIMA 2015 (Sangiovese 60% Alicante 40%). Sui rossi si comincia a ragionare. Intensità al naso, ma troppo rustico. In bocca manca un po’ di acidità e lunghezza.

CIARLONE 2015 (Sangiovese 60%, Merlot, Alicante, Petit Verdot 40%). Al naso NON CI SIAMO! Per nulla gradevole salvo solo una nota di terrosità. In bocca verde, verdissimo, squilibrato. La lunghezza data solo dalla nota di calore.

IMPOSTINO 2012(Sangiovese 80% Syrah Merlot Petit Verdot 20%). Cartonato!… peccato perchè si nota anche della profondità data dal sangiovese, ma insiste un problema all’olfatto. In bocca il sangiovese esce graffiante. Bello, lungo, avvolgente.

VIANDANTE 2011 (Sangiovese 100%). Molto intenso alla vista. Profondo al naso, seppur non intenso. In bocca non incide, ed è anche un po’ sconnesso, troppo impostato sull’acidità, ma scappa via.

LUPO BIANCO 2011 (Sangiovese 60% Merlot 40%). Riduzione al naso importante. Fa fatica ad aprirsi: è come se il Merlot legasse l’esplosione del Sangiovese. In bocca è morbido ed avvolgente, direi cioccolatoso. Caldo. Molto impegnativo. Beva che non risulta invogliata.

d.c.


In mancanza delle etichette, accontentatevi della brochure…


Prova che i vini erano proprio sette (… e che per la prima volta sono avanzati nei bicchieri…)


Le note di degustazione!

Primo freddo… primo spiedo!

Siamo proprio strani noi bresciani: è bastata la flessione di qualche grado della temperatura ambientale per farci venire subito voglia di spiedo! E sinceramente quest’anno è stato record… non ho mai attaccato al 10 settembre.

E naturalmente al primo spiedo, primo rosso: segno intangibile che l’autunno avanza a grandi falcate. E quale rosso? Se lo spiedo è un monumento bresciano, il vino deve essere delle colline bresciane. L’esordio quest’anno è stato garantito ad un Curtefranca, e per non sbagliare ci siamo affidati a Cà del Bosco.

Vendemmia 2014. Equilibrato nella sua struttura. Fine e non troppo impegnativo. Forse ancora troppo verde per una più che accennata nota varietale di peperone lasciata da una vinificazione un po’ “rustica” del Cabernet. Ma tutto sommato valido annaffiamento del desiderato piatto.

Chissà cosa avvicineremo al prossimo spiedo?

d.c.



Satèn in Franciacorta: non mi taccio! L’avevo promesso…

Non posso tacere, l’avevo promesso qualche post orsono, altrimenti avrei fatto una “campagna” denigratoria verso una sola cantina, cercando di influenzare i nostri due, forse tre, lettori. 

Ma a me, per chi non l’avesse capito, il modello di Satèn oggi inseguito in Franciacorta non piace. E’ vero che il mio gusto è “secco” (ma mi sembra di intuire che il filone gourmand della cucina attuale sia secco…); così come è vero che secondo il sottoscritto, che non può avere velleità di giudizio incontestabile, la migliore produzione in Franciacorta è legata al nullo o limitatissimo dosaggio. Ma perchè bisogna fare i Satèn così dolciastri? Ricordo a tutti che trattasi comunque di Brut (quindi in Franciacorta con un limite di grammi di zucchero per litro pari o inferiori a 15), ma l’impressione è ben altra (benchè la dolcezza del frutto dello Chardonnay un po’ aiuti la confusione).

L’altra volta parlavamo di una piccola cantina, ma questa volta trattiamo di un indiscusso big: ma il giudizio (il mio giudizio) è il medesimo! Certamente invito tutti coloro che hanno voglia di aiutarmi a confutare tale giudizio ad intervenire liberamente: gliene sarò grato.

Poi tra un Satèn ed un altro mi capita di imbattermi in bottiglie con qualche anno, soprattutto, ahimè, dalla sboccatura. E’ vero: la conservazione è fondamentale, ma tutte hanno ceduto ad una invasivo processo ossidativo. Provate a dire ai nostri cugini francesi che i loro Blanc des Blancs, ovvero i loro Cramants dopo un lustro sono già in fase calante, e vediamo la loro reazione (giustificata).

d.c.

5 anni dalla vendemmia…


…4 dalla sboccatura…

…per fortuna che sono riuscito subito a rifarmi con il Brut Classico…

Nemmeno il super esperto…

Nemmeno il nostro super esperto D.T., uno dei più grandi sapienti di vini oltrepadani che io conosca, ha mai bevuto questa Cuvée Bianca Agolo di Ca’ Tessitori  in Montecalvo Versiggia! Eppur io e l’Editore l’abbiamo scoperto in un ristorantino di Lodi.

Del vino merita ricordare solo la scena che accompagnò il nostro ritrovamento: presentatoci come Pinot Nero vinificato in bianco (…così riportato sulla carta dei vini…) non poteva non attirare la nostra attenzione, già colma di perizia per pessime, precedenti, esperienze. Nel bicchiere decisamente verdognolo. Al naso chiare note erbacee e di frutta. E perchè poi Cuvée, se vinificato solo da uve di pinot? Acidulo (e questo poteva starci), verde, con ritorni di croccante frutta gialla immatura e…salvia?!

“Editore, controlla per favore…”.

80% di Sauvignon Blanc e 20% di Chardonnay!!! Dovreste immaginare gli occhi dell’ Editore, capace di commettere un delitto per molto meno.

d.c.

L’etichetta inganna perché sul sito internet si può scoprire che la cantina è associata ai Vignaioli Indipendenti (un punto in più!).

Arrampicata sul Ronco Felluga.

Quando trovo bottiglie del Grande Patriarca Felluga non riesco a resistere, chiudo la carta dei vini, per quanto possa essere interessante, ed atterro idealmente dalle parti di Cormons…

Se poi penso che mi sono trovato davanti alle ultime due vendemmie del Maestro… anche la poesia, malinconica, è scritta!

Non tedierò più sul mio amore per il Pinot Grigio, che qui raggiunge livelli di rapporto qualità/prezzo impareggiabili: posso solo consigliarne un consumo smodato!


Illivio: Pinot Bianco, Chardonnay e Picolit per un assemblaggio unico al mondo, per un carattere unico al mondo che esalterà la vostra cena a base di crostacei. Pietra miliare nel percorso delle nostre vite.

Ce la faremo senza di te, Maestro Livio?


d.c.

Sono ottimista di natura.

Sono ottimista di natura e per cui sono confidente che nei prossimi giorni ne berrò uno sicuramente migliore, ma sotto sotto sono convinto che sarà molto difficile superare questo straordinario, incredibile Pinot Nero di Ambonnay, incontrato così per caso, ma sicuramente  il miglior bicchiere dell’ultimo anno (o addirittura di svariati anni?). Sorprendente tanta concentrazione di eleganza e finezza, armoniosamente fuse in liquido color dell’oro. Meraviglia delle Meraviglie… e credo che anche questa volta ci sia lo zampino dell’ “editore”!

d.c.

Vigneron indipendant… ma guarda un po’…

Regale in tutte le sue forme.