Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Siamo insaziabili cacciatori di emozioni. Tutta la nostra vita è concentrata, e troppo spesso delusa, a scovare attimi di felicità, che costruiamo con piccoli mattoncini emozionali. Cerchiamo emozioni in tutto, e quelli come noi, un po’ squilibrati, le cercano anche nel vino, straordinaria fonte di percezioni.

È così è successo ieri. Ero in gironzola con l’Editore, come oramai troppo poco spesso accade, approdati ai lidi di una Cantina “amica”, e tra tanti bicchieri, chiacchiere, bollicine e qualche sciocchezza ecco, all’improvviso, la scossa… il knockout che ti manda all’angolo.

Eravamo in Franciacorta, ospiti di Ronco Calino, cantina della quale non finiremo mai di parlarne bene, per l’instancabile ricerca della qualità rintracciabile in tutti i loro prodotti.

Arriva il “Classico”, poi il Nature e poi… boom! Un Rosè che toglie il fiato. Non amo i Rosè di Franciacorta, ma questo vino non è… di Franciacorta! Scende nel calice che sembra un “Saignée”. L’anidride carbonica spinge spinge spinge… guardate come le bollicine cercano di uscire anche dalla fotografia. Avvicini il naso al bevante e… boom! Il primo cazzotto. È un cestino di piccoli frutti rossi, poi affiora un arancia succosa, forse proprio un sanguinello, ed infine ancora una mora fusa ad aromi speziati… no…no… mi stanno ingannando! C’est ne pas possible!

Mi giro verso l’Editore, che è già in godimento. Devo berlo. Piano. La mia pelle già svela il segreto del mio silenzio. Boom! È una lama a doppio taglio: scende fendente, ritorna rotonda, ammorbidita da un frutto di bosco maturo. È secchissimo. I sorsi si richiamano. Il bicchiere non riesce a rimanere colmo. La persistenza è senza soluzione di continuità, imponente.

Un altro bicchiere, ti prego… un altro.

Pinot nero in purezza. Millesimo non dichiarato 2013. L’unica etichetta della produzione a cui hanno dato un nome: lo sanno anche in Cantina che questo vino oltre ad avere un corpo ha anche un’anima.

Degli altri vini, in particolare del fantastico Brut 2010, parleremo un’altra volta, se vorrete.

d.c.

CCXXXVII

Il degustatore Alfa

Tra gli animali sociali, ed in particolare tra i bevitori di vino, alfa, il degustatore alfa, designa l’individuo che in una comunità occupa il rango sociale più alto. In tal modo lo si distingue facilmente all’interno di un gruppo da esemplari che invece ricoprono un ruolo. In molte specie gli animali appartenenti allo stesso gruppo esibiscono compiacenza e atteggiamenti di sottomissione e rispetto: generalmente è colui che ha accesso prioritario ed a volte esclusivo alla carta dei vini ed al conferimento con il cantiniere, quest’ultimo spesso reo di non riconoscere in alfa, nel nostro degustatore alfa, l’indiscutibile superiorità.

Chi di voi, che siate dei perduti avvinazzati piuttosto che dei metafisici stillatori delle lacrime di Bacco, non si è sentito almeno una volta nella sua vita un degustatore alfa scagli la prima pietra!

Beh… a me succede sinceramente molto spesso, almeno una volta a settimana. L’ultima volta pochi giorni fa in un muscoloso scontro cavalleresco contro un tracotante cantiniere (ristoratore di un noto locale di Brescia) che si è permesso di consigliare e definire come “gasosino” un Grand Cru di Cramant prodotto da un R.M. Ma com’è possibile che un individuo si permetta di arrivare a tanto? Ed allora (in un petto contro petto furioso ) cosa dire del mio amato Pinot Mugnaio? Chissà cosa affermerà questo losco individuo? Il losco, tracotante ma non stupido e soprattutto conscio che il degustatore alfa era prontamente cascato nella sua rete, si è subito prodigato in consigli di abbinamento rassicurando alfa sulla superiorità della scelta effettuata, cercando di fugare i dubbi su una eccessiva “rusticità” del prodotto, presentandolo con un servizio impeccabile degno di una bottiglia da milionari…

Mandarino al naso e soprattutto in bocca con punte di maturità dolciastre. Equilibrato nel suo complesso, ma abbastanza piatto, fresco ma senza percezioni minerali o gessose e quindi incapace di dimostrare di essere un prodotto voluto dagli Dei.

Degustatore alfa?……… pprrrrrrrrrr………

d.c. (già degustatore alfa)

CCXXXVI

Trattoria San Lorenzo

Sangue di Giove… dove sei? Sono a Firenze in piazza San Lorenzo presso l’omonima trattoria, di fronte ad un fumante piatto di pappardelle al cinghiale. Ma tu dove sei? È vero che l’uva “francisca” fu proprio introdotta nella zona del Carmignano fin dai tempi medicei, ma fare fatica a trovarti è cosa assai ardua. In realtà il Sangiovese affiora ma solo al palato: l’olfatto viene impresso da eleganti toni verdi donati dai vitigni cosiddetti “migliorativi” e su tutti un Cabernet peperoneggiante. Come detto solo in bocca è percepibile lo scontroso e tanto amato “padre degli dei” che impone freschezza ed un tono scorbutico che aiuta l’evaporazione rapida della bottiglia. Il tutto per permettere alla notte di Firenze di rendere la città ancora più ammaliante.

d.c.

Monterossa P.r. Brut.

È vero. È proprio vero: fino a qualche giorno fa avrei intitolato il nuovo ricordo “Franciacorta, I love you”, perché questo Blanc de Blanc lo merita sicuramente… ma ogni tanto bisogna cambiare e ricercare nuove vie… in attesa di trovare nuove ispirazioni creative per il titolo della rubrica, accontentatevi della sobria “normalità”.

È bello, intenso, croccante. In ogni sua caratteristica appare come se volesse necessariamente piacere. Finezza visiva transalpina. Profumi di frutta gialla e di frutta secca la cui leggera tostatura si lega perfettamente ad aromi di pasticceria e di forno dolce. In bocca sa essere dalla vibrante tensione, detergente… quasi rassicurante. Affiora la profondità della importante quota dei vini di riserva che donano al vino le caratteristiche di unicum all’interno del panorama franciacortino, abituato a vini più rapidi, che non inducono, normalmente, alla riflessione…Franciacorta, I love you xxx…

d.c.

Il bandito 2015. Riesling renano, F.lli Giorgi

Nette sensazioni agrumate, forse anche di bergamotto, e persino candite; poi affiora un profumo verde, vegetale, ed una suadentissima albicocca matura, se non leggermente disidratata. La nota di mineralità qui è “pietrosa”. L’intensità è sussurrata, ma di grande fascino. Tutta quella maturità che si percepiva all’olfatto sparisce in bocca: qui una acidità corrosiva lascia nel cavo orale la percezione di grande freschezza che progressivamente sfuma su note minerali-gessose. Di apprezzabile persistenza.

d.c.

Cutizzi 2016. Feudi di San Gregorio

Il colore è giallo dorato; i profumi, inebrianti, di frutta matura: affiora l’aroma di una pera già dolce, della susina gialla e poi di un’erba aromatica, forse una mentuccia. Ma in bocca è inscalfibile. Tutto d’improvviso si ribalza ad una struttura granitica costruita su una acidità mai calante, ed alla tipica mineralità del Greco irpino. Rimane poi persistente in bocca e negli occhi, abbinato ad uno straordinario tagliolino alla polpa di gamberi rossi con vista sul porto di una luminosa Ponza.

d.c.

Franciacorta, I love you. Castelveder 2011

Mammamia che buono! Ogni elemento in valutazione vede la sua lancetta puntare i punteggi alti: visivamente di eleganza francese; profumi decisi, di assoluta eleganza, di notevole intensità, persino croccanti tra frutta gialla in maturazione ed una gradevolissima nocciolina. Poi in bocca appare imperioso: tagliente, preciso, sempre composto, con una non comune mineralità, che diventa l’elemento caratteristico assoluto dell’intera degustazione. Stupendo.

d.c.

Il vino di Alessandro

Lo so che è una suggestione. Ma molto spesso, per capire a pieno un vino, è necessario conoscere il viticoltore; conoscerne i tratti, la fisicità, il carattere: perché li ritroverai, filtrati dalla tua suggestione, nel bicchiere. Ho avuto la fortuna di incontrare qualche anno fa, ben prima del 2011, l’Alessandro a cui appartiene questo vino: uomo schivo, riservato, con un sorriso timido che sembrava implorare il distacco, e quell’umiltà di non voler riconoscere il proprio immenso talento…Così il vino! Nonostante i sette anni dalla vendemmia ha un aspetto estremamente giovanile: un bel rosso porpora, profumi di frutta rossa croccante, inizialmente solo sussurrati e poi persino invasivi. In bocca è duro, fresco, con un tannino ancora poco ammorbidito. Ma poi la frutta si scioglie, si fonde arrotondandosi, come un sorriso che ti concede una confidenza. Una confidenza che ti riempie come una persistenza, infinita.

d.c.

Non chiamatelo Prosecco… chiamatelo Cartizze!

I miei tre amici ed oramai anche i nostri quattro lettori sanno che non amo i Prosecco ( dei cui produttori però ammiro il virtuoso modello agricolo-industriale). Ma c’è una collina, una piccola isola nello sterminato mare di Glera nelle valli del Valdobbiadene, che produce un frutto diverso, dove il vino è distintamente differente: questa è Cartizze! Ed in Cartizze c’è un solo agricoltore che ha solo vigneti sulla collina: questo è Marsuret! Bevo Marsuret da 20 anni e bevo solo lui…

Si presenta nel bicchiere di colore giallo scarico e spumoso, ma risulta intenibile all’olfatto per la fresca ed esuberante intensità. È gioviale, e non può non piacere nella sua semplicità ed immediatezza: percepisci nettamente le fragranze di una pera William e diffusa è la sensazione di camomilla. L’elevata componente zuccherina dichiarata non è mai invasiva ed il notevole equilibrio richiama un nuovo sorso. In bocca la frutta aumenta il gradiente di maturità, come una macedonia a polpa bianca leggermente macerata che accompagna il ricordo.

Un sentito ringraziamento a Bobo, provvidenziale corriere di felicità.

d.c.

Monumentale

Sapevo di averle cacciate da qualche parte; sapevo di averne ancora tre. E così, sotto una impolverata catasta di bottiglie, ammucchiata chissà quanto tempo fa, sono comparsi i tre “Cabochon” Rosé 2001. Signori… 2001! I dubbi di trovare il vino integro sono crescenti. Lo sconforto nella rottura del tappo oramai incollato alle vitree pareti. Il colore nel bicchiere è ben oltre la buccia di cipolla, ma oramai decisamente aranciato. Al naso tenui elementi terziari: tra una mora di gelso ed una prugna disidratata affiora netto un bastoncino di liquirizia. Il vino è perfetto, ed evolve di minuto in minuto. In bocca è gentile, leggero, equilibrato: è tutto in punta di fioretto, è tutto molto elegante, direi femminile. Ritornano aromi di fiori appassiti e dolce fragolina di bosco. Un monumento.

d.c.