Ancora a Trento.

Arduo pensare che l’umile Cuvée 600uno potesse rivaleggiare con l’imponente Maso Martis Riserva di un paio di sere fa… ma l’ultima di una dozzina di bottiglie acquistate un paio di anni fa non ha certamente fatto brutta figura, anzi mi ha stupito per l’incredibile rapporto qualità/prezzo (se ricordo bene non ho speso più di 6 euro a bottiglia!). Il vino si sviluppa su canoni previsti: lo Chardonnay è riconoscibile nelle sue note evolutive di frutta gialla matura, ma nessun eccesso stonato o che incida negativamente su un’impostazione di generale eleganza. Il vino in bocca non ha perso freschezza, ma di certo comincia a prevalere una rotondità evolutiva che lascia il palato ammorbidito ed addolcito da una piacevole sensazione di frutto. Chiusura equilibrata e stimolante al nuovo sorso.

d.c.

CCXLIX

Recupero, recupero… Recupero!

Con ancora non abbandonata la memoria dell’imperioso 2013 di Andrea Arici eccomi tuffare in un altro millesimo 2013 altrettanto straordinario.

Mai recupero alle precedenti medie fu più rapido…

Adoro Maso Martis per la finezza ultraterrena dei suoi prodotti: dal colore, alle bollicine assolutamente microscopiche e veramente infinite, alla scia agrumata dei profumi, tutto sembra costruito appositamente per stupire. In bocca poi graffia ed incide. È incredibile la profondità in cui si viene lanciati. I profumi evolvono in cangiante progressione: dall’arancia sanguinello, si passa ad un croccante tarocco per poi appoggiare su bacche rosse e nere. Con il calore la dolcezza del mirtillo ti stordisce. Ma tutto è misurato con precisione millimetrica, nulla è mai fuori posto. Solamente infinito.

d.c.

CCXLVIII

Recupero…Recupero!

Dopo tre settimane senza bollicine non potevo rischiare una delusione… meglio andare sul sicuro ed aprire qualcosa di sicuramente buono.

Sono affezionato alla cantina di Andrea Arici, non foss’altro perché i suoi vigneti mi salutano tutte le mattine e mi accolgono, la sera, al mio rientro. Da sempre interprete ed autore del “non dosaggio” caratterizza i suoi vini esaltando la percezione del frutto, sempre maturo, rotondo, quasi edibile. Normalmente amato da tutti i palati, dai meno avvezzi ai più raffinati, ma questi prodotti rappresentano un unicuum nel territorio franciacortino, non immediatamente paragonabili agli altri consorziati.

Pinot nero di frontiera, allevato sulle pendici dei confini orientali della Franciacorta, confonde il naso con profumi più di frutta a polpa gialla (tra una mela golden e forse una annurca ben matura) che dell’atteso agrume. Affascinante una lievissima sensazione di tostato che rimane anche negli aromi da retrolfattazione. Incredibile la tenuta alla temperatura. Il vino si scalda, cambia verso toni di maggiore maturità, ma resta costantemente godibilissimo. La pienezza del frutto è tale che arrotonda l’entrata al palato, scalfito dalle durezze ma immediatamente lenito. Persistenze da Grand Cru.

Dosaggio Zero Nero millesimo 2013… 2 bottiglie per il recupero potranno bastare…

d.c.

CCXLVII

Scacciadiavoli Grechetto doc 2017.

Mi ero ripromesso, quest’estate, di bere e raccontare, nel mio giro d’Italia con la mia truppa, una quantità smodata di vini diversi. Ed invece mi sono dedicato, bevendone comunque una quantità smodata, ad una serie di birre, quasi tutte Blonde Ale, molte assolutamente straordinarie, tutte rigorosamente italiane. Ma dal momento che qui siamo su Wine Top Blog, ne tratterò in un’altra vita…

Impossibile, almeno dal punto di vista statistico, tenermi completamente a secco di vino: devo ammettere che un po’ di pigrizia mi ha bloccato la scrittura, troppo spesso corroborata da cattivi incontri.

Ma tornati in Umbria non si poteva non rincontrare un po’ di qualità. E per cui a Perugia, alle spalle del Palazzo dei Priori, in un ardito abbinamento con delle pappardelle al Nero di Norcia, un umile Grechetto doc 2017 di Scacciadiavoli. Apparentemente scarico in tutte le sue caratteristiche (giallo paglierino tenuissimo alla vista con riflessi verdognoli, una fluidità nel bicchiere fortemente accennata) in realtà stupisce per l’esuberante componente alcoolica minimamente percepita al gusto, evidentemente ben sostenuta e contrastata da componenti di acidità non immediatamente affioranti quanto invece un timbro di sapidità costante.

Ed adesso, cari amici, pronti al recupero…

d.c.

CCXLVI

Perché vincerà la Francia.

Se la Francia vincerà i mondiali di calcio proprio non lo so. Non so se le giovani gazzelle transalpine insaccheranno molti palloni nella rete avversaria. Non lo so, e forse non mi interessa neanche. Antipatici? Egocentrici? Egoisti? Ma per forza! Sono tra gli ultimi tenutari del segreto di Bacco… la loro vicinanza al divino li rende superiori… E per cui non so se vinceranno la partita di calcio, ma tutte le altre (quelle che mi interessano) le hanno già vinte!

Calcio di inizio. Io e l’Editore ci concentriamo su un campione da Ambonnay a predominanza di Pinot Noir: J.Pérard, Cuvée de Réserve. Grand Cru ad un prezzo da locale Franciacorta. Impressiona per la finezza e nitidezza espressiva, tutta giocata su profumi e note di agrume e frutta gialla. Semplice, scorrevole… finito!

Secondo tempo. Ci spostiamo di qualche chilometro, pur rimanendo all’interno delle aree designate Gran Cru: siamo a Bouzy. Jenne Vesselle, Brut Prestige, R.M. Sempre quota prevalente di Pinot Noir su Chardonnay.

Rigore! È assolutamente stupefacente! Alla vista già giallo-oro, profumi di vibrante capacità emozionale: l’agrume succoso è miscelato con incredibili note gessose e minerali che arrivano fino ad una sensazione di canna da fucile. È impensabile la profondità in cui ci perdiamo, veramente senza fine… L’acidità affilata come un bisturi non permette mai di far affiorare un generoso grado zuccherino che ammorbidisce ed aiuta la percezione di piccoli frutti rossi a diventare persistenza.

Francia-Resto del mondo 2-0.

d.c.

Primo tempo.

Secondo tempo.

CCXLIII

Karmis 2016. Contini. Igt Tharros.

Porta con se il colore della sabbia dorata del Tirso e del sole antico di Sardegna. Porta con se delicati profumi di frutta matura e decise impronte aromatiche, tanto caratterizzanti da riuscire a svelare il segreto dell’etichetta celante i vitigni autoctoni nella quota preponderante di Vernaccia locale. È uno straordinario profumo femminile, caldo, che solo nel suo sfumare fa affiorare una lontana nota di vaniglia, segno di un passaggio almeno parziale in nobili legni nuovi. È rotondo in bocca, avvolgente, sicuramente molto secco ma più appoggiato alle morbidezze dell’alcol. Ha l’intensità dell’onda di mare che si scarica sulla spiaggia e la persistenza del suo ritiro.

d.c.

CCXLII

Lèant 2017. Ronco Calino. Curtefranca.

Strano, complesso, difficile (difficilissimo) da capire pur nella sua sola apparente semplicità. È un vino antico, forse proprio come lo bevevano i nostri nonni, ed al contempo modernissimo. Alla vista verdognolo, segno di una ancora adolescente gioventù. Olfatto che ti genera confusione: c’è sì una base di mela verde, ma affiorano, anche nettamente, profumi da vitigno semiaromatico come erbe aromatiche, sfalciate alpestri, camomilla, profumi di orto. Se non fosse stato accanto a me l’enologo, giurante, non avrei mai creduto in uno Chardonnay in purezza. Poi in bocca un nuovo cambio di registro: entra scorrevole nel cavo orale, ma affiora immediatamente un velo di carbonica, qui piacevolissima che attenua in maniera opportuna la nota dolce del frutto, affermante certamente uno Chardonnay forse dal carattere “montano”. Questa residuale frizzantezza, proprio minimale, rappresenta la chiave di volta su cui si costruisce l’intera struttura, voluta e ricercata per il consumo quotidiano.

Prende il nome dalla collina del “Levante”, in cui è inserito l’intero vigneto. Ma non è sbagliato l’accento posto sulla “e”? Nel caso… tranquilli! Sarebbe l’unica cosa fuori posto…

d.c.

CCXLI

L’epoca dei Rosé

Non vi è alcun dubbio che la politica commerciale perseguita dalle aziende del vino sta portando i suoi frutti: non ho mai bevuto così tanti Rosé come nell’ultimo periodo. Numerosi e così tanto diversi. Se poi vogliamo anche considerare che “in famiglia” il nostro Editore continua a fare la staffetta tra qui ed il Salento ( capitale dei vini a breve macerazione), ci si aspetta un’estate decisamente rosata.

Anche il vino sotto ritratto l’ha scoperto lui! Arriva dalle nostre parti, dalle meravigliose sponde del Benaco bresciano.

Nuit Rosé, Vedrine, vino spumante M.C., millesimo 2015, sboccatura aprile 2017. I vitigni produttivi non è dato saperli (ahimè neanche sul sito internet, ancora troppo incompleto): ipotizzo Groppello e forse una quota di Marzemino.

Il Rosa del bicchiere è imperioso, di una bellezza brillante. Profumi molto delicati, per nulla intensi, da cui affiora l’impronta del Groppello (forse…). In bocca è bellissimo: perfettamente equilibrato tra una acidità incisiva ed una morbidezza regalata da una evidente componente glicerica e dal ritorno della frutta rossa. La giusta componente alcolica non lo rende mai pesante. Si abbandona poi lentamente su note decisamente sapide. Produzione? Mi dicono di poco superiore alle 1.000 bottiglie… ma come farà l’Editore a scovarli tutti lui?

d.c.

CCXL

Chi ha paura dei Talebani?

Se passeggi per Piacenza in via 20 settembre, a due passi dal Duomo, lì sulla sinistra c’è un piccolo bar, tutto in stile belle epoque. Non ne conosco neanche il nome, per me, da sempre, sono ” i Talebani”. Quale che ne sia l’origine di tale attribuzione non lo so, ma al suo interno troverete una vasta e particolare scelta di Champagne: tutti piccoli produttori, assolutamente sconosciuti, commercialmente introvabili, sempre interessanti, molto spesso da sballo.

Ieri sera ero (quasi) casualmente lì! E per cui: Blanc de Blanc (originale l’indicazione Brut de Chardonnay…) Nature Premier Cru ( dalle vicinanze della zona di Montagne de Reims dove però si allevano i più importanti Pinot Noir da Champagne del mondo…) R.M. Hervieux-Dumez: sono pronto ad offrire una bottiglia a chi già lo conosca!

È tutto molto delicato, tutto sussurrato: cerca di imporsi per finezza, non avendo nulla di aggressivo. I profumi sono semplici, una macedonia di frutta gialla fra cui spunta nettamente distinguibile una “mirabelle” ancora non completamente matura. L’acidità è calibrata sui tenui tenori dell’alcool. In bocca ahimè spunta una sensazione di latticino, che devia poi su toni amarognoli. Potevamo essere più fortunati…

d.c.

CCXXXIX