Bonarda frizzante da Rovescala.

Vino antico come si può bere solo oramai sulle colline pavesi (ed emiliane). La porpora effettivamente tinge il bicchiere e satura il senso olfattivo stordendolo con una viola di prato leggermente appassita. Ma l’elemento che più stupisce è l’impressionante equilibrio tra la dolcezza del gusto, una acidità magicamente celata ma necessariamente contrafforte ad un calore alcolico fuori scala ed ugualmente non percepito. Da “versare” senza parsimonia sui salumi di Rovescala e da provare con una fumante scodella di anolini in brodo, conforto autunnale alle prime nebbie.

d.c.

CCLVIII

Rimaniamo lontani da Reims.

L’ho scritto ieri: questi vini sono Champagne, ma la mia idea di Champagne è diversa. Ciò non significa che non siano buoni, bensì solo diversi. La necessità di allargare i confini dalla tradizione porta necessariamente a terreni-climi-fattori umani (ossia a dirla proprio come loro terroir) profondamente differenti. Oggi siamo a Polisy a pochi passi da Celles-sur-Ource di ieri, in compagnia di un Blanc de Blanc molto differente da quello di ieri. Se nel precedente brillava una mirabile gioventù di frutto e di fiori bianchi, qui i registri sono impostati su frutta più matura, con una distinta mela golden già dolce e leggermente sfaldata. Meno intenso nei profumi, meno convincente nella struttura generale, ancora più lontano da Reims…

d.c.

CCLVII

Molto più vicino alla Borgogna che a Reims.

Google Map vi aiuterà a rintracciare facilmente Celles-sur-Ource, già a sud di Bar, talmente vicina alla Borgogna non solo da vederne le colline, ma da percepirne… i profumi…Paradossalmente il panorama è più suggestivo qui piuttosto che nelle noiose distese della Champagne, ma… Reims è veramente lontana!

Ed in terra, presumibilmente, di Pinot Noir affronto un Blanc de Blanc, assemblaggio di Chardonnay e Pinot Blanc.

Buono! Io prevenuto, ma il vino assolutamente da provare. In primis straordinario rapporto qualità/prezzo per uno Champagne proposto dalla ristorazione a poco più di 40 € (e per cui ipotizzo alla fonte vicino ai 20€). Fresco, di notevole fragranza, ti riempie prima il naso e poi la bocca di note di biancospino e poi di croccante pesca bianca. Diverso però dalla mia idea di Champagne. Bella persistenza strutturata su una inattesa ed incisiva sapidità.

d.c.

CCLVI

I confini si estendono

Siamo formalmente nelle “nuove” zone della Champagne, nello specifico nell’Aube, ma la magnifica Cote d’Or di Borgogna è veramente a vista. Ed infatti sarà anche uno Champagne con tutti i crismi, ma il modello che ha ispirato la Cosmogonia di molti appassionati qui è difficilmente rintracciabile: non dico che il vino non sia buono (perché in realtà lo è…), e nemmeno mi permetterei di affermare che questo non sia Champagne (in una sorta di sterile difesa della tradizione), ma solo che è diverso. Ora non vorrei condizionare nessuno in giudizi prevenuti, anzi invito tutti i winesnob come me ad analizzare con attenzione queste produzioni e magari a condividerne il pensiero. Il Pinot Noir è facilmente percepibile al naso: i frutti, dai piccoli neri e rossi ad una netta mirabelle, danno tutti una sensazione di maggiore maturità. Sono semplici, piacevoli, un po’ sfuggevoli, qui assolutamente privi delle mineralità e/o delle speziature del lontano nord. In bocca il sorso entra incisivo, equilibrato, di sicuro non “violento” e citrino come le impostazioni delle zone più tradizionali. La degustazione è assolutamente piacevole, tutta basata su un equilibrio fruttato. Il paragone dovuto all’unità di marchio è però, per me, ancora troppo complesso (e forse un po’ impietoso) per la radicale differenza di impostazione.

d.c.

CCLV

Vino della festa.

È sempre così! Cosa fa uno winesnob, come me, per prepararsi ad un giorno di festa? Prepara per giorni un programma, mette in fila tutte le bottiglie che gli procurano l’acquolina ed il giorno fatidico… le lascia lì perché qualcun’altro decide diversamente! Per fortuna che lo winesnob trova conforto e consolazione molto rapidamente.

Sembrava una bottiglia storica il “Rive Alte” Toc Bas del mio compleanno, dall’aspetto alquanto stropicciato nelle sue etichette rovinate, ma in realtà solo del 2016. E nonostante il sospetto di una vita scombussolata il vino era nella pienezza della sua integrità: brillantezza illuminante alla vista, profondità di profumi come solo il Tocai Friulano è in grado di regalare (sfalcio d’erbe d’alpeggio, pesca nettarina, mandorle di prima tostatura), freschezza al palato che annulla la percezione alcolica pur in presenza di un volume alcolometrico impressionante, facilità di beva che richiama il bicchiere successivo inducendo ad un irrefrenabile, ma felice, ottundimento, ritorno di polpa gialla e mandorla che si incolla al palato, riempiendoti, infinito, il pomeriggio…

d.c.

CCLIV

Come si cambia…

Ma vi ricordate quanto Merlot si beveva alla fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90? Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, tutti a rincorrere il modello Petrus (il cui assaggio manca alla mia collezione) o più umilmente (si fa per dire) il ricco di successi Masseto (anche questo manca alla mia collezione) o Redigaffi di Tua Rita (questo no! Anzi offrirò il prossimo inverno una bottiglia storica ai miei amici compagni di merende e blog in una straordinaria serata “Toscana” con numerose altre etichette storiche…privilegi da winesnob!). Tutti producevano Merlot; qui in Italia con alterni risultati; per fortuna l’offerta è andata via via rarificandosi, almeno nelle sue produzioni “in purezza”. Beh non so sinceramente quanto tempo sia passato dal mio ultimo Merlot italico (… dalla Francia e da qualche Cantone della Svizzera ho continuato a berne con soddisfazione…), e per cui alla vista di questo “strano” Provincia di Pavia IGP la curiosità è scattata irresistibile. Inchiostrato di un rosso rubino impenetrabile, mostra già al suo volteggio nel bicchiere una carica glicerica importante. Ad un finissimo e godibilissimo olfatto di cacao-cioccolato, che poi si trasforma in un dolce mon cheri, si pone a contraltare, in chiusura, una rustica nota verde onestamente non pesante ma che un po’ delude le mie attese di aver rintracciato le parvenze di una mano d’oltralpe. In bocca poi è molto corretto: nonostante i 5 anni dalla vendemmia il vino è assolutamente integro, persino giovane. L’equilibrio raggiunto tra una freschezza di sostegno ed un calore alcolico esuberante sono prova di una sapienza produttiva. Qui in bocca nessun “ritorno” erbaceo e/o d’ortaggio ma un maturando frutto glassato di fine cioccolata al latte. Incoraggiante la persistenza. Forse un vino aperto in fase evolutiva e che avrebbe meritato ancora qualche anno di affinamento in bottiglia.

Merlot “L’altra metà del cuore”, 2013. Prime Alture.

d.c.

CCLIII

Ancora a Trento.

Arduo pensare che l’umile Cuvée 600uno potesse rivaleggiare con l’imponente Maso Martis Riserva di un paio di sere fa… ma l’ultima di una dozzina di bottiglie acquistate un paio di anni fa non ha certamente fatto brutta figura, anzi mi ha stupito per l’incredibile rapporto qualità/prezzo (se ricordo bene non ho speso più di 6 euro a bottiglia!). Il vino si sviluppa su canoni previsti: lo Chardonnay è riconoscibile nelle sue note evolutive di frutta gialla matura, ma nessun eccesso stonato o che incida negativamente su un’impostazione di generale eleganza. Il vino in bocca non ha perso freschezza, ma di certo comincia a prevalere una rotondità evolutiva che lascia il palato ammorbidito ed addolcito da una piacevole sensazione di frutto. Chiusura equilibrata e stimolante al nuovo sorso.

d.c.

CCXLIX

Recupero, recupero… Recupero!

Con ancora non abbandonata la memoria dell’imperioso 2013 di Andrea Arici eccomi tuffare in un altro millesimo 2013 altrettanto straordinario.

Mai recupero alle precedenti medie fu più rapido…

Adoro Maso Martis per la finezza ultraterrena dei suoi prodotti: dal colore, alle bollicine assolutamente microscopiche e veramente infinite, alla scia agrumata dei profumi, tutto sembra costruito appositamente per stupire. In bocca poi graffia ed incide. È incredibile la profondità in cui si viene lanciati. I profumi evolvono in cangiante progressione: dall’arancia sanguinello, si passa ad un croccante tarocco per poi appoggiare su bacche rosse e nere. Con il calore la dolcezza del mirtillo ti stordisce. Ma tutto è misurato con precisione millimetrica, nulla è mai fuori posto. Solamente infinito.

d.c.

CCXLVIII

Recupero…Recupero!

Dopo tre settimane senza bollicine non potevo rischiare una delusione… meglio andare sul sicuro ed aprire qualcosa di sicuramente buono.

Sono affezionato alla cantina di Andrea Arici, non foss’altro perché i suoi vigneti mi salutano tutte le mattine e mi accolgono, la sera, al mio rientro. Da sempre interprete ed autore del “non dosaggio” caratterizza i suoi vini esaltando la percezione del frutto, sempre maturo, rotondo, quasi edibile. Normalmente amato da tutti i palati, dai meno avvezzi ai più raffinati, ma questi prodotti rappresentano un unicuum nel territorio franciacortino, non immediatamente paragonabili agli altri consorziati.

Pinot nero di frontiera, allevato sulle pendici dei confini orientali della Franciacorta, confonde il naso con profumi più di frutta a polpa gialla (tra una mela golden e forse una annurca ben matura) che dell’atteso agrume. Affascinante una lievissima sensazione di tostato che rimane anche negli aromi da retrolfattazione. Incredibile la tenuta alla temperatura. Il vino si scalda, cambia verso toni di maggiore maturità, ma resta costantemente godibilissimo. La pienezza del frutto è tale che arrotonda l’entrata al palato, scalfito dalle durezze ma immediatamente lenito. Persistenze da Grand Cru.

Dosaggio Zero Nero millesimo 2013… 2 bottiglie per il recupero potranno bastare…

d.c.

CCXLVII

Scacciadiavoli Grechetto doc 2017.

Mi ero ripromesso, quest’estate, di bere e raccontare, nel mio giro d’Italia con la mia truppa, una quantità smodata di vini diversi. Ed invece mi sono dedicato, bevendone comunque una quantità smodata, ad una serie di birre, quasi tutte Blonde Ale, molte assolutamente straordinarie, tutte rigorosamente italiane. Ma dal momento che qui siamo su Wine Top Blog, ne tratterò in un’altra vita…

Impossibile, almeno dal punto di vista statistico, tenermi completamente a secco di vino: devo ammettere che un po’ di pigrizia mi ha bloccato la scrittura, troppo spesso corroborata da cattivi incontri.

Ma tornati in Umbria non si poteva non rincontrare un po’ di qualità. E per cui a Perugia, alle spalle del Palazzo dei Priori, in un ardito abbinamento con delle pappardelle al Nero di Norcia, un umile Grechetto doc 2017 di Scacciadiavoli. Apparentemente scarico in tutte le sue caratteristiche (giallo paglierino tenuissimo alla vista con riflessi verdognoli, una fluidità nel bicchiere fortemente accennata) in realtà stupisce per l’esuberante componente alcoolica minimamente percepita al gusto, evidentemente ben sostenuta e contrastata da componenti di acidità non immediatamente affioranti quanto invece un timbro di sapidità costante.

Ed adesso, cari amici, pronti al recupero…

d.c.

CCXLVI