LETRARI BRUT RISERVA

Non è certo una novità che il Trentodoc sia da tempo sinonimo di eccellenza, bollicine metodo classico prodotte da storici e appassionati produttori.
In questo panorama si colloca il Brut Riserva di Letrari, cantina della Vallagarina, che spumantizza “sur lies” già dai primi anni 60’. Il millesimo 2010 appare di un paglierino intenso e brillante, occhieggia l’oro nel fine perlage fitto e duraturo, un chiaro invito all’assaggio. Ma è avvicinando il naso al bicchiere che questo “Talento” affascina: i 48 mesi di affinamento in bottiglia si fanno sentire, ne spicca una fragrante croccantezza, sentori di frutta esotica su cui prevale l’ananas e note di pasticceria sullo sfondo. All’assaggio si evince tutta la complessità e la struttura che ci si aspetta da un Trentodoc di razza, una spuma cremosa avvolge la bocca lasciando una lunga persistenza di frutta matura e una leggera sensazione speziata.
Ottimo aperitivo, intenso ed elegante sicuramente indicato anche a tutto pasto.

R.R.

Non è tutto indimenticabile…

“Nel grande disegno delle cose, anche l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale” queste non sono solo le parole di Monsieur Ego nel monumentale “Ratatouille” ma di fatto rappresenta la filosofia di questo blog che cerca di raccontare incontri, per quanto non sempre felici, ma mai di criticarli.

E così non ricorderemo a lungo il Rosé 28.9 di Nettare dei Santi, cantina in San Colombano al Lambro. Colore di una intensità strabiliante, molto luminoso e molto arancione, segno di una prolungata permanenza sulle bucce, da cui sono stati estratti non solo gli iniziali profumi di fragole, ma anche note di vinosità un po’ cupe e non “pulitissime”. Anche al palato la vinosità è prevalente, con la preoccupazione di apparire acido, pur in un contesto di struttura debole che non richiederebbe tanta durezza. Il cupo percepito al naso si trasforma in amaro una volta bevuto.

d.c.

CCLXI

Lugana sorprendente.

Sorprendente è ciò che cagiona sorpresa. E questo famoso Lugana mi ha letteralmente sorpreso: l’aromaticità (o la semi-aromaticità) di questa Turbiana è assolutamente… sorprendente! È la riprova che nel mondo del vino l’approccio socratico del sapere di non sapere è regola da incidere nella pietra anche dopo trent’anni di stappature: al primo respiro il pensiero di un Lugana mi era lontano. Ho guardato e riguardato l’etichetta per rintracciare elementi di modernità, ma niente… Turbiana in purezza? Il vino è buono, solare: i profumi di grande intensità spaziano dalla frutta gialla, una pesca a pasta matura, a note agrumate fino a sconfinare ad effluvi erbacei di erbe aromatiche. Di grande equilibrio il palato che alterna alla freschezza di struttura note e pennellate di calore che ricordano i vini delle latitudini del Sud. Bella persistenza che è giocata sulle percezioni della frutta dolce.

d.c.

CCLX

“SUFRAGIO” CHARDONNAY D.O.C. DI STELLA (PIEMONTE)

Ultima, o quasi, grigliata dell’estate. Dopo il giro di bollicine di benvenuto si passa ai bianchi fermi per accompagnare il pesce, ottima occasione per provare il nuovo Chardonnay “Sufragio” 2017 di Stella storico produttore del Monferrato.

Convince subito e all’assetata compagnia di amici è immediatamente scattata l’idea di una mini verticale per paragonarlo all’annata precedente di cui ho prudentemente conservato alcuni esemplari.

Il 2016 appare giallo intenso con un carattere deciso, corposo e un tono di banana inconfondibile, di grande struttura e pienezza che forse, al primo sorso, risulta essere quasi esuberante.

Il 2017 a differenza del suo predecessore mostra riflessi verdognoli e note più fresche con frutta meno matura quasi tropicale, si evince un sentore di ananas e una punta di erbaceo.

Ne spicca la freschezza che lo rende di più facile beva pur conservando una buona struttura, forse più facile come aperitivo se si ama bere un vino dal deciso carattere (entrambi vantano un grado alcolico di 14,5°), ma per accompagnare una grigliata o una zuppa di pesce si consiglia il 2016 anche se all’ultima annata non manca certo la persistenza.

Bella bevuta anche in considerazione dell’ottimo rapporto qualità prezzo.
Non cambia solo l’etichetta di questo interessante Chardonnay.

R.R.

Bonarda frizzante da Rovescala.

Vino antico come si può bere solo oramai sulle colline pavesi (ed emiliane). La porpora effettivamente tinge il bicchiere e satura il senso olfattivo stordendolo con una viola di prato leggermente appassita. Ma l’elemento che più stupisce è l’impressionante equilibrio tra la dolcezza del gusto, una acidità magicamente celata ma necessariamente contrafforte ad un calore alcolico fuori scala ed ugualmente non percepito. Da “versare” senza parsimonia sui salumi di Rovescala e da provare con una fumante scodella di anolini in brodo, conforto autunnale alle prime nebbie.

d.c.

CCLVIII

Rimaniamo lontani da Reims.

L’ho scritto ieri: questi vini sono Champagne, ma la mia idea di Champagne è diversa. Ciò non significa che non siano buoni, bensì solo diversi. La necessità di allargare i confini dalla tradizione porta necessariamente a terreni-climi-fattori umani (ossia a dirla proprio come loro terroir) profondamente differenti. Oggi siamo a Polisy a pochi passi da Celles-sur-Ource di ieri, in compagnia di un Blanc de Blanc molto differente da quello di ieri. Se nel precedente brillava una mirabile gioventù di frutto e di fiori bianchi, qui i registri sono impostati su frutta più matura, con una distinta mela golden già dolce e leggermente sfaldata. Meno intenso nei profumi, meno convincente nella struttura generale, ancora più lontano da Reims…

d.c.

CCLVII

Molto più vicino alla Borgogna che a Reims.

Google Map vi aiuterà a rintracciare facilmente Celles-sur-Ource, già a sud di Bar, talmente vicina alla Borgogna non solo da vederne le colline, ma da percepirne… i profumi…Paradossalmente il panorama è più suggestivo qui piuttosto che nelle noiose distese della Champagne, ma… Reims è veramente lontana!

Ed in terra, presumibilmente, di Pinot Noir affronto un Blanc de Blanc, assemblaggio di Chardonnay e Pinot Blanc.

Buono! Io prevenuto, ma il vino assolutamente da provare. In primis straordinario rapporto qualità/prezzo per uno Champagne proposto dalla ristorazione a poco più di 40 € (e per cui ipotizzo alla fonte vicino ai 20€). Fresco, di notevole fragranza, ti riempie prima il naso e poi la bocca di note di biancospino e poi di croccante pesca bianca. Diverso però dalla mia idea di Champagne. Bella persistenza strutturata su una inattesa ed incisiva sapidità.

d.c.

CCLVI

I confini si estendono

Siamo formalmente nelle “nuove” zone della Champagne, nello specifico nell’Aube, ma la magnifica Cote d’Or di Borgogna è veramente a vista. Ed infatti sarà anche uno Champagne con tutti i crismi, ma il modello che ha ispirato la Cosmogonia di molti appassionati qui è difficilmente rintracciabile: non dico che il vino non sia buono (perché in realtà lo è…), e nemmeno mi permetterei di affermare che questo non sia Champagne (in una sorta di sterile difesa della tradizione), ma solo che è diverso. Ora non vorrei condizionare nessuno in giudizi prevenuti, anzi invito tutti i winesnob come me ad analizzare con attenzione queste produzioni e magari a condividerne il pensiero. Il Pinot Noir è facilmente percepibile al naso: i frutti, dai piccoli neri e rossi ad una netta mirabelle, danno tutti una sensazione di maggiore maturità. Sono semplici, piacevoli, un po’ sfuggevoli, qui assolutamente privi delle mineralità e/o delle speziature del lontano nord. In bocca il sorso entra incisivo, equilibrato, di sicuro non “violento” e citrino come le impostazioni delle zone più tradizionali. La degustazione è assolutamente piacevole, tutta basata su un equilibrio fruttato. Il paragone dovuto all’unità di marchio è però, per me, ancora troppo complesso (e forse un po’ impietoso) per la radicale differenza di impostazione.

d.c.

CCLV

Vino della festa.

È sempre così! Cosa fa uno winesnob, come me, per prepararsi ad un giorno di festa? Prepara per giorni un programma, mette in fila tutte le bottiglie che gli procurano l’acquolina ed il giorno fatidico… le lascia lì perché qualcun’altro decide diversamente! Per fortuna che lo winesnob trova conforto e consolazione molto rapidamente.

Sembrava una bottiglia storica il “Rive Alte” Toc Bas del mio compleanno, dall’aspetto alquanto stropicciato nelle sue etichette rovinate, ma in realtà solo del 2016. E nonostante il sospetto di una vita scombussolata il vino era nella pienezza della sua integrità: brillantezza illuminante alla vista, profondità di profumi come solo il Tocai Friulano è in grado di regalare (sfalcio d’erbe d’alpeggio, pesca nettarina, mandorle di prima tostatura), freschezza al palato che annulla la percezione alcolica pur in presenza di un volume alcolometrico impressionante, facilità di beva che richiama il bicchiere successivo inducendo ad un irrefrenabile, ma felice, ottundimento, ritorno di polpa gialla e mandorla che si incolla al palato, riempiendoti, infinito, il pomeriggio…

d.c.

CCLIV

Come si cambia…

Ma vi ricordate quanto Merlot si beveva alla fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90? Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, tutti a rincorrere il modello Petrus (il cui assaggio manca alla mia collezione) o più umilmente (si fa per dire) il ricco di successi Masseto (anche questo manca alla mia collezione) o Redigaffi di Tua Rita (questo no! Anzi offrirò il prossimo inverno una bottiglia storica ai miei amici compagni di merende e blog in una straordinaria serata “Toscana” con numerose altre etichette storiche…privilegi da winesnob!). Tutti producevano Merlot; qui in Italia con alterni risultati; per fortuna l’offerta è andata via via rarificandosi, almeno nelle sue produzioni “in purezza”. Beh non so sinceramente quanto tempo sia passato dal mio ultimo Merlot italico (… dalla Francia e da qualche Cantone della Svizzera ho continuato a berne con soddisfazione…), e per cui alla vista di questo “strano” Provincia di Pavia IGP la curiosità è scattata irresistibile. Inchiostrato di un rosso rubino impenetrabile, mostra già al suo volteggio nel bicchiere una carica glicerica importante. Ad un finissimo e godibilissimo olfatto di cacao-cioccolato, che poi si trasforma in un dolce mon cheri, si pone a contraltare, in chiusura, una rustica nota verde onestamente non pesante ma che un po’ delude le mie attese di aver rintracciato le parvenze di una mano d’oltralpe. In bocca poi è molto corretto: nonostante i 5 anni dalla vendemmia il vino è assolutamente integro, persino giovane. L’equilibrio raggiunto tra una freschezza di sostegno ed un calore alcolico esuberante sono prova di una sapienza produttiva. Qui in bocca nessun “ritorno” erbaceo e/o d’ortaggio ma un maturando frutto glassato di fine cioccolata al latte. Incoraggiante la persistenza. Forse un vino aperto in fase evolutiva e che avrebbe meritato ancora qualche anno di affinamento in bottiglia.

Merlot “L’altra metà del cuore”, 2013. Prime Alture.

d.c.

CCLIII