E con il carrello dei bolliti?

Continua il girovagare, senza sazietà, nell’allevare la ciccia che contraddistingue il nostro girovita. Ma cosa abbinare ad uno straordinario carrello di bolliti ed arrosti? Trovandosi in terra veronese, presso il famoso “Ceccarelli”, abbiamo ricercato un abbinamento di vicinanza, preferendo un Ripasso locale di Tommasi. Di colore intenso e purpureo, rimarca con forza al naso un impeto alcolico (pur mostrando un volume alcolico complessivo non impressionante) ed una varietà un po’ monocorde di frutti rossi, in primis la prugna disidratata. Corretto al palato, forse apparentemente già più squilibrato verso le morbidezze, ma la bocca risulta sempre perfettamente pulita e mi permetterei di dire “sgrassata” pur in presenza di un piatto impegnativo. Certamente la ratio prezzo/qualità per una bottiglia di poco superiore ai 12 eur al ristorante ne aumenta verticalmente la godibilità.

d.c.

CCLXXXIV

Sfursat Fruttaio Cà Rizzieri 2013. La versione di d.c.

Per molto tempo la mia dichiarata nebbiolodipendenza mi ha portato a navigare tra Langhe, Roero e Valtellina (nonché zone più marginali, come oramai sapete…): tutte espressioni diverse di un vigneto che ti appaga, sempre, ma non ti sazia, mai. Ed in Valtellina ho sempre ritrovato l’eccellenza espressiva in due grandi vini: lo Sforzato 5 Stelle di Nino Negri ed appunto il Fruttaio di Rainoldi. Potete immaginare come siano brillati i miei occhi quando la comanda è stata lanciata, colma di sicumera ed un po’ di tracotanza, da parte di R.R.: è evidente che questo Sfursat sia un monumento per tutti gli amanti del bere bene.

Rosso rubino di profondità abissale. Profumi mai domi, che continuano a cambiare e rincorrersi: lo spettro olfattivo è impressionante. Difficile definire una complessità non arginabile che va dal frutto rosso e nero di bosco (fragolina, mirtillo, lampone) per poi trasformarsi in una dolcissima mora di gelso, per poi ancora andare su note terrose, di fungo essiccato, di tabacco e probabilmente di cuoio toscano. E la ruota del pavone continua a girare, e la nostra capacità percettiva è finita, incapace di farsi ulteriormente impressionare. Quando scende nel cavo orale non si percepisce minimamente l’elevato contenuto alcolico, ma rimane integro, racchiuso all’interno di due lunghissimi binari di durezze che ne regolano una struttura sontuosa e granitica. Persistenza non terrena: a giorni di distanza mi pare di averlo ancora lì in bocca. Suggestione? Senz’altro! Ma R.R.raccontami il tuo Cà Rizzieri… il mio è stato, come sempre, indimenticabile.

d.c.

CCCLXXXIII

Roverone 2014. Colline del milanese igt

Vino da tutti i giorni, ma che ricerca una correttezza di impostazione non banale. L’uvaggio di tre uve diverse (Barbera, Croatina e Merlot) regala profumi di tradizionale “vinosità”, senza mai però scadere nel rustico. Le note sono fresche, di frutta rossa croccante al morso, ovvero di fragola non ancora dolce. Mi attendevo un apporto erbaceo, in realtà assolutamente assente. Certamente di non impressionante complessità, anzi fa della sua sottigliezza la cifra di maggior godibilità nella bevuta. Sottigliezza che si trasmette anche al palato, dove si presenta ancora “duro” nonostante i quattro anni di maturazione. Persistenza coerente alla tipologia del prodotto che non vuole stupire, ma, credo, accompagnare il pasto quotidiano lasciando certezze.

d.c.

CCCLXXXII

Nella valle della Senna

Siamo a sempre a Sud di Bar, a Celles sur Ources appoggiata sugli argini della Senna, ancora concentrati sui nuovi confini meridionali della Champagne. Siamo partiti qualche tempo fa dalla “Riserva” di questo piccolo RM: Tassin. Siamo passati da un Blanc de Noir a settembre. Siamo atterrati sul prodotto base qualche giorno fa: un insolito assemblaggio di Pinot Noir e Pinot Blanc molto, ma molto, interessante. È fresco, facile, docile ma contemporaneamente godibilissimo. I profumi sono ancora nella loro versione giovanile: netti profumi di piccoli frutti rossi, fra tutti la non troppo usuale mora da gelso, una nettissima ed intrigante fragolina di bosco che presto si trasforma in lampone. La sensazione del frutto è dolce, ma l’acidità è al massimo e mai la bocca si convince di percepire dolcezza. Il prezzo? Strabiliante! Alla fonte meno di 20 euro. Ce ne vorrebbero bancali…

d.c.

CCLXXXI

Il nebbiolo di Gattinara. La versione di d.c.

Come è bello il nebbiolo di Gattinara, e tra tutti il nebbiolo di Travaglini. Si, perché il bicchiere di Gattinara di Travaglini ti riempie e ti lascia con una stupenda percezione di bellezza. Può essere bello un vino? Credo fortemente che la percezione dell’assoluto (quand’anche relativo) sia una percezione estetica. La bottiglia avrebbe meritato di attendere qualche lustro prima di essere stappata, ma la bellezza ha una pienezza nell’età infantile, in quella adulta e finanche in quella della maturità. Il colore è un rubino tra la trasparenza e la brillantezza; i profumi sanno di mora, prugna, un po’ di mirtillo appena raccolto, poi incredibilmente di tabacco, poi un passaggio rapido di un oggetto di cuoio. E tu rimani lì come uno stupido con il naso nel bicchiere ad ascoltare ciò che immediatamente lo stesso ti suggerirà ancora. In bocca entra finissimo, con un’eleganza femminile divina: la freschezza è misurata ma tagliente; ma è lo stato del tannino che impressiona e commuove: è un velo di seta che avvolge il cavo orale e lo sazia. E di tutto ti rimane, per interi minuti, un cacao in polvere mai amaro.

Perché la versione di d.c.? Perché questo come altri due vini sono stati stappati alla presenza degustante del nostro R.R. È evidente che ne attendiamo la “versione” (di questo miracolo e degli altri…).

d.c.

CCLXXX

Apres déjeuner sur…

Ha l’incredibile intensità di colore di un tramonto d’agosto: gli occhi non riescono a staccarsi dal bicchiere brillante che irradia la tavola. E L”Oeil de perdrix” che ha riposato almeno due lustri nella mia cantina ha voglia di stupire ed urlare tutta la sua forza: l’intensità della luce è intensità dei profumi che nascono da una spremuta d’agrumi, ma che con stupefacente repentinità si complicano come in un mercato di spezie d’Oriente (suggestionandomi fino a percepire la curcuma…) per poi ritornare alle origini di un piccolo frutto rosso immaturo. Praticamente un percorso inverso. Sorprendentemente fresco al palato, non lascia mai trasparire la sua età e si lascia abbandonare con una lunga scia di intensa sapidità. Immenso e irripetibile.

Vincent Dauvergne Grand Cru di Bouzy.

d.c.

CCLXXVIII

Polenta, lomaghe e…

Dell’autunno amo i colori, il clima e quella insanabile voglia di “ciccia” che distrugge senza remore la malata tensione alla “prova costume” estiva… E per cui allontaniamo i freni inibitori ed abbandoniamoci ai grassi (saturi o insaturi… qualunque cosa essi siano).

Ma ditemi: come fate a resistere ad un croccante spiedo bresciano o meglio ancora ad una calda polenta conciata con strachitunt, bieta e morbidissime lumache? Come resistere? E come resistere a non abbinarvi un vino che amo particolarmente per la sua semplicità ed al contempo profondità? Un vino intriso di sapienza contadina e di tradizioni pur nella sua “correttezza” enologica. Non lo tratterò qui; già spesi le mie note d’analisi in un oramai lontano passato. Qui solo il ricordo del suo nuovo passaggio nella mia vita e l’invito a tutti a non resistere, mai!

d.c.

CCLXXVII

Ancora Loira: ecco il Pouilly-fume – Chateau de Tracy

Ripartiamo da Sancerre e attraversiamo la Loira, siamo nella campagna di Pouilly-sur-Loire circondati da vigneti adagiati su lunghi e dolci pendii.
Il sauvignon di questa zona è famoso in tutto il mondo come Pouilly-Fumé, amato per il suo sentore di “pietra focaia”.

Prima tappa Domaine du Château de Tracy. Il castello, restaurato negli anni ’50 dello scorso secolo dalla nobile famiglia che tutt’ora lo abita e che ha dato inizio all’attuale produzione vitivinicola, domina le colline del borgo che porta il suo nome.
Ci accoglie la figlia del proprietario e socia della cantina che ci accompagna in un tour nelle viti. Siamo sul terreno del Silex e veniamo invitati a sfregare tra loro due pietre: si esala un sentore misto di pietra focaia, polvere da sparo e zolfo, da qui i sentori di fumé che percepiremo nel bicchiere.
La produzione è completamente consacrata al sauvignon da cui 4 Pouilly-Fumé di elevato standing: Mademoiselle de T, Château de Tracy, Haute Densité e 101 Rangs.
Iniziamo quindi con la degustazione del Château de Tracy che proviene da terreni calcarei e in parte silicei poi assemblati.
Giallo pallido nel bicchiere con riflessi verdognoli, al naso risulta intenso, fresco e ben definito. Note floreali, sambuco, poi frutta esotica e pompelmo. In bocca è cremoso, minerale, chiude con note agrumate, di buona persistenza. Perfetto per due ostriche.
Proseguiamo in crescendo con l’Haute Densité, dai migliori terreni calcarei del domaine, coltivato a circa 17000 piedi per ettaro (la media della zona è circa 7000).
Tale “alta densità” stressa la vite rendendola più robusta e spingendola a ricercare nutrienti in profondità amplificando così l’effetto del terroir.
Ogni barbatella rende un solo bicchiere di elevatissima concentrazione e complessità: una limitata produzione che, per il millesimo 2013 è pari a 3200 bottiglie.
Giallo paglierino intenso, al naso grande complessità: fiori d’acacia, ananas, pera e liquerizia. In bocca è pieno e intenso anche se la vaniglia derivante dal legno -ancora troppo esuberante – la fa da padrona. Occorrerà riprovarne una bottiglia fra una decina di anni per apprezzarne equilibrio ed evoluzione.
Concludiamo in nostro percorso con il vino di punta della maison Les 101 Rangs.
Dal vitigno più antico del castello, anche qui produzione limitatissima.
Il 50% del vino viene affinato in barriques per 9 mesi, mentre la restante metà in vasche d’acciaio soggette a rimescolamento.
Una volta assemblato si presenta dorato pallido nel bicchiere in cui occhieggiano riflessi rosa. Al naso è potente, verticale. Spicca forte la mineralità su note di arancio maturo, poi fiori di sambuco e mughetto. In bocca è intenso, profondo di grande freschezza con un finale di note dolci, mandorle tostate. Un grande vino di infinita persistenza. Pronto alla beva rispetto all’Haute Densité anche se, sicuramente, di pari potenzialità di invecchiamento.
Gran bella cantina, vini importanti, emozionanti.

Ma è ora di ripartire, alla scoperta di altre eccellenze del Blanc Fumé

…… segue.

R.R.

C’est la Loire e sua maestà «Le Sauvignon Blanc»

Vagabondare per la Francia alla scoperta dei sui favolosi vini è sempre emozionante. Se poi il fatto è di essere accolti dai leggendari “Domaine” della Loira immersi in incantevoli paesaggi ricchi di colline, castelli e vigneti, l’esperienza è da pelle d’oca. L’opportunità ci è data da una spedizione AIS Emilia, capitanata da Giovanni Derba, alla scoperta del Sauvignon Blanc. In questa zona dell’ampio panorama di produzione della Valle della Loira (che da Nantes passando per Orléans, seguendo il corso del fiume, arriva fino all’Oceano Atlantico) sapienti vigneron dediti al biologico e al biodinamico (di cui spesso non perseguono la certificazione), hanno saputo esaltare le doti di questo vitigno rendendo famosi i loro vini tra le cui eccellenze si annoverano alcuni tra i bianchi top al mondo.Siamo tra Sancerre e Pouilly-sur-Loire site ai lati opposti del letto della Loira. Il clima freddo fa maturare lentamente le uve favorendo il mantenimento dell’acidità e l’integrità dei profumi. Il sottosuolo è contraddistinto da diverse tipologie di terroir: marna “kimmeridiana”, argilla focaia e pietra calcarea (le cosiddette “caillottes”) i cui frutti, vinificati separatamente o sapientemente assemblati, esprimono nel bicchiere sentori di mineralità, pietra focaia, elegante sapidità e potenza oltre a una eccellente propensione all’invecchiamento.
Partiamo da Sancerre, dal cui belvedere si gode di una vista romantica e mozzafiato della valle della Loira, le viti sono poste in zona collinare sui 200/300 metri di altitudine e si estendono per circa 3000 ettari intorno alla cittadina. Della AOC Sancerre abbiamo avuto modo di assaggiare e visitare diversi produttori tra châteaux e cantine scavate nella roccia: Domaine de La Perriere, Chateau di Sancerre, Joseph Mellot e il petit vigneron (si fa per dire – 17 ettari di proprietà) Daniel Chotard che ci ha piacevolmente colpito.Una curiosità, la poca produzione di rosso – principalmente vocata al pinot noir – ci viene fatta degustare per prima! La motivazione dataci è legata all’autorità varietale e alla persistenza del sauvignon il quale coprirebbe, se bevuto prima, il pinot noir che comunque ci ha riservato alcune sorprese (…certo non ci troviamo di fronte alle maestosità della Bourgogne).
Ma è giunta l’ora di un bicchiere, ci troviamo a la Cave Henry Bougeois la cui famiglia detiene un mosaico di terreni tra Sancerre e Pouilly per un totale di circa 80 ettari. Cantina moderna, all’avanguardia: siamo in piena vendemmia e ci stupisce che la raccolta, per le sole uve bianche che vengono comunque istantaneamente lavorate, avvenga totalmente a macchina. Altra particolarità che ci lascia un po’ scettici, l’imbottigliamento avviene al momento della richiesta di fornitura da parte dei distributori internazionali (parliamo ovviamente di grossi quantitativi).Passando alla degustazione però le perplessità svaniscono. Dell’ampia produzione assaggiamo una decina di vini, senza nulla togliere al “Sanserre d’Antan” punta di diamante della maison, mi ha piacevolmente stupito il “La Bourgeoise” annata 2015. Proveniente da storici vitigni, vinificato parte in acciaio e per la restante in botte di quercia, “La Bourgeoise” si presenta oro pallido dai riflessi argentati, al naso è fresco con sentori di meringa agrumata, una lieve pietra focaia, spezie e frutta matura. Il gusto è pieno, armonioso, ricco di aromi profondi e variegati di bella concentrazione. Sorso di grande freschezza, con finale elegante e lunga persistenza. Davvero un bel Sancerre, da far invecchiare per una decina di anni.E’ stato piacevole (per quanto didattico) durante la degustazione paragonare la produzione locale con il “Clos Henri” da vigneto di proprietà di famiglia da agricoltura biologica a Marlborough in Nuova Zelanda: qui prevalgono le note fruttate e agrumate e una mousse di pompelmo, ben diverse dalle caratteristiche del Sancerre.Ma è giunta l’ora di andare verso Pouilly e il suo Blanc Fumè…… segue

R.R.

Quanto tempo senza vini dolci.

C’era un tempo in cui ci beavamo a degustare vini botrizzati o passiti, ed ad inventare abbinamenti avventurosi o audaci. Non c’era cena importante che non finisse con una “chicca” che attentasse a pancia e trigliceridi… Ma poi, quasi improvvisamente, ce ne siamo dimenticati, lasciando decine di bottiglie ad invecchiare ed evolvere nelle nostre cantine. E così, ogni tanto, ne affiora la voglia riportando a tavola bottiglie necessariamente agée.

Tredici anni per avere nel bicchiere un succo d’oro con un aroma di albicocca disidratata (a cui non eravamo più abituati) coniugato con sentori di marmellata di agrumi, miele d’acacia ed, ahimè, anche qualche traccia di zafferano, che un po’ indebolisce la poesia struggente. In bocca invece si compie la solita magia dei grandi vini di Sauternes, quando calore alcolico e dolcezza, necessariamente esuberanti, vengono attutiti dalla granitica durezza della componente acida. Poi persistenza caramellata.

d.c.

CCLXXII