Collio che passione – Sturm Merlot 2015

Sarà il piacere di stare in compagnia davanti a un piatto abbinato al buon bicchiere, sarà forse l’ebbrezza del tasso alcolemico, sia come sia non vi è alcun dubbio: il vino è convivialità.
Ne è conseguenza il condividere con amici la passione e l’emozione che una bottiglia ci sa donare (e fin qui….”ça va sans dire” proferirebbe Jacques de La Palisse, anche se non andò proprio così… ma questa è un’altra storia). Veniamo quindi al sodo. Questa volta è stato uno dei miei cognati, non certo nuovo alla scoperta di primizie di egual tenore, a omaggiarmi di una bottiglia di Merlot 2015 dell’Azienda Agricola Sturm di Zegla frazione di Cormons, nel cuore della DOC Collio, terra di grande espressione vitivinicola.
Nel calice il rosso rubino di vigorosa profondità è già un chiaro invito all’assaggio. Avvicinando il naso si viene avvolti dalla varietale eleganza dei frutti rossi. Ciliegia e marasca su tutti a cui segue, in perfetta armonia, lo speziato: pepe bianco e chiodi di garofano dall’affinamento in rovere (mai invasivo). In bocca l’assaggio è potente, profondo. Riempie il palato la morbidezza del frutto, poi liquirizia e note balsamiche.
Invoglia subito al secondo sorso, anche al secondo bicchiere e via seguendo……
Gran bella sorpresa, appassionante interpretazione friulana di questo meraviglioso vitigno internazionale.
Grazie cognato per avermi fatto scoprire questo entusiasmante produttore (mi toccherà andare a trovarlo). A buon rendere.

R.R.

Salutiamo la Loira con l’ultimo indimenticabile Pouilly fume’- Le Baron de Ladoucette

La giornata, magnificamente iniziata con la visita al leggendario “Domain Didier Dagueneau” (che bel ricordo…), è proseguita tra produttori delle colline di Sancerre. Nel pomeriggio riscendiamo verso Pouilly-sur-Loire e ci immergiamo nei vitigni che circondano il maestoso Château du Nozet, fulcro degli oltre 100 ettari del Domain de Ladoucette. Il bellissimo possedimento è di proprietà, già dal XVIII secolo, della famiglia del virtuoso Baron Patrick de Ladoucette, storico patron di alcune blasonate maisons dislocate nelle più importanti zone di produzione dei grandi vini di Francia (Chablis, Champagne, Chinon, Vouvray, per citarne alcune oltre, ovviamente, qui a Pouilly).
La cantina, ricavata nei locali adiacenti e nei sotterranei del castello, impressiona per la modernità, l’estensione e la tecnologia che ben si fonde con gli antichi ambienti, i soffitti a cassettone etc. Bella e imponente, da visitare. E’ il preambolo di quanto troveremo nei vini che, anche in presenza di grandi numeri, esprimono una grande passione vitivinicola legata al territorio che vanta complessità ed eleganza.
Ci trasferiamo nella lussuosa sala di degustazione, iniziamo con alcune versioni del Pouilly Fumé Baron de Ladoucette. Pur variando per intensità ed equilibrio in funzione del millesimo, nel calice appare di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, sempre cristallino. Soffice al naso con prevalenza di sentori floreali, note agrumate ed erbacee. Di ottima beva caratterizzata da freschezza e grande intensità, chiude con sapida mineralità. Con l’invecchiamento aumentano le note balsamiche ed esce, con maggiore intensità, il tipico e amato fumé.
Proseguiamo in crescendo con un Baron de L 2015, punta di diamante della produzione della maison, considerato tra le migliori espressioni del sauvignon blanc della zona e prestigiosa etichetta a livello mondiale. Oro con riverberi verdognoli, al naso l’etereo bouquet è elegante, floreale poi emergono pesca e pera con sottofondo di silicio e pietra focaia. In bocca spicca la fragranza del frutto esaltata da una intensa mineralità di lunghissima persistenza.
Bella bevuta, ma non è finita. Come già accaduto in altre cantine l’affiatato gruppo (forse meglio dire l’alcolica combriccola) pone la domanda: ma cosa beve il Barone quando soggiorna al castello?
Dopo qualche minuto di chiacchiere sull’argomento, con grande stupore di tutti, appare un Baron de L – Collection Baron Patrick de Ladoucette 2002. Nelle migliori annate una parte della produzione viene invecchiata nelle cantine del castello. Lo scopo è di bypassare le esigenze di mercato la cui energica richiesta porterebbe al prematuro consumo senza che, il vino, possa esprimere la piena potenzialità di invecchiamento che, per i grandi blanc-fumé, è davvero impressionante. Appare dorato con riflessi brillanti. Ma è avvicinandolo il calice al naso che questa delizia esprime tutta la sua eccelsa fragranza. Frutta tropicale, sentori vegetali, iodio, poi fine pietra focaia e grafite. Come già successo per il Silex di Dagueneau bevuto di pari annata, l’affinamento ha elevato questo vino alla sua massima espressione. In bocca è affascinante, corpo importante, pieno e avvolgente di matura sapidità. Assolutamente emozionante.
Questa riserva si colloca tra i migliori Pouilly fume’ degustati, concludiamo davvero in bellezza.……chapeau Barone.
Ci rechiamo al wine shop nel parco del castello, dove non resisto all’acquisto di uno chablis Albert Pic 1er cru 2005 (tra le maisons di proprietà), ma questa è un’altra storia……..
Il meraviglioso tour tra le eccellenze del sauvignon blanc è giunto al termine. Ottimi assaggi. A tutti i compagni di avventura un grosso grazie, arrivederci alla prossima “scampagnata”.

R.R.

Non va sempre benissimo…

Qualcuno si domanderà legittimamente se, con tutto il vino che si beve (qui sopra, vi assicuro, affiora solo una parte, forse anche piccola…) non capiti mai la bottiglia sbagliata ovvero il vino da non ricordare. Capita… capita anche molto spesso! L’ultima volta eccola qui! Non citerò la cantina ( della quale però, come da tradizione, lascio testimonianza), anche perché ne parlai in modo lusinghiero già in passato per aver degustato prodotti semplici ma godibili, e soprattutto perché occupa un angolo di paradiso sul cocuzzolo di una collina piacentina che mi ha rubato occhi e cuore. Ma la bottiglia che ho aperto era proprio andata… peccato! Le attese erano per un vino un po’ sfacciato e tracotante che… è finito senza decoro nel secchiaio! Sarà per la prossima volta.

d.c.

CCXCIII

San Cristoforo Pas Dosè 2013

Era tanto che non riapprodavo alle sponde di questa virtuosa cantina franciacortina, mai in assaggio di un non dosato. Non c’è da sorprendersi se una cantina che ha sempre fatto della qualità una delle proprie caratteristiche salienti se ne esca con un prodotto da… urlo. È un vino dal taglio moderno, ma che di fatto rappresenta un po’ un archetipo, un modello di cui mi sono riempito testa e bocca. È apparentemente semplice, schietto… vero; ma in realtà è sintesi e misura. Paglierino alla vista, con persino riflessi verdognoli (segno che il tempo è stato domato). Il naso si impressiona facilmente per l’intensità della scossa: ed anche qui una netta sensazione di frutta croccante, forse anche acerba. Non c’è una complessità da far girare la testa, anzi, ma un’integrità del frutto da divenire sostanza. In bocca è cesello e bisturi: ritorna l’idea della misura perfetta, scientifica; tutto è perfettamente calibrato, ma l’equilibrio sa di naturale, mai di artefatto. Ed anche qui una croccantezza di frutto che disseta e che diventa edibile.

d.c.

CCXCII

Rebo di Vallecamonica

Ne è passato di tempo daile prime scorribande enoiche in Vallecamonica e non si può dire che lì il tempo si sia fermato; infatti la qualità della produzione sta crescendo verticalmente di vendemmia in vendemmia. Ne è testimonianza questo “vino rosso” ( che bella la sperimentazione fuori dai disciplinari giustamente rigidi…) da vitigno Rebo (incrocio genetico tra Teroldego e Merlot) prodotto da una delle cantine più attive nella promozione del vino camuno (Rocche dei Vignali). Pur nella sua semplicità (ed economicità) appare corretto, con profumi di netta impronta fruttata (gradevolissima la ciliegia affiorante), nessuna nota verde né al naso né al palato. Le note di grande freschezza percepite tra i profumi si ribadiscono in bocca con un liquido corroborato da elevata acidità, che pulisce e drena con forza, ma che progressivamente svanisce lasciando un ricordo di mora da rovo appena raccolta.

d.c.

CCXC

Voglia di Chianti

Ammetto da sempre di essere nebbiolodipendente, ma talvolta, alcune sere, soprattutto autunnali, mi cresce una irrefrenabile voglia di Vino Toscano e fra tutti di Sangiovese Toscano, ed a quel punto l’irrefrenabilità si trasforma in stappature…

Il primo Chianti, Tenuta Cortine e Mandorli, viene da Montespertoli, confinante tra le “Classiche” Val di Pesa e Val d’Elsa. L’avevamo già incontrato qui, nelle nostre chiacchiere sul vino, almeno un autunno fa (…), ed un’ ulteriore stagione di maturazione gli ha giovato. È tutto ben equilibrato: il frutto rosso e dolce è ben supportato da una freschezza, mai soverchiante, che comincia però a far affiorare in chiusura piacevolissime note di rotondità cioccolatose.

Di impressionante vivacità invece l’intensità fruttata della Riserva “Classica” 2008 seguente. Chissà come sia arrivato nella mia cantina e chissà come mai la nostra Bibbia (wine-searcher) non conceda citazioni per la vendemmia 2008 (ho per le mani un pezzo unico?). I profumi richiamano una macedonia di piccoli frutti rossi e di prugna, ma rapidamente affiora una nota terrosa che diventa cuoio e poi fungo. In bocca risulta, nonostante i due lustri sulle spalle, giovanissimo. Le durezze imperano: acidità a manetta e tannino ancora ruvido, che avrebbe permesso alla bottiglia di durare integro per ancora molto tempo. Gradevole il ritorno di prugna che svanisce piano piano.

d.c.

CCCLXXXIX

…Adesso ne abbiamo la certezza!

…passano due giorni: una nuova tavola, in un luogo nuovo, ma chiudiamo con l’ennesimo vino dolce (e siamo a tre in meno di 20 giorni, dopo lo zero di alcuni anni…). Un vino dolce che rappresenta per me assolutamente una novità: un passito di uva Verdea dalle colline di San Colombano. Nel complesso molto semplice, sicuramente più sbilanciato verso le componenti morbide rispetto ai campioni (nel significato valoriale del termine) dei giorni precedenti. Ma lo ricorderò per un gradevolissimo profumo di albicocca disidratata e per un’altrettanto nobile aroma, seppur sussurrato, di marmellata di agrumi, segno tangibile che la strada intrapresa dai vinificatori è quella corretta.

d.c.

CCLXXXVIII

Due indizi fanno una prova. La versione di d.c.

Qualche giorno fa ci stupivamo di come fosse divenuta oramai desueta la degustazione di vini dolci, in occasione della strappatura di un solare Sauterne. A pochi giorni di distanza il desiderio di aprire nuovamente una bottiglia dolce: vuoi vedere che il gusto sta ricambiando, portando nuovamente a godere delle note da appassimento?

È ambra antica nel colore, scende e rotea nel bicchiere con viscosità. L’ambiente si permea di sentori di fichi maturi, zucchero caramellato, di una carruba appiccicosa, ma anche di profumi della terra: ha ragione R.R. quando evoca la presenza del “fungo”, perché effettivamente la nota di fungo essiccato c’è, come la chiusura speziata o forse di ginger, di zenzero. E come tutti i grandi passiti la prima percezione di quando il nettare scende in bocca non è la dolcezza né la morbidezza dell’alcol bensì una astringenza acida. Bellissimo poi l’oblio in un crescendo mellifluo.

d.c.

CCLXXXVII

Franciacorta, i love you. Nr. ?

Si, lo so! So perfettamente che i tre (o tremila) lettori di WTB diranno che parliamo sempre delle stesse cantine… forse è anche vero, ma… quanto è buono il Brut 2010 di Ronco Calino! Le bollicine sono minuscole ed infinite, movimentando un giallo che ha già acquisito un gradiente di intensità di colore superiore. I profumi sono ammalianti: alla polpa gialla della frutta, alle note agrumate di mandarino ed alla piccola pasticceria si associano note evolutive ancora più interessanti, forse speziate; incredibile la carruba che lascia i bordi del bicchiere ed una insolita (in Franciacorta) mirabelle di stampo “nobile”. In bocca esalta la precisione: tagliente all’ingresso, pieno al palato, di elegante e lunghissima persistenza.

A che numero siamo arrivati per “Franciacorta, I love you”? I lettori, se provano un vino così, sicuramente mi perdoneranno…

d.c.

CCLXXXVI

Proseguendo con il Pouilly fume’- Didier Dagueneau “Le Roi du Sauvignon Blanc”

Ci sono ricordi che rimangono indelebili nella nostra mente, momenti emozionanti che anche il vino sa regalare….. mi era già successo da Mouton Rothschild ad esempio o da Château d’Yquem….
Siamo ancora immersi tra i dolci pendii di Pouilly-sur-Loire, lo sguardo si perde all’orizzonte nei vitigni.
Percorriamo una piccola stradina di campagna, Rue Ernesto Che Guevara – Saint-Andelain.
I lettori più appassionati avranno sicuramente già compreso, ci troviamo nel cuore dei 12 ettari di produzione di un grandissimo vigneron che portava i capelli scompigliati e la barba incolta, dedito alla cultura biodinamica, anticonvenzionale e fuori dagli schemi che ha saputo elevare il suo sauvignon blanc a rango di eccellenza, fino a divenire mito.
Già da tempo annoverato nei libri e nelle riviste del settore Didier Dagueneau, a volte definito pazzo (sicuramente un genio della viticoltura), ci ha atrocemente lasciato nel 2008 a soli 52 anni. I figli Charlotte e Louis-Benjamin proseguono la sua opera alla guida della Maison che esprime la quintessenza del terroir di questa zona della Loira.
E’ fine settembre e fervono le attività della vendemmia, non ci avevano assicurato la visita e invece, veniamo accolti all’interno della piccola cantina (circa 50 mila bottiglie prodotte all’anno).
Ci incuriosisce la particolare vinificazione, da subito in barrique per un anno poi in acciaio per lo stesso periodo. Assaggiamo il vino in primeur, come avviene dai grandi del Bordeaux, rimaniamo sbalorditi e capiamo che siamo davanti a qualcosa di grande, il vino dopo un anno in legno ne trattiene solo un lieve sentore.
Sorseggiamo poi il prodotto dalle vasche di acciaio: Silex e Pur Sang del millesimo 2017 e già i vini, per quanto non pronti, donano sentori e profumi complessi, variegati.
La visita giunge alla fine, ci viene versato nei raffinati calici fornitici per la degustazione Le Jardin de Babylone vino dolce di grande eleganza e complessità. Petit Manseng, vinificato e maturato in barrique. Giallo oro intenso, di elegante morbidezza e profondità. Si godono sentori di frutta esotica matura e spezie dolci. Lascia la bocca fresca, di lunghissima persistenza. Spettacolare anche perché ottenuto, con nostra sorpresa, senza attacco di botrytis.
Soddisfatti siamo pronti a lasciare la cantina ma un vigneron, forse incitato da alcuni compagni di viaggio, sta versando nei bicchieri una bottiglia di Silex annata 2002.
Contemplato a pieno titolo tra più grandi vini bianchi al mondo, nel calice si mostra giallo paglierino con decisi riflessi brillanti. Al naso è emozionante, ricco e complesso. I 16 anni di affinamento ci restituiscono, probabilmente, il vino al massimo della sua essenza. Mineralità di grande eleganza, effluvi tipici del siliceo: fumè, pietra focaia e grafite. Poi emergono erbaceo, scorza d’agrume e frutta tropicale.
Il sorso è eccelso, affilato e avvolgente. Di grande freschezza, riempie il palato con equilibrio vellutato e morbidezza che lascia spazio a un finale di profonda sapidità aromatica. Persistenza infinita.
Vino impressionante, indimenticabile. Per chiudere in gloria non ci rimarrebbe che assaggiare l’Asteroide “Franc de Pies”. Ma lasciamo questa leggenda ai nostri sogni…
Che altro dire, mi affido a un romantico motto Cubano dedicato appunto al “Che” che calza a pennello: grazie Didier “tu ejemplo vive tus ideas perduran”.

Un encomio a Simona e Giovanni, le nostre guide, che con il loro impegno ci hanno regalato questa grande emozione. Grazie
E ora via verso l’ultima tappa del Blanc Fumè …… segue

R.R