Miscellanea III

Essere o non essere?…Franciacorta o non Franciacorta? Sicuramente NON Franciacorta! La nostra bellissima merenda è in compagnia di una Magnum VSQ senza fascetta ma… sfido il più preparato degustatore a coglierne elementi distintivi da un “classico” Franciacorta Brut base.

Attendo.

d.c.

Infernot 2012. Cabanon

Quanta potenza in questo rosso di Cabanon, tutta incentrata sull’estrazione del frutto, proprio com’era d’uso all’inizio del corrente millennio. I profumi di dolci ciliegie e marasche ti assalgono, stordendoti. All’inizio l’impeto è “liquoroso”, anche con la presenza di un piccolo difetto olfattivo che appare come un neo di bellezza (e che sparirà dopo qualche minuto, forse naturale traccia della riduzione in evoluzione per quasi 7 anni). In bocca è volutamente morbido, rotondo : la componente alcolica e glicerica è la trama narrativa del racconto. L’acidità, sicuramente presente, pare richiamata in causa solamente dal ricordo del frutto, che naturalmente astringe le fauci. Lungo, lunghissimo in persistenza, invocando un antico ricordo.

d.c.

Miscellanea II

Diamante brillantissimo ed assolutamente inatteso: cremoso, sapido, di mirabile freschezza. Dalla “timbrica” francese (che, perdonerete la grettezza di giudizio dello scrivente, è da ritenersi il complimento più bello…). Ha illuminato una notte prenatalizia, vera Stella cometa (…), lasciando un ricordo indelebile grazie alla sua finezza impareggiabile; chissà quando e come poterla ritrovare.

d.c.

Miscellanea I

“Miscellanea” è un sentiero fatto da tanti piccoli incontri. Abbiamo destinato il nostro blog a divenire il nostro diario di incontri e ricordi: nei prossimi giorni vi depositerò quelli che hanno caratterizzato la fine del 2018 e l’inizio del nuovo anno.

Ero prevenuto! Lo ammetto! Il grande successo commerciale di un prodotto mi disturba ( lo so, lo so che è tutta invidia…) e me lo fa apparire meno interessante di quello che in realtà è. E così, dopo tanto tempo, sono ritornato a stappare la Cuvée Prestige di Ca’ del Bosco. Quanto tempo ho perduto! Si… perché in effetti è proprio buono. Nonostante sboccature molto recenti, il vino appare di grande struttura che si appoggia tra una bella acidità coriacea ed un croccante frutto giallo estivo. Provato una volta: convincente. Riprovato qualche giorno dopo: promosso. Ha accompagnato la nottata di San Silvestro con un sublime formato magnum.

d.c.

Un nome, una certezza: Maso Martis DosaggioZero Riserva 2013

Non è certo un mistero la passione che ho per bolle di montagna, a partire dai blasoni, dai miti (Giulio Ferrari su tutti) fino ai piccoli, piccolissimi produttori di cui anche ultimamente ho avuto il piacere di assaggiare vere e proprie perle di effervescenza.
Ma c’è una cantina che negli ultimi anni ha saputo emozionarmi dandomi la sensazione, riscontrata anche da parte di altri amanti di bollicine, di essere un punto di riferimento nei meandri del pregiato panorama del Trentodoc: Maso Martis.
Produttore già apprezzato in passato dai miei compagni di avventura, di recente ho avuto il piacere di bere una bottiglia di dosaggio zero. Taglio ultimamente di moda che sta prendendo piede anche tra i “vignaioli” del Trentino, personalmente molto apprezzato perché spesso sa esaltare le caratteristiche organolettiche di frutto e terroir.
Certo qui ci troviamo davanti a una riserva che si eleva per almeno 36 mesi sui lieviti e che vede lo chardonnay, impiegato per il 30% rispetto al 70% del pinot nero, affinarsi per circa 8 mesi in barrique.
Paglierino luminoso dal suadente perlage di finissima bollicina. Naso elegante ed affilato, fiori e fragranza di agrumi, poi effluvio di lievito in cui si fa spazio la nocciola. Entra deciso al palato, mousse ricca che rievoca la mandorla croccante. Fresca brezza di montagna. Per quanto secco lascia morbidezza in bocca, quasi non fosse un pas dosè.
Sublime come aperitivo. Piena conferma alla mia sensazione…. Bravi.

R.R.

Voglia di Francia, il ricordo e l’occasione – Chablis Pic 1er Cru 2005

Weekend.Visita al ristorante di un caro amico noto sommelier, amante del vino e della buona compagnia: è l’opportunità! Ogni volta che ho il piacere di andare a salutarlo trova il modo per farmi degustare qualcosa di unico: questa volta vorrei ricambiare. Scendo in cantina; l’avevo acquistata appositamente per una di queste occasioni; il ricordo subito corre all’ultimo viaggio in Loira, l’avevo così già citata nel post dedicato alla visita al Baron de Ladoucette: “Ci rechiamo al wine shop nel parco del castello, dove non resisto all’acquisto di uno chablis Albert Pic 1er cru 2005 (tra le maisons di proprietà), ma questa è un’altra storia……..”.
E’ giunto il momento di bere questa titolata bottiglia. Punta di diamante della storica Maison “Albert Pic & Fils”, vinificato esclusivamente in acciaio per esaltare la fragranza floreale e fruttata di questo grande chardonnay.
Nel calice appare paglierino intenso con tenui ombreggiature di giallo antico, avvicinandolo al naso veniamo stuzzicati da un’ampia soavità di fine eleganza, emerge delicata la frutta candita e la dolcezza del miele poi nocciola seguita da una intrigante mineralità. Accarezza la bocca di piacevole freschezza nonostante l’età, ricordi vegetali con sottofondo minerali e lieve percezione di pietra focaia. La Persistenza Aromatica Intensa piacevole non lunghissima ma certo di grande eleganza.
Il ricordo della Francia, l’emozione del momento e la favolosa compagnia mi hanno regalato un bellissimo pomeriggio ovviamente proseguito con altre spettacolari bottiglie…

R.R.

Strane affascinanti bollicine Trentine

Piacevole sorpresa tra i brindisi natalizi il “Vulcanite” Dosaggio Zero Piffer della NeNo Spumanti d’Elite. Paglierino intenso dal brillante perlage di fine bollicina che tende però leggermente a scemare. Seducente al naso, esce a pieno la classe di questo “Talento” di tagliente precisione ancor più esaltata dall’azzeccato non dosaggio. Floreale e fruttato, poi in piena armonia piccola pasticceria, crosta di pane e un sentore di vaniglia. Il tutto sostenuto da intensa mineralità, il vero punto di forza di questo metodo classico, che chiude con una piacevole percezione di grafite (inconsueto no?). In bocca è pieno, di elegante freschezza e lunga persistenza che evidenzia energica e minerale sapidità, coerente con i sentori già percepiti al naso.
Gran bella scoperta, ideale accostamento a ostriche e crudités per chi avrà occasione di degustarle in questo periodo di feste….. a proposito: colgo l’occasione per porgere a tutti, lettori e compagni di avventura, i più cari auguri.

Buon Natale e felice anno nuovo, che una cascata di bollicine vi accompagni!!!

R.R.

Lambrusco e tartufo…

NOTE SUL TARTUFO BIANCO MANTOVANO

Del tartufo bianco mantovano ne ho sentito parlare qualche volta quando andavo a tenere delle lezioni all’ A.I.S di Mantova sui funghi e sui tartufi. La questione mi aveva lasciato molto perplesso tanto che non occupandomi specificatamente di Ascomiceti ( tartufi, spugnole etc. ) mi sono rivolto a specialisti del settore, ma anche da loro ho avuto solo notizie vaghe, vi erano solo voci di ritrovamenti nel ferrarese e nel ravennate, più o meno come i nostri ritrovamenti abbastanza casuali in Val Sabbia. Un paio di anni fa alcuni amici mi hanno fatto avere un camioncino di questo prodotto e dopo un rapido controllo al microscopio è risultato essere proprio il Tuber magnatum Pico: Tuber magnatum è il nome scientifico, Pico è colui che ha dato il nome scientifico. Per chi volesse saperne di più: Vittorio Pico, torinese, nel 1788 nella sua tesi di laurea in medicina, a pag. 79 ha classificato validamente (secondo regole nomenclaturiali, stabilite in seguito) il tartufo bianco di Alba come : Tuber magnatum.

  • LUOGHI DI RITROVAMENTO DEL “ Tuber magnatum “

Basso Piemonte: Roero – Langhe – Monferrato – Monregalese

Lombardia: Borgofranco sul Po – Carbonara sul Po. In provincia di Mantova

Basso Friulano: Boschi planiziali nella zona di Muzzana del Turgiano

Appennino tosco-emiliano

Appennino umbro-marchigiano

Crete senesi

Umbria: provincia di Pesaro-Urbino

Toscana: Colline Sanminiatesi ( Pi )

Marche

Molise

Campania

Calabria

Sicilia

Per il momento è stato trovato solo in Italia. Salvo in Istria ( trovato da italiani durante la costruzione di una ferrovia che raggiungeva Pola ).

  • HABITAT

Cresce in terreni marnoso-calcarei ed è indispensabile la presenza di almeno una delle seguenti latifoglie: Faggio, Cerro, Rovere, Pioppo, Carpino, Tiglio, Salice. E’ necessaria anche una certa umidità. Può essere trovato ad una profondità che varia da pochi centimetri fino ad oltre un metro. La raccolta è attentamente regolamentata, va dal 15 di Settembre al 31 Gennaio (Piemonte). Ogni regione però può emettere proprie norme. Il costo attualmente, data la buona produzione, si aggira sui 2000- 2500 € al Kg.

Ma torniamo al nostro tartufo mantovano. Io e l’amico Paolo finalmente siamo riusciti ad organizzare una spedizione cultural-gastronomica in quel di Borgofranco nel periodo della maggior presenza dell’amato tubero. Prima tappa il museo del tartufo dove una persona dell’organizzazione aspettava il buon Paolo. Sono stati illustrati gli ambienti di ricerca, le tecniche usate, l’addestramento dei cani etc. fino all’ora di pranzo, così eravamo preparati ad affrontare un’abbondate degustazione. Fortunatamente siamo stati accomandati al ristorante “Il trifoglio” di Revere , altrimenti con le nostre sole forze, data la grande affluenza di gente, avremmo probabilmente dovuto saltare il pranzo. Pranzo ovviamente a base di tartufo. Per prima cosa un antipasto “ Crostone al tartufo “: preparato da una fetta di pane abbrustolito impregnato di un sughetto a base di carne, ossa e tartufi, sopra un preparato che non siamo riusciti a scoprire di cosa era fatto tranne ovviamente un delicatissimo sapore di tartufo. Preparazione straordinaria e gradevolissima. Una scoperta di nuovi sapori dall’elevatissima qualità e piacevolezza. Mi è venuto spontaneo raccogliere con un pezzo di pane anche le gocce rimaste nel piatto. Al diavolo l’etichetta!

Dopo questa fantastica avventura occorre preparare il palato per la successiva esperienza con un vino adatto allo scopo. Ci viene consigliato un lambrusco locale: L’ “incantabiss” ( incantatore di serpenti ) del Fondo Bozzole di Poggio Rusco.

Del lambrusco abbiamo trovato solo il nome e la frizzantezza. Vino scuro quasi impenetrabile, al naso sentori distinti di frutta rossa, in bocca fruttato dal finale asciutto, una struttura poderosa, armonico, caldo, persistente. Lambrusco di nome ma non di fatto, adattissimo all’abbinamento proposto. Proseguiamo con il nostro pasto con un ulteriore antipasto: “ millefoglie di patate al tartufo “. Preparazione buona, ma un po’ scontata. Il livello del “crostone” è stato tale che qualsiasi cosa assaggiata successivamente ne sarebbe stata penalizzata. Si passa quindi al primo: “ risotto al tartufo “ . Risotto cotto con il sughetto del crostone interamente coperto da un tappeto di fettine di tartufo. Un sapore pieno e persistente, delicato ed invitante, con l’ Incantabiss un matrimonio perfetto.

Qui però ci siamo fermati! Le nostre papille gustative ci avvisavano che il livello di sazietà era raggiunto! In ossequio al “ troppo stroppia “ ci siamo fermati e siamo andati in giro per Borgofranco a meditare.

  • CONSIDERAZIONI

L’osservazione che mi ha colpito di più riguardo al tartufo bianco mantovano è che molti consumatori si aspettano un prodotto dall’aroma più intenso e rimangono delusi dalla sua delicatezza. Mi ha colpito anche l’osservazione che essendo meno intenso per ottenere risultati aromatici simili a quello di Alba o di Acqualagna occorra utilizzare più prodotto e quindi, essendo il costo riferito ad un borsino comune, quest’ultimo risulta essere più costoso. Non ho risposte penso però che anche il tartufo mantovano sia degno degli altari della gastronomia più raffinata.

Una seconda osservazione deriva dal fatto che vi sono grandi amanti del tartufo da un lato e dall’altro altri che lo detestano visceralmente.

Alcuni psicologi mi hanno detto che è molto difficile spiegare i meccanismi della psiche in fatto di gusti, qualche altro invece si è sbilanciato nel dirmi che essendo il tartufo un bene di lusso, il consumatore nell’utilizzarlo si sente particolarmente gratificato dalla considerazione che la sua condizione sociale è superiore a quello della massa. E’ in pratica lo stesso principio che muove chi consuma bottiglie di gran pregio, il cui contenuto, se non fosse in evidenza la prestigiosa etichetta, sarebbe paragonabile a vini ben più comuni: le degustazioni alla cieca ne sono la classica testimonianza. Meditate gente, meditate!

  • CONCLUSIONI

Quali vini dobbiamo prendere in considerazione per un buon abbinamento con il Tuber magnatum? La mia modesta esperienza mi suggerisce vini indifferentemente bianchi, rosati o rossi con le seguenti caratteristiche: freschezza, corpo, persistenza. Personalmente non gradisco i vini con una certa tannicità, anche se ammorbidita da lungo invecchiamento.

Cosa possiamo abbinare di meglio di una bollicina nostrana ( non pas dosè o dosaggio zero ) o una francese e… Eviterei, salvo eccezioni, quelle friulane. Oppure un vino bianco del Collio, fresco e potente, ovvero una riserva del Lugana e così via. Un chiaretto Valtenesi base groppello dell’amico Ferrarini che ho messo in abbinamento con il nostro tubero pochi giorni fa è senz’altro una scelta di successo. In ultimo anche il lambrusco prima citato.

Coraggio per conoscere bisogna provare. Sono sicuro che se appartenete al gruppo di coloro che apprezzano il tartufo bianco non resterete delusi.

Consiglio prima di un acquisto passare in banca per un piccolo mutuo.

Gradirei i Vostri pareri.

Tito

Parenti e super bollicine. Arrivano i brindisi di Natale?

Stavolta l’occasione è una cena da un cugino che, da qualche anno, con l’avvicinarsi di dicembre organizza intime cene di famiglia.
La scusa è quella di “svecchiare” la cantina per far spazio al sopraggiungere dei regali natalizi e quindi, pur variando il menù, la costante è sempre quella: bere prestigiose bollicine.
Chiama quando vuoi…. Presente!
Lo scorso anno siamo stati deliziati con una mini verticale di Cristal (annate 2006 e 2007). Quest’anno al fine di mantenere l’elevato standing per prestigio ed eccellenza, abbiamo optato per la massima espressione dell’arte champenoise della Moët & Chandon: il Dom Pérignon, etichetta lanciata sul finire degli anni ’30 del novecento probabilmente proprio per contrastare il blasone di Roederer arrivato qualche anno prima sul mercato delle “bollicine di lusso”.
Non ha certo bisogno di alcuna presentazione. Dedicato a Pierre Pérignon (monaco che, anche se qualcuno non ritiene l’inventore dello champagne, sul finire del XVII secolo ha ampiamente contribuito a rivoluzionare la viticultura e il vino), siede a pieno titolo nell’Olimpo delle migliori bollicine al mondo.
Prodotto solo nei migliori millesimi con un sapiente assemblaggio di selezionate Cru di Chardonnay e Pinot Noir riposa sur lies per almeno otto anni ed è vocato a estremo invecchiamento pronto per sfidare i decenni.
Ma bando alle chiacchiere e passiamo al bicchiere, lasciamoci sedurre finalmente dalla grazia di questo Dom Pérignon Vintage 2006. Occhieggia brillante l’oro nel giallo intenso costellato dalle finissime bollicine dell’ipnotizzante perlage. Naso di aggraziata e precisa intensità, bouquet etereo, complesso e intrigante di rara sensualità (uso improprio del termine? Provare per credere). Fiori bianchi poi frutta candita, ricordi di fieno, fragranza di nocciola tostata in cui poi entrano burro di arachidi e un delicato zucchero filato, il tutto in armonioso equilibrio aromatico. Sorso sapido, avvolgente di appagante lunghezza, lievi rimandi di torrefazione in un crescendo di ammaliante e soave cremosità.
Tra le più eleganti bollicine mai bevute. Noblesse oblige.

Quale miglior modo, anche se giocato un po’ in anticipo, per dar il via ai brindisi di Natale??
Grazie cugino.

R.R.

Ed i francesi parlano sempre di primo naso

Le 1er nez, il primo naso, come se dovessimo scostarci dal bicchiere, cambiare lo strumento del mestiere, tarato su nuovi parametri, e riaccostarsi per ascoltare di nuovo qualcosa di nuovo. Credo che pochi vini abbiano una rapidità di cambiamento pari allo Chablis: tutti cangiano con progressioni a volte miracolose, ma i buoni bicchieri di Chablis si modificano ad ogni olfattazione, come in una trottola odorosa. Subito minerale, di gesso e granito, poi verde d’erbe di sfalcio, poi agrumato con la buccia di lime, e poi, di nuovo, un po’ verde erbaceo-aromatico, si distingue netto il dragoncello, ed infine ancora affiora l’anima dello Chardonnay con la frutta gialla, ma non giunta a piena maturità. Ma di quanti “arnesi” ci dobbiamo dotare? In bocca è lama sottile: la struttura è tutta alternata tra l’acidità corrosiva ed una mineralità gessosa e calcarea che impedisce alle note più morbide persino di apparire. Scia lunghissima sapida, mai amara.

d.c.