Ricorso in appello.

L’avevamo incontrato qualche mese fa. L’avevamo trattato male, apprezzandone solo il prezzo, ma ne avevamo stigmatizzato una debolezza generale ed una assoluta mancanza di carattere. Forse avevamo esagerato, forse era la bottiglia non nobile, forse eravamo in giornata no noi… non ricorreremo alla Corte di Cassazione!

Anticipo però che nella stessa occasione abbiamo aperto anche un altro prodotto della cantina di tutt’altro tenore: ne parleremo presto.

d.c.

Perlé 2012. Ferrari. Trento doc.

Campiono le vendemmie, una dopo l’altra, ma il Perlé rimane sempre un paradigma. Appare strano come un dichiarato non sostenitore del franciacortino Satèn, sia tanto innamorato di un prodotto similare, prodotto con Chardonnay di pochi gradi di parallelo più a nord. Fresco, cremoso, giocato al naso ed in bocca tra fiori bianchi e frutta gialla, di rilevante persistenza; di mirabile eleganza. Abbinabile praticamente a tutto. Un piccolo lusso per le tasche di tutti. Sarà solo perché l’erba del vicino è…

d.c.

Rosi delle Margherite. Rosé. Cantorie. Franciacorta.

La tovaglia rossa di sicuro aiuta a sostenere il rosato, ma vi assicuro che il rosa aranciato è veramente tarato sulla massimo livello di intensità. È “rosa” in tutte le sue espressioni: alla vista è più che evidente; al naso petali di rosa e fragole mature; solo in bocca il Pinot nero si libera e si esprime con note di mirtilli e more. Peccato un’uscita un po’ amarognola che ne vincola (e forse limita) l’abbinamento.

d.c.

Terre della Baronia. Bianco. Az. Milazzo. Sicilia DOP.

Una corsa a Roma. Una cena, di pesce, presso la mitica “Sicilia in bocca”. Avvicino questo “cataratto lucido”: il frutto è rotondo, tropicale, di grande pienezza, anche se mantiene una croccantezza che sostituisce la durezza acida. Dopo la papaya affiora un meraviglioso mandarino, questo sì maturo e succoso, con una punta di dolcezza. Grande pienezza e lunghezza. Perfetto abbinamento su un polpo cotto alla piastra.

d.c.

No! Non è possibile… che peccato!

Lungi da me cercare di stravolgere la classifica di D.T. di qualche settimana fa… Sono assolutamente un appassionato del Brunello Tenuta “Greppo”; lo considero, da sempre, una summa teologica… Non sono mai rimasto deluso, ma questa volta… bottiglia sbagliata! Una riduzione coriacea, insuperabile, che di sicuro non da il giusto merito ad un monumento, ma che in realtà non si è mai sciolta, rendendo il divin liquido piatto, anzi in realtà piattissimo.

d.c.

Bredasole. Saten. Franciacorta.

Molto semplice, pulito, mai impegnativo, ma capace di accompagnare, svolgendo ruolo da protagonista, una fettina di Parma, un Grana non stagionato, un pesce da “padella”. Bella acidità fusa ad una cremosa morbidezza. Vuoi vedere che invecchiando, comincio a diventare un satèn lover?

d.c.

Essence Saten. Antica Fratta. Franciacorta.

Bell’esempio di pura essenza franciacortina. Un Satèn di grandissima eleganza, molto raffinato, forse persino sofisticato. Lo Chardonnay si è trasformato in frutti tropicali dolci: c’è si l’attesa banana, ma anche tracce di passion fruit fuse con note di melone. Solo alla fine il naso si accorge che spuntano le nocciole. Impianto complesso, forse di non immediato abbinamento.

d.c.

Silene 2017. Damiano Ciolli. Olevano Romano doc.

Chissà quanti dei miei amici (anche quelli più freschi di studi) conoscono la denominazione Olevano Romano? Di sicuro qualcuno di più avrà bevuto il Cesanese, qui d’Affile, antica uva laziale. Basterebbe girare di più e non stigmatizzare i nostri gusti sulle solite bottiglie provenienti dalle solite zone. Si perché nella sua semplicità il vino è una piccola perla: equilibrio strabiliante nonostante un volume alcolico decisamente impegnativo; anzi, quasi quasi spuntano le durezze… il naso è attratto da erbe di campo, violette ed una prugna ancora non perfettamente matura. È mirabile la sottigliezza al palato, di affascinante eleganza, che si trasforma in una scia prolungata di persistenza. Andate in giro, ragazzi, andate in giro e studiate…

d.c.

Barbaresco 2000. Vigna Loreto. Rocca Albino.

Ha impiegato più di due giorni ad aprirsi ed a raccontare quanto veniva celato dall’opaco vetro dell’albeisa. All’inizio molto limitato dalle stringhe della riduzione quasi ventennale: colore assolutamente integro, minimamente granata, ma profumi timidi alla libertà nonostante un’ apertura anticipata di quasi 5 ore. In bocca ancora composto sulle durezze, ma molto sottile, delicato, persino troppo nobile… Il grande formato ci ha permesso di poterne portare una buona quota alla giornata successiva: migliorato nell’espressione odorosa, ma non ancora vicino alle attese riposte. Incredibile invece l’esplosione avvenuta per l’ultimo terzo della bottiglia via via sempre più scolma nel terzo giorno dall’apertura: ecco l’inebriamento da viole, anche leggermente appassite, la terra, il fungo, una lontana prugna disidratata, la carruba. Miracolo… all’ultimo tramonto…

d.c.

Alfred Tritant. Champagne Grand Cru 2004.

Mirabile Carte d’Or di Bouzy ( anche se nel 2004 il produttore non ricorreva ancora alla “menzione”…). Nonostante gli anni è apparso in una fredda notte d’inverno come una magia. Perfetto in ogni suo aspetto; nessuna nota ossidativa; impressionante per tenuta delle componenti acide e sapide e per una persistenza non facilmente rintracciabile altrove, sfumando sul palato dopo tanti secondi con un ricordo dolce di carruba e caramello. Piccolo capolavoro.

d.c.