Tutta questione di Istinto..

Ho cercato notizie per capire le differenze, ma nulla… Così debole la versione Ecrin così convincente questo Instinct! Eppure entrambe Brut, eppure entrambe costruite con le stesse uve, eppure provenienti dagli stessi vigneti. Ma questo Instinct è fortemente diverso: non si abbandona mai a toni di morbidezza, anzi rimane chiuso tra binari di durezza acida e gradevole sapidità. Il frutto è più fresco, croccante: torna la mia amata mirabelle. Nessun ricordo dell’altra versione. Una volta di più: Vive le Champagne…

d.c.

Cassiopea. Bolgheri Rosato doc 2017. Poggio al Tesoro.

Mi trovo spesso in situazioni in cui non sono in grado di valutare (il giudizio lo lasciamo ai detentori della sapienza…): con il Bolgheri Rosato mi è capitata una di quelle situazioni. Vuoi per mancanza di conoscenza o esperienza, non sono stato in grado di trarne nè un ritratto nè un profilo. Ma siccome il nostro blog non è un registro di voti, bensì uno scrigno di ricordi, il nuovo incontro brilla per originalità. Profumi vinosi, un po’ erbacei, molto da “rosso”; impronta gustativa di volume, poco improntata sulla freschezza attesa dal mio modello mentale. Una dolcezza di frutto che scade nel caramelloso. Difficile, a mio parere, un abbinamento sulla carta: probabilmente facilmente avvicinabile ad una zuppa di pesce alla livornese.

d.c.

Derthona 2016, Timorasso. Colli Tortonesi doc. Alessandro Bressan.

Tutto su toni molto tenui e sussurrati: dal colore paglierino di trasparente lucidità alle lievi pennellate dei profumi, un po’ verdi ed un po’ citrini. L’equilibrio al palato, questo no, è strabiliante: l’imponente volume alcolico, inaspettato vista la delicatezza generale, è assolutamente retto da una freschezza tagliente e da un ricordo siliceo che rimane in bocca e che si trasforma nella componente più significativa della persistenza. Da rivedere, fra qualche vendemmia.

d.c.

Mondino 2015. Piero Busso. Barbaresco DOCG

Tra i vigneti di Neive è nato, da mani francesi, il Barbaresco. Anzi, qualcuno, esagerando, afferma che il vero Barbaresco può arrivare solo da lì. Io non credo questo, ma di sicuro, quando leggo Neive sull’etichetta, la mia attenzione viene catturata, rapita…

Apparentemente troppo giovane, ma già di buon equilibrio. Prevalgono le note di freschezza e di un frutto croccante, rosso: la prugna e la mora non lasciano ancora trasparire suggerimenti terziari. In bocca, dove compaiono alternati ora il calore ora le durezze, il tannino non graffia, ma appare sufficientemente addomesticato, aiutando però la persistenza per svariati secondi su lunghezze impressionanti. Credo che possa essere uno di quei campioni che possono essere dimenticati in cantina, sicuri poi di ritrovare un miracolo.

d.c.

Toscana, mon amour

E’ cominciata così. Un lungo week end a inizio millennio, tra i colli Senesi e San Gimignano, tra quei paesaggi dai tramonti ammalianti e piatti dalle antiche tradizioni. Qui è nata la vera passione che da allora costantemente mi attanaglia. E anche se certo non mancano le occasioni per degustare le delizie enologiche di questo terroir, non ultima a inizio marzo nella splendida cornice di Terreditoscana a Lido di Camaiore, rimane pur vero che è nei luoghi del folklore che il fascino delle prime degustazioni emerge ed emoziona.
Ed è così che, per il compleanno di un caro amico, il branco si trasferisce in toscana zona Bolgheri e dopo una magnifica giornata al mare, con temperature oserei dire estive, avanziamo tra i colli per ritrovare i sapori che solo la cucina toscana sa regalare.
Arriviamo al piatto forte che indiscutibilmente per me è la bistecca: l’essenza della tradizione (anche per voi??). Siamo all’Osteria del Ghiotto a Canneto e qui è un’opera d’arte. Sarebbe stato facile accompagnarla a un blasone della zona, ma consigliati dall’oste abbiamo optato per assaggiare un Costa Toscana Rosso 2014 di “La Fralluca” azienda della zona che ci meraviglia considerato il contenuto prezzo.
Sapiente assemblaggio con prevalenza di Sangiovese arricchito dagli internazionali Syrah e Alicante Bouschet. Intenso il rosso rubino che effonde copiosi sentori fruttati, ciliegia, mora e sottobosco, poi erbe aromatiche e accenni speziati, tabacco biondo. Sorso fresco di spiccata mineralità, beva invogliante va giù a sgorgate. Persistenza morbida ed elegante. Ecco signori ad un tratto la Toscana. Davvero complimenti!!!

Etichetta personalizzata????

Ecco la bistecca!!!

Ancora tanti auguri mitico Teo.

R.R.

L’adunata.

… ed io ero qui che aspettavo. Aspettavo di riportare “in bella” i miei appunti di degustazione, certo, anzi certissimo che qualcuno dei miei nobili colleghi avrebbe lasciato il ricordo dell'”Adunanza”. Ed invece nulla!

Che cos’è l'”Adunanza”? Ma è oramai la tappa di ritrovo di W.T.B. e dei suoi winesnob, e che corrisponde al mitico spiedo di D.T.

Normalmente è un’ottima occasione per cercare di farsi male (…), ma soprattutto è l’occasione per aprire bottiglie incredibili.

Della magia del magnifico Billecart-Salmon 2000 ne aveva trattato D.T. con uno dei suoi aforismi. Effettivamente non credo di aver bevuto nulla di pari in questi ultimi anni.

Doveva essere una scommessa, è risultato essere una meravigliosa sorpresa. È tornato con me da un viaggio in Champagne ben prima del 2000. Ma come tutti i grandi Champagne era perfetto, integro in tutte le sue componenti, per nulla intaccato da note ossidative. Di finezza impressionante. Una magia che ha commosso tutti gli astanti. “Etichetta” che non esiste più… forse siamo stati gli ultimi al mondo a berne una bottiglia.

Per tanto tempo l’ho considerato il più importante Pinot nero italiano. Ora non so se sia proprio così, ma arriva sicuramente vicino al podio: è L’Arturo di Ronco Calino. Durante l’Adunata abbiamo avuto il privilegio di metterne a confronto due vendemmie: il 2015 è indubbiamente ancora troppo giovane, nonostante si rilevi un equilibrio pazzesco (se si considera la quota rilevante di alcol); il 2012 è un’assoluta meraviglia. Di impronta non francese, racconta la sua anima italica con piccoli frutti di bosco, la prugna disidratata, la rosa, la terra, il fungo secco… sarà la nostra queue de paon italienne.

Vino dolce di nicchia, dall’assolata Ischia. I Giardini Arimei donano nel colore del sole la percezione di pesche sotto sciroppo e di giuggiole.

Per fortuna che R.R. ha ben pensato di portare una bolla da Vouvray: un 2011 che sembra una vendemmia di 6 mesi sboccato questa mattina! Dotato di tanta acidità da poter sciogliere una tonnellata di marmo… perfetto per ricominciare tutto da capo…

… Signori… la macchina delle meraviglie…

d.c.

Ricorso in appello.

L’avevamo incontrato qualche mese fa. L’avevamo trattato male, apprezzandone solo il prezzo, ma ne avevamo stigmatizzato una debolezza generale ed una assoluta mancanza di carattere. Forse avevamo esagerato, forse era la bottiglia non nobile, forse eravamo in giornata no noi… non ricorreremo alla Corte di Cassazione!

Anticipo però che nella stessa occasione abbiamo aperto anche un altro prodotto della cantina di tutt’altro tenore: ne parleremo presto.

d.c.

Perlé 2012. Ferrari. Trento doc.

Campiono le vendemmie, una dopo l’altra, ma il Perlé rimane sempre un paradigma. Appare strano come un dichiarato non sostenitore del franciacortino Satèn, sia tanto innamorato di un prodotto similare, prodotto con Chardonnay di pochi gradi di parallelo più a nord. Fresco, cremoso, giocato al naso ed in bocca tra fiori bianchi e frutta gialla, di rilevante persistenza; di mirabile eleganza. Abbinabile praticamente a tutto. Un piccolo lusso per le tasche di tutti. Sarà solo perché l’erba del vicino è…

d.c.

Rosi delle Margherite. Rosé. Cantorie. Franciacorta.

La tovaglia rossa di sicuro aiuta a sostenere il rosato, ma vi assicuro che il rosa aranciato è veramente tarato sulla massimo livello di intensità. È “rosa” in tutte le sue espressioni: alla vista è più che evidente; al naso petali di rosa e fragole mature; solo in bocca il Pinot nero si libera e si esprime con note di mirtilli e more. Peccato un’uscita un po’ amarognola che ne vincola (e forse limita) l’abbinamento.

d.c.

Terre della Baronia. Bianco. Az. Milazzo. Sicilia DOP.

Una corsa a Roma. Una cena, di pesce, presso la mitica “Sicilia in bocca”. Avvicino questo “cataratto lucido”: il frutto è rotondo, tropicale, di grande pienezza, anche se mantiene una croccantezza che sostituisce la durezza acida. Dopo la papaya affiora un meraviglioso mandarino, questo sì maturo e succoso, con una punta di dolcezza. Grande pienezza e lunghezza. Perfetto abbinamento su un polpo cotto alla piastra.

d.c.