Fratus . Franciacorta. Brut (biologico).

Due bottiglie a distanza di pochi giorni. La prima, sinceramente, non perfetta con un piccolo difetto al naso… una sensazione di mela ammaccata ha condizionato la degustazione (uffi… che noia questi Winesnobs… sempre con il naso nel bicchiere a ricercare difetti…), la seconda invece molto interessante. Profumi di esemplare fragranza: una mela renetta ancora croccante, la percezione di lieviti ancora vivi, una freschezza moderna e gradevolissima. La finezza dell’olfatto è sorretta anche da una nobiltà di aspetto distintiva: la bollicina è minuscola, continua, ipnotica. In bocca entra fendente, preciso, ancora molto “duro” e proprio per questo di qualità superiore.

“Strana” questa insistenza sulla menzione di “biologicità” del vino, soprattutto in un periodo storico come quello attuale in cui molte blasonate etichette si sono pienamente convertite (senza farne vanto in habillage): mi piacerebbe conoscerne i motivi.

d.c.

Giulio Ferrari 2005. Trento doc. La responsabilità di essere sempre perfetto.

È così! Come per le bottiglie delle grandi maison: tutte le volte che mi approccio ad una Riserva del Fondatore, le attese vanno sempre oltre. E difficilmente, al di là della soggettiva preferenza, tali attese risultano deluse. Quattordici anni di maturazione non sono ancora sufficienti per pennellare la divin bevanda di note dorate: il colore è un giallo brillante come potrebbe essere un sur lies dell’ultima vendemmia. Il perlage è composto da spilli di grandezza “atomica”, e si riproduce nel bicchiere, e nel cavo orale, senza soluzione di continuità. I profumi, intensi, sono di complessità imbarazzante: c’è la frutta a polpa gialla, succosa ma non ancora dolce, fiori gialli che insegnano l’estate, la frutta secca, la mandorla leggermente tostata e forse anche una piccola arachide salata, c’è la spezia, nobile ed orientale. Cosa cercare e cosa volere di più. Non so cosa possa essere la perfezione del vino: questo però si avvicina molto alla mia idea di perfezione. In bocca è un levare e battere musicale di freschezza e sapidità, perfettamente alternative. La lingua soffre e ricerca il nuovo sorso. Torna una perfetta fusione di aromi fruttati e speziati che rimangono in bocca senza risolvere la nostra disperazione per la bottiglia oramai vuota.

d.c.

Champagne in Villa Reale

Torniamo, a distanza di poco più di un anno, nella sontuosa cornice della Villa Reale di Monza, dove avevamo degustato le meraviglie del Bolgheri.
Questa volta Fabio Mondini e ASPI ci hanno fatto immergere nel perlage delle bollicine francesi. Presenti una trentina di piccole maison di champagne proposti dai distributori o direttamente dai petit vigneron orgogliosi di trasmettere tutta la loro passione.
Ci tuffiamo quindi nello Chardonnay e nel Pinot Noir che vinificati in purezza o saggiamente assemblati, magari con l’aggiunta di Meunier, ci trasmettono subito quella piacevole ebrezza e leggera euforia che lo champagne sa regalare.
Come accade per altre tipologie di vino anche in questo caso la tendenza di mercato ci restituisce, almeno per le linee base, una certa omologazione di prodotto che comunque, dato l’elevato standing dell’effervescenza francese, ci piace!!
Escono dal coro e ci stupiscono alcune bottiglie a partire da Proy-Goulard la cui giovane produttrice definisce il suo base Brut Tentation vino da tutti i giorni per esprimerne la facile e piacevole beva. Le abbiamo risposto in coro che ci piacerebbe davvero poterlo bere a ogni pasto! Ma è il suo Grande Réserve, classico blend dei tre principali vigneti che ci incuriosisce per l’eleganza e la cremosità.
Ci imbattiamo poi in Fumey-Tassin & Marie Tassin e rimaniamo sorpresi dalla insolita spumantizzazione del Pinot Bianco (presente solo per lo 0,002% sul totale della produzione della zona vocata a champagne) che, nella vinificazione in purezza del Marie Tassin, ci dona un prodotto di estrema freschezza: da bere a casse! Davvero un interessante inedito.
Proseguiamo nel nostro percorso e assaggiando la Cuvée Prestige di H. Goutorbe ci guardiamo l’un l’altro affermando: quello che ti aspetti dallo champagne!! Si esalano infatti sentori di croccante fragranza che solo un grande premier cru sa esprimere.
E’ poi la volta di Gratiot & Cie che fa del Pinot Meunier la sua forza vinificandolo, a seconda dell’etichetta, con minime parti di chardonnay e pinot nero. Tutta la produzione mostra la corpulenza del vitigno principale raggiungendo l’apice con il Desiré Gratiot annata 2008 con i suoi 9 anni sur lies: grasso, pastoso e pieno. Alla grande.
Chiudiamo in bellezza con il Brut Nature – Blanc de Noir di Gabriel-Pagin dove ho ritrovato i motivi del mio amore per lo champagne: sorso affilato, complesso e avvolgente. Bolla sopra le righe.

Bella manifestazione davvero ben organizzata, continuate così. Aspettiamo con trepidazione il successivo evento.
Un saluto ai nostri compagni di degustazione. Ragazzi grazie per il bellissimo pomeriggio trascorso insieme, alla prossima!!

R.R.

Jackson. VS Extra dry. Monterosso.

Rosa tenue e delicato, come delicati ed un po’ flebili i profumi di fragoline di bosco e mirtilli. Necessita di temperatura di servizio adeguata, perché dopo i 10 gradi, i profumi si scompongono, e lo spettro aromatico appare confuso. In bocca mantiene una discreta eleganza, e l’acidità, ben corroborata da una carbonica non invasiva e che si manifesta con un perlage di minima caratura (sorprendente per il metodo di vinificazione) dona equilibrio generale, compensando la dolcezza zuccherina, presente ma non immediatamente affiorante. Vino senz’altro da aperitivo, da consumo (anche “smodato”) estivo, ghiacciato, alla rincorsa del dolce oblio…

d.c.

Fonte del re 2004. Lacrima di Morro d’Alba doc. Umani Ronchi.

Farina di castagne, liquirizia ed una spolverata di noce moscata. Sorprendente la vitalità di un vino, forse nato per un consumo non dopo tre lustri. E continua così, con un vino inusuale, il mio viaggio studio (da casa…) marchigiano. I profumi sono intensi ed espressivi di evoluzioni terziarie. Il colore è ancora inchiostro per quanto solcato da pennellate granata-mattone. In bocca il vino è sottile, nobile; accarezza con un tannino setoso. I quindici anni però hanno lenito la carica di acidità, obbiettivamente blanda. Persistenza fungina.

d.c.

Corvina veronese Igt 2014. David Sterza.

Meravigliosa eleganza fatta di viola e mora di gelso. Il naso rimane lì incantato, incapace di staccarsi dal dolce ristoro. È ancora presto per la Corvina 2014, il meglio credo che lo darà fra quattro o cinque anni, ma fin da subito stupisce per la citata eleganza e per un equilibrio straordinario che inganna celando abilmente il notevole tenore alcolico, mai percepito al palato. Da dimenticare in cantina.

d.c.

Inaspettate effervescenze del Sud

Potrebbe sembrare quasi un’ossessione la ricerca costante di bollicine metodo classico. Sarà, ma una buona bolla è sempre gradita in qualsiasi momento. Esplorate e riesplorate le zone storicamente più vocate del nord Italia dall’Oltrepò all’Alta Langa, dalla Franciacorta al Trentodoc, ma (grazie al cielo!!) viaggiando per lo stivale non è poi così raro incontrare altri maestri di spumantizzazione.
E’ il caso di d’Araprì azienda del Foggiano che dalla fine degli anni ’70 ci delizia con le sue spumantizzazioni del bombino bianco che espresso in purezza o con l’apporto di pinot nero sa regalare ebbrezze indimenticabili.
L’ho apprezzato in varie vacanze pugliesi, bevuto in riva al mare, abbinato a crudités locali, un’accoppiata indimenticabile. Di recente, in una degustazione a tema, sono stato colpito dal Gran Cuvèe XXI Secolo millesimo 2012 sapiente assemblaggio di Bombino Bianco, Pinot Nero e Montepulciano.
Una vera sorpresa. Al bicchiere luminoso dai dorati riflessi, al naso Champagne: esagerato? Non direi, un susseguirsi di intense sensazioni olfattive spaziando dagli agrumi, all’albicocca poi miele passando per la nocciola, il tutto su fondo di piccola pasticceria con un ricordo di focaia nel finale.
Fragrante cremosità in bocca. Di notevole struttura ben sostenuta dall’acidità, forse ancora un po’ da domarsi l’equilibrio, ma è ampiamente giustificato dalla recentissima sboccatura 2019.
Una conferma questo grande produttore di bolle del Sud che sa regalare frizzanti emozioni.
E ora via alla ricerca della prossima effervescenza.

R.R.

Vigneti del parco 2000. Rosso Conero Doc Riserva. Moncaro.

Credo che pochi vini sappiano cambiare con il loro invecchiamento così tanto come quelli provenienti da uve di Montepulciano: così irruenti ed irsuti in età giovanile, come avvolgenti, sensuali e suadenti in maturità. Siamo un poco più al Nord dalla zona di vocazione e tradizione classica, ossia l’Abruzzo, ma il Rosso Conero di oggi mi ha entusiasmato e commosso. Il colore è integro, giovanile, e non riesce a far datare i quasi vent’anni; così i profumi sono ancora molto fruttati, seppur su note “disidratate”, e solo in coda una nota di pepe e tabacco. Pienissimo, avvolgente al palato in una espressione di equilibrio straordinario, mai aggressivo né nei toni di freschezza o calore. Incredibile la chiusura infinita che lascia la bocca perennemente cioccolatosa.

d.c.

Brut Rosé. Mattia Vezzola Costaripa.

È uno dei miei “classici”. Non sarò certamente io a raccontarvi i vini di Costaripa, alcuni dei quali celeberrimi. Solo che il Brut Rosé è il mio preferito fin dai tempi in cui li frequentavo ( lavorativamente… si risale alla notte dei tempi…) e forse questo era il vino meno conosciuto (e più riuscito…). Il mio preferito perché allora come ora è un Rosé diverso (anche da quelli che Mattia Vezzola inventa per Bellavista): qui il frutto del Pinot Nero è più rosso; fragolina di bosco, ribes e lampone prima coinvolgono il naso e poi scombussolano la bocca. È una continua alternanza di acidità e dolcezza (a volte anche con una punta di miele ma non ossadativa) come un metronomo che scandisce il tempo e richiama sistematicamente il nuovo sorso.

d.c.