L’altra faccia dell’Etna – Frank Cornelissen puro Magma

Io so di non sapere… vinum docet.
Sul nostro cammino abbiamo avuto la fortuna di incontrare produttori votati alla ricerca dell’eccellenza, magari lontani dagli schemi, al limite delle logiche convenzionali, ma che sanno trasmettere al loro vino tutta l’intensità e la passione del proprio lavoro.
La mente torna inevitabilmente a Didier Dagueneau. L’ho citato a Giacomo, la nostra guida, durante la visita alla cantina protagonista di questo post. Sì perché, per quanto le metodologie di coltivazione e le tecniche di vinificazione possano essere diverse, credo accomuni questi due produttori l’obiettivo di esaltare il territorio e l’identità varietale dei propri vini esprimendo così la quintessenza del frutto sia esso Sauvignon Blanc o Nerello Mascalese. Per entrambi, ne sono un gaudente testimone, i risultati sono superlativi, estasianti.

Siamo a Passopisciaro, vallata nord del vulcano. Qui ha sede la piccola cantina di Frank Cornelissen, pioniere della rinascita della vinificazione sull’Etna.
Non ha certo bisogno di presentazioni, ormai punto di riferimento per gli amanti del Nerello Mascalese; Frank, di origine Belga, proviene da una famiglia di viaggiatori e collezionisti di pregiate bottiglie. Profondo conoscitore del vino, amante dei grandi francesi, giunge in Sicilia alle pendici del cratere nel 2000, nella convinzione di trovare un suolo schietto che possa esprimere al meglio la sua idea di vinificazione, tutta ancora da sperimentare, consacrata al naturale, diretta ad esaltare le doti del terroir, senza alcuna manipolazione. Trova qui una zona dall’altissimo potenziale dove la viticoltura è circoscritta a pochi, piccoli, produttori locali.
Come cambiano le cose in meno di 20 anni!!
Ma torniamo alla nostra visita, ho già nominato il nostro accompagnatore Giacomo, giovane toscano da alcuni anni fidato collaboratore di Frank, che ha saputo trasmetterci la filosofia del produttore raccontandoci anche singolari aneddoti in parte qui menzionati.
Saliamo sulla sua macchina, il nostro percorso inizia dalla visita in vigna, la produzione dell’azienda avviene su un totale di circa 24 ettari ubicati in 19 appezzamenti, per lo più contrade di vigne vecchie (non tutte di proprietà) site su terrazzamenti della vallata nord dell’Etna tra i 600 e i 1000 metri s.l.m., oggi considerata il “non plus ultra” per la produzione dei vini rossi della zona….. e non solo.
La nostra guida sceglie, con nostra sorpresa e gioia, il vigneto di Contrada Barbabecchi da cui proviene l’ormai leggendario ‘Grand Vin’ Magma, top di gamma della cantina. Ci addentriamo nel piccolo terrazzamento (circa 1,5 ettari), un luogo incantato dal panorama mozzafiato che spazia su tutta la vallata. Questo è il primo terreno lavorato al suo arrivo da Frank: pare abbia venduto la sua auto per poter iniziare. Vecchie vigne ad alberello con più di 100 anni e a piede franco (come per altre contrade), ereditate dai precedenti proprietari poste a 800-900 metri di altitudine. I grappoli vengono accuditi meticolosamente ad uno a uno, la raccolta tra la metà di ottobre e di novembre dà vita alla limitatissima produzione pari a poco più di 1500 bottiglie del Magma, ovviamente solo se la bontà dell’annata lo consente.
Rientriamo a Passopisciaro, ci addentriamo nella piccolissima cantina non di proprietà: Frank non ha ancora deciso se sarà la location definitiva. Se in vigna i trattamenti sono rari (in parte grazie all’abbondante aereazione della vallata), qui in cantina sono aboliti; anche per tale motivo non vi è affinamento in legno, che obbligherebbe all’uso di solfiti e che, comunque, influenzerebbe le virtù varietali del prodotto.
Il vino pertanto, dopo l’accurata pressatura, viene fatto decantare in contenitori neutri di vetroceramica in attesa dell’imbottigliamento. Anche i vini più pregiati, destinati all’invecchiamento, vengono affinati in contenitori, seppur di minori dimensioni, dello stesso materiale che hanno quasi completamente sostituito le affascinati anfore di terracotta vetrificate e completamente sotterrate nella cantina di roccia vulcanica. Questa scelta, ci viene spiegato, è dovuta alle ridotte dimensioni delle anfore: Frank vuole che ogni cru si elevi in un unico contenitore.
Ma proseguiamo: Giacomo ci assegna i calici, è ora di iniziare la degustazione. Devo ammettere che l’emozione è tanta!
Partiamo dai cosiddetti vini di base, magari tutti li facessero così! Pur esprimendo le peculiarità dell’anima dell’azienda, consentono alla cantina di avere una produzione numericamente interessante (pari a circa 100 mila bottiglie l’anno) e danno la possibilità di assaporare la filosofia di Frank con un buon rapporto qualità prezzo. I vini sono comunque difficili da reperire, vanno a ruba!
Ma immergiamoci nel nettare. Susucaru: questo è l’autoctono appellativo di una linea di produzione, rosato e rosso (ex “Contadino”). Frank, alle prime armi sull’Etna si ritrovò in un vigneto, da lui lavorato, in cui l’uva, ormai matura, ad un tratto era sparita. Chiedendo spiegazioni gli risposero appunto “su sucaru” (elegantemente tradotto: se lo presero!). Da qui nasce il nome di questo vino. Mi ha colpito il Susucaru Rosato 2018: Malvasia, Moscadella, Cattaratto, Nerello Mascalese. Già il colore ammalia, rosa intenso in cui occhieggia il lampone. Croccanti frutti rossi, mirtilli ben supportati da intensa, fresca mineralità. Il gusto è puro, piacevolmente rustico sembra di bere un rosso leggero, spontaneo, rinfrescante e delicato. Beva eccezionale!
Passiamo ora al MunJebel Rosso Classico 2017 (altro evocativo nome composto che rimanda al termine montagna in siculo e in arabo) forse il più classico dei Nerello Mascalese della cantina (blend di differenti vitigni tra cui alcuni di quelli che danno origine ai cru). Rosso rubino, polpa di frutti rossi maturi. Al sorso fresca struttura ed eleganza. Temo crei dipendenza!
Gli assaggi proseguono chiacchierando della viticoltura sull’Etna; ogni tanto compare in cantina Frank sempre indaffarato nel suo lavoro.
Passiamo ora ai cru: espressione di singola vigna che evidenziano le differenze e le peculiarità delle contrade sparse nella vallata.
Ci avviciniamo ai piccoli contenitori di vetroceramica da cui assaggiamo in primeur alcuni Cru di MunJebel, dell’annata 2017 quasi pronti all’imbottigliamento. Caratterizzati da bassissima resa e raccolti solo a piena maturazione, rappresentano la massima definizione espressiva della filosofia della cantina della “Muntagna” (così chiamano i locali l’Etna) e del Nerello Mascalese, escludendo ovviamente il Magma.
MunJebel Rosso FM contrada Feudo di Mezzo, alla vista succo di ciliegia concentrato. “Urca” è l’espressione unanime che ci esce appena avviciniamo il naso al bicchiere. Verticale, definito, elegante: polpa di mora poi cioccolato, liquerizia e nota di eucalipto. Il sorso è coinvolgente, morbido e fresco. Lungo finale fruttato. Tanta, tanta roba!
MunJebel Rosso VA, cuvée Vigne Alte, blend di tre vigne da alti terrazzamenti: Tartaraci, Monte Dolce, Pettinociarelle posti a 870 – 1000 metri s.l.m. con oltre 90 anni di età e a piede franco. Rosso rubino; al naso…Borgogna! E’ solo aprendo gli occhi che si torna alla realtà. Profonda e affilata eleganza, note floreali e frutti rossi poi erbe aromatiche e balsamico. Sorso caldo, pieno, ben supportato da freschezza. Lunga persistenza minerale. Monumentale!
Sono inebriato, ho la prova delle potenzialità del Nerello Mascalese che, nel nord dell’Etna, può arrivare a rivelare vette di eleganza pari alle più blasonate zone di produzione mondiale. Attendiamo l’espressione dei lunghi invecchiamenti.
Sarebbe magnifico poter chiudere con un assaggio del Magma, ma del resto non potevamo chiedere di più all’entusiasmante percorso fatto.
Grazie ancora a Giacomo per il tempo, l’ospitalità e la passione trasmessaci.
Un grazie soprattutto a Frank per le “vulcaniche” emozioni che il suo vino sa sprigionare.

R.R.

Alla scoperta dell’Etna – Vivera temperamento vulcanico

Sicilia terra di panorami mozzafiato, sole, mare cristallino e di grande, grandissima cultura enogastronomica.
Il risveglio, nei primi anni del nuovo millennio, della vinificazione sull’Etna ha arricchito la già preziosa offerta vitivinicola donandoci prodotti di estrema eleganza che sanno rivelare eccellenze al pari di quanto espresso dalle più blasonate zone vocate ai grandi vini.
Siamo in Contrada Martinella – Linguaglossa nella zona nord della “C” rovesciata dell’Etna (rivolta al mare) dove il Nerello, storico vitigno della zona, sa esprimere stature senza eguali.
Avevamo già conosciuto la famiglia Vivera in occasione di Terre d’Italia – Vini d’Autore a Lido di Camaiore e già D.T aveva elogiato i loro vini e annoverato l’Etna Bianco Salisire 2012 nella sua TOP TEN dell’annata 2017.
E’ finalmente giunta l’ora di visitare la cantina. Veniamo accolti nella splendida tenuta alle pendici dell’Etna da Eugenio Vivera, con piacevole sorpresa di entrambi scopriamo di essere stati compagni di studi universitari (ma questa è un’altra storia!) e dalla sorella Loredana, insieme conducono l’azienda di famiglia.
Iniziamo il nostro tour nei vigneti della zona, i Vivera producono anche a Corleone nel cuore della Sicilia occidentale su circa 24 ettari che presentano terreni alluvionali argillosi impiantati a Chardonnay, Insolia, Catarratto, Merlot e Cabernet Sauvignon, posti a circa 400 metri sul l.m..
Qui invece, su terreno lavico, i vitigni si estendono per circa 12 ettari a una altitudine di 550-600 metri dedicati agli autoctoni Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Carricante. Gironzoliamo tra i filari di proprietà all’”ombra” dell’Etna, l’atmosfera è frizzante, il panorama da cartolina: siamo a circa 9 chilometri in linea d’aria dal cratere e a pari distanza dal mare. Sono presenti viti ad alberello, tipiche della zona, e a cordone speronato, preferito dal produttore per la conformazione che consente una maggiore areazione anche se, in questa splendida vallata, certo non manca la costante brezza che consente di contrastare l’umidità e di ridurre al minimo i trattamenti in vigna.
Entriamo ora in cantina. La sobrietà esterna dell’edificio che ben si fonde all’armonia del paesaggio lascia il posto, una volta scesi nell’area di lavorazione, a spazi ampi e ariosi. La cantina, all’avanguardia tecnologica, ci stupisce per i diversi colori di ogni sala volti a migliorare la qualità del lavoro di chi vi opera: cromoterapia!
Ma è arrivato l’atteso momento della degustazione. Ci accomodiamo nell’ampia sala dedicata con vista su vigneti e vallata, Eugenio ha selezionato per noi alcuni vini per offrirci un panorama della produzione, interamente biologica, pari nel complesso a circa 150 mila bottiglie l’anno.
Apriamo le danze con due vini della zona di Corleone dagli evocativi nomi, iniziamo con Altrove 2018 accurato blend in prevalenza Chardonnay con Insolia e Catarratto: luminoso, stupisce la freschezza ben supportata dalle note minerali, sentori floreali poi pesca bianca, agrumi e frutta gialla, finale salino e persistente. Che aperitivo!!
E’ ora la volta del C’era una volta 2018 rosè da uve Merlot in purezza. Di color ciliegia tenue, ricorda al naso la violetta poi fragola con note speziate. Al sorso è minerale, freschissimo con un garbato tannino in sottofondo.
Accogliamo con piacere la proposta di assaggiare alcuni crostini che ci consentono di godere dei due profumatissimi olii frutto degli storici uliveti di proprietà della famiglia.
Accompagniamo i vini allo spuntino, ci spostiamo in Contrada Martinella.
Salisire Etna Bianco 2015: Wow!!!! Sa di vulcano questo Carricante. Dorato e luminoso, si percepiscono effluvi di pietra focaia e idrocarburo poi frutta tropicale e note balsamiche, grande complessità. Beva ammaliante, definita e piena, di grande sapidità aromatica. Ottima la persistenza.
Proseguiamo con l’Etna Rosso 2017 new entry della produzione, Nerello Mascalese in purezza elevato in solo acciaio. Colore vivo, intenso. Cestino di frutti rossi cresciuti sull’Etna, chiude con lievi note speziate. Invoglia al secondo sorso e poi subito al secondo bicchiere.
Chiudiamo il nostro percorso con il Martinella Etna Rosso 2013, Nerello Mascalese 90% e Nerello Cappuccio 10%. Rosso granato di grande spessore, al naso è un rincorrersi di sentori fruttati e minerali, esprime tutta l’eleganza ed il temperamento del vulcanico terroir. Così la pienezza della polpa di ciliegie e fragole, mirtilli neri e more, di amarene e lamponi, si interseca con cannella, pepe nero e tostatura poi ecco la liquerizia e il rosmarino. Sorso profondo, rotondo e intrigante che permea il palato. Stupendo!
Davvero bella degustazione che ci ha immersi nei sapori della Sicilia, porteremo con noi le emozioni del vulcano racchiuso nelle bottiglie. Ancora un ringraziamento a Eugenio e Loredana per l’ospitalità, ragazzi avanti così!!!
Un caro saluto ad Antonio Vivera padre dei nostri ospiti e patron dell’azienda, ricordo con estremo piacere la chiacchierata enogastronomica fatta insieme, è stato un vero piacere conoscerla.

R.R.

Ferrari Perlé 2013. Trentodoc.

In tema di sboccature 2019, qui ci troviamo di fronte ad un campione ben più elegante ed equilibrato rispetto al precedente Franciacorta. Impossibile datare puntualmente il lotto, ma probabilmente la delicatezza dello Chardonnay trentino mostra una maggiore finezza da immediato degorgement. Nette percezioni di frutta molto fresca come pesche ed albicocche, un morso di mela verde, una sussurrata impressione di erbe aromatiche. È sorprendente l’espressività olfattiva esaltata da una esuberante frizzantezza. La recente sboccatura è testimoniata solo da un’acidità ancora molto aggressiva, citrina ad oltranza, che però mai lede l’eleganza del bicchiere.

d.c.

Iniziano le sboccature 2019

Tradizionalmente dopo Vinitaly ci si comincia ad imbattere nelle bottiglie con sboccature dell’anno corrente; ed ecco che puntualmente cominciamo a stappare…

Il Novalia Brut di Villa Crespia, Franciacorta apprezzato dallo scrivente per l’ottimo rapporto prezzo/qualità, sta soffrendo un po’ la recente sboccatura (probabilmente febbraio ’19): acidità e la dolcezza, non solo di frutta ma dettata da una ancora invasiva liqueur, procedono su due binari che viaggiano paralleli, non ben integrati. In realtà oltre questa parziale “sconnessione”, che verrà assorbita progressivamente nel tempo, il frutto croccante che affiora, di polpa gialla, ed i fiori bianchi nonché la tipica fragranza da panetteria lasciano presagire i riconosciuti standard di qualità.

d.c.

Rosso di Valbissera 2013. Poderi di San Pietro. San Colombano doc.

“Naso” complessivamente interessante: all’imperiosa, per intensità, frutta rossa, ciliegie, marasche, anche già sotto forma di confettura, si abbina una particolare ed accattivante sensazione di legno, ma non da botte, bensì più da mobile antico e nobile. Tanto esuberante al naso quanto un po’ scomposto in bocca, ove l’acidità sta cedendo un po’, ma la struttura in generale è deboluccia: rimane una nota di calore leggera, la sensazione flebile di una ciliegia già matura e tutto poi svanisce rapidamente.

d.c.

Waris-Larmandier. Champagne Brut.

Risalente ad un bottino di ritorno da un’antica guerra nelle Gallie, combattuta con onore più di quindici anni fa (sigh… mi è rimasta l’ultima bottiglia da quel bottino…). Qui lo Chardonnay mostra un pochino più di delicatezza rispetto alle compagne di viaggio (già consumate); i profumi non sono completamente evoluti: la complessità dello spettro olfattivo parte dalla frutta gialla, succosa, devia su note gessose, ritorna alla carruba, questa sì leggermente mielosa, forse segno di un principio ossadativo, ancora però pienamente controllato. In bocca si esalta l’espressione di equilibrio, condizionato solo all’inizio da note di durezza che rapidamente cangiano ammorbidendosi, lasciando una dolcezza di frutto infinita.

d.c.

Fratus . Franciacorta. Brut (biologico).

Due bottiglie a distanza di pochi giorni. La prima, sinceramente, non perfetta con un piccolo difetto al naso… una sensazione di mela ammaccata ha condizionato la degustazione (uffi… che noia questi Winesnobs… sempre con il naso nel bicchiere a ricercare difetti…), la seconda invece molto interessante. Profumi di esemplare fragranza: una mela renetta ancora croccante, la percezione di lieviti ancora vivi, una freschezza moderna e gradevolissima. La finezza dell’olfatto è sorretta anche da una nobiltà di aspetto distintiva: la bollicina è minuscola, continua, ipnotica. In bocca entra fendente, preciso, ancora molto “duro” e proprio per questo di qualità superiore.

“Strana” questa insistenza sulla menzione di “biologicità” del vino, soprattutto in un periodo storico come quello attuale in cui molte blasonate etichette si sono pienamente convertite (senza farne vanto in habillage): mi piacerebbe conoscerne i motivi.

d.c.

Giulio Ferrari 2005. Trento doc. La responsabilità di essere sempre perfetto.

È così! Come per le bottiglie delle grandi maison: tutte le volte che mi approccio ad una Riserva del Fondatore, le attese vanno sempre oltre. E difficilmente, al di là della soggettiva preferenza, tali attese risultano deluse. Quattordici anni di maturazione non sono ancora sufficienti per pennellare la divin bevanda di note dorate: il colore è un giallo brillante come potrebbe essere un sur lies dell’ultima vendemmia. Il perlage è composto da spilli di grandezza “atomica”, e si riproduce nel bicchiere, e nel cavo orale, senza soluzione di continuità. I profumi, intensi, sono di complessità imbarazzante: c’è la frutta a polpa gialla, succosa ma non ancora dolce, fiori gialli che insegnano l’estate, la frutta secca, la mandorla leggermente tostata e forse anche una piccola arachide salata, c’è la spezia, nobile ed orientale. Cosa cercare e cosa volere di più. Non so cosa possa essere la perfezione del vino: questo però si avvicina molto alla mia idea di perfezione. In bocca è un levare e battere musicale di freschezza e sapidità, perfettamente alternative. La lingua soffre e ricerca il nuovo sorso. Torna una perfetta fusione di aromi fruttati e speziati che rimangono in bocca senza risolvere la nostra disperazione per la bottiglia oramai vuota.

d.c.

Champagne in Villa Reale

Torniamo, a distanza di poco più di un anno, nella sontuosa cornice della Villa Reale di Monza, dove avevamo degustato le meraviglie del Bolgheri.
Questa volta Fabio Mondini e ASPI ci hanno fatto immergere nel perlage delle bollicine francesi. Presenti una trentina di piccole maison di champagne proposti dai distributori o direttamente dai petit vigneron orgogliosi di trasmettere tutta la loro passione.
Ci tuffiamo quindi nello Chardonnay e nel Pinot Noir che vinificati in purezza o saggiamente assemblati, magari con l’aggiunta di Meunier, ci trasmettono subito quella piacevole ebrezza e leggera euforia che lo champagne sa regalare.
Come accade per altre tipologie di vino anche in questo caso la tendenza di mercato ci restituisce, almeno per le linee base, una certa omologazione di prodotto che comunque, dato l’elevato standing dell’effervescenza francese, ci piace!!
Escono dal coro e ci stupiscono alcune bottiglie a partire da Proy-Goulard la cui giovane produttrice definisce il suo base Brut Tentation vino da tutti i giorni per esprimerne la facile e piacevole beva. Le abbiamo risposto in coro che ci piacerebbe davvero poterlo bere a ogni pasto! Ma è il suo Grande Réserve, classico blend dei tre principali vigneti che ci incuriosisce per l’eleganza e la cremosità.
Ci imbattiamo poi in Fumey-Tassin & Marie Tassin e rimaniamo sorpresi dalla insolita spumantizzazione del Pinot Bianco (presente solo per lo 0,002% sul totale della produzione della zona vocata a champagne) che, nella vinificazione in purezza del Marie Tassin, ci dona un prodotto di estrema freschezza: da bere a casse! Davvero un interessante inedito.
Proseguiamo nel nostro percorso e assaggiando la Cuvée Prestige di H. Goutorbe ci guardiamo l’un l’altro affermando: quello che ti aspetti dallo champagne!! Si esalano infatti sentori di croccante fragranza che solo un grande premier cru sa esprimere.
E’ poi la volta di Gratiot & Cie che fa del Pinot Meunier la sua forza vinificandolo, a seconda dell’etichetta, con minime parti di chardonnay e pinot nero. Tutta la produzione mostra la corpulenza del vitigno principale raggiungendo l’apice con il Desiré Gratiot annata 2008 con i suoi 9 anni sur lies: grasso, pastoso e pieno. Alla grande.
Chiudiamo in bellezza con il Brut Nature – Blanc de Noir di Gabriel-Pagin dove ho ritrovato i motivi del mio amore per lo champagne: sorso affilato, complesso e avvolgente. Bolla sopra le righe.

Bella manifestazione davvero ben organizzata, continuate così. Aspettiamo con trepidazione il successivo evento.
Un saluto ai nostri compagni di degustazione. Ragazzi grazie per il bellissimo pomeriggio trascorso insieme, alla prossima!!

R.R.

Jackson. VS Extra dry. Monterosso.

Rosa tenue e delicato, come delicati ed un po’ flebili i profumi di fragoline di bosco e mirtilli. Necessita di temperatura di servizio adeguata, perché dopo i 10 gradi, i profumi si scompongono, e lo spettro aromatico appare confuso. In bocca mantiene una discreta eleganza, e l’acidità, ben corroborata da una carbonica non invasiva e che si manifesta con un perlage di minima caratura (sorprendente per il metodo di vinificazione) dona equilibrio generale, compensando la dolcezza zuccherina, presente ma non immediatamente affiorante. Vino senz’altro da aperitivo, da consumo (anche “smodato”) estivo, ghiacciato, alla rincorsa del dolce oblio…

d.c.