L’intensità e la grassezza di questo Sauvignon comincia ad apparire già alla vista, con un giallo solare intenso e con una viscosità pastosa. Il naso è erbaceo, con un frutto a polpa gialla maturo che appare solo in coda. In bocca è caldissimo, avendo già ceduto sulle durezze. Molto morbido, rotondo. Arrivato a destinazione, ma non so se riesce oltre.
Bellissimo esemplare di Extra Brut, di alta nobiltà senza essere costretti alla vendita di un organo, come ahinoi è sempre più sovente in Franciacorta. Molto incisivo al naso, dove già annuncia la sua affilatura. Pungente sulla lingua, pulito, molto preciso: tutti aggettivi metaforici per dire che è buono, anzi buonissimo.
Quando al tavolo del ristorante hai Tito, stai sicuro che cercherà di proporti un Sauvignon, e tra questi, sicuramente, un Sauvignon proveniente da Trentino o Alto Adige. E così… anche questa volta. Molto tenue sia sugli aspetti visivi, che nei profumi, dolomiticamente impostati sulle note del bosso. In bocca invece accelera con grande freschezza ed una rotondità, apparentemente alcolica, che riempie.
È probabilmente uno dei miei vini “del cuore”: ancora per me impossibile rinunciarvi quando lo trovo in carta. È l’espressione più sincera del Prugnolo Gentile, da sempre un faro di riferimento, soprattutto per una denominazione che qualche problematica “identitaria” l’ha sofferta (e le soffre…).
Succoso, avvolgente, morbido ma di distinta struttura e di freschezza incisiva. Costante nel tempo, direi riconoscibile nello stile e nella sua confermata matrice tradizionalista: questo è il Rosso da ciccia…
Molto interessante. Siamo in zona nobile, dove pare che tutti, ma proprio tutti sappiano spumantizzare miracoli… Questo non è un miracolo, ma è molto interessante: affiora il frutto giallo maturo dello Chardonnay, ma sono le durezze a comandare la beva ed a renderla gaudente. Intenso all’entrata in bocca, ma molto resistente nella sua persistenza.
Prima o poi aprirò una nuova rubrica intitolata “Recherche”, di proustiana memoria, per raccontare l’affannosa esplorazione del nostro Editore.
Siamo in zona nota, nel cuore della Marna, tanto per intenderci ad una quindicina di chilometri a sud-ovest di Reims, zona che peraltro si sta tornando a dedicare al mio amato Pinot Meunier. RM, millesimato, ma stranamente senza indicazione di classificazione di cru. Qui di Meunier non ce n’è, anche se la mia sensazione e di farlo tendere alla tipica albicocca del “mugnaio”… sarò un po’ condizionato, ma non incide, o perlomeno non tocca le mie corde. Indubbiamente ben fatto, sopra la soglia di molti spumanti italiani, che oggi sono capaci di costare ben di più, ma… monotono, troppo facile per essere Champagne!
Ed intanto l’Editore cerca… beve e cerca… e per fortuna che, godendo del privilegio della sua amicizia, lui fa godere anche me! Cerca, stappa (oggi, vivaddio, soprattutto Champagne!!!), beve e poi… cerca, cerca… Ed io che pensavo di sapermi anche orientare: mi si dica chi ha mai bevuto uno Champagne proveniente da Tauxières Mutry (che per gli ignoranti come me è a circa 4 chilometri a nord di Ay, ma al di sotto della collina di Mailly): Signori… Grand Cru! E che Grand Cru!!! In formato da alcolisti dichiarati, il vino esprime tutto il suo essere Pinot Noir, anche se assemblato “solo” con il 60%. Una espressività visiva degna della tavola di un reale, con una bollicina microscopica ed infinta. Un frutto maturo, croccante in bocca. La mineralità incisiva, forse anche commovente. Una persistenza immensa.
Dopo lo show-cooking è giunto il tempo della “Sommelerie spectaculaire”? Bevuta in un recente viaggio nel Sud della Sardegna, la bottiglia è stata sboccata a tavola ed immediatamente servita agli assetati. Evidentemente Non Dosato, il vino, da uve di Vermentino del Sulcitano, ha presentato immediatamente le caratteristiche di un “campione da cantina”… Interessante? Non c’è dubbio! Soprattutto nell’espressività del frutto. Ma parimenti scontroso, duro, mi permetto di affermare ancora sconnesso. Però, visivamente splendido: brillante e dalla bolla nobile e finissima. Da riprovare in “tiratura” classica, con almeno qualche mese di riposo dalla sboccatura.
… ma non lo farò con la tristezza di Cesare Pavese, né con l’intensità del nostro infaticabile Editore, ma tornerò a tracciare il diario di bordo delle nostre stappature.
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