IL CONERO IN UN BICCHIERE – IL “RIGO 23”

L’ho incontrato nell’agosto del 2017 a Sirolo. Era una sera in cui imperava un forte temporale estivo. Ho dovuto combattere il freddo. E’ così che ho assaggiato per la prima volta il Rigo 23 Riserva di Fioretti Brera, ed è sempre così che ho ritrovato le profondità della DOCG Rosso Conero che da tanto, troppo tempo non bevevo.
Puntatina al mare di fine estate. Di passaggio nelle Marche siamo riusciti a concordare, all’ultimo momento, una visita alla cantina. Sono le 22 di un sabato sera quando arriviamo a Castelfidardo nella tenuta di famiglia dove ci accolgono i titolari Emanuela e Paolo. La cantina nasce nel 2008 dalla loro volontà di valorizzare i terreni di proprietà e dalla passione per il vino.
L’ora tarda non ci consente di ammirare i vigneti adagiati sulla collina di fronte a noi. Entriamo allora nella piccola cantina: 10 mila bottiglie è il totale annuo di tutta la produzione, rigorosamente biologica, realizzata su 3 ettari e mezzo di coltivazione.
Ci accomodiamo nella ospitale sala degustazione, iniziamo dall’ Alba rosato da montepulciano. Moderno ed efficace tappo a vetro che ritroveremo anche nei bianchi. Sentori floreali, beva morbida con chiusura di fragoline. Passiamo al Sankara blend di trebbiano e malvasia di candia in pari percentuale, 6 mesi in acciaio e una piccola parte in tonneau. Paglierino vivace esala sentori floreali con un sottofondo di pesca. Fresco e intenso, di grande sapidità aromatica. Veniamo ora all’ Arghilos sempre uvaggio di trebbiano e malvasia, riposa per un anno in giare di terracotta. Tendente al dorato, al naso aumenta la complessità aromatica in cui spiccano agrumi e frutta matura poi miele. Sorso succoso e consistente, si sente l’effetto del particolare affinamento. Esauriti i bianchi, passiamo al Fausti Rosso Conero new entry della produzione. Beviamo un 2016, il montepulciano ha riposato 12 mesi in legno di 3° e 4° passaggio. Luminoso il rosso rubino, al naso subito la viola poi ciliegie e amarene con un interessante pepe nero in sottofondo. Sorso caldo e appagante. Davvero piacevole.
Ed eccoci al Rigo 23, Conero DOCG Riserva prima etichetta prodotta e top di gamma della cantina. E’ con il supporto dell’Università di Ancona che nel 2008 vengono piantati i 23 filari ad alberello del montepulciano. Particolare la dislocazione che consente l’esposizione alla luce di tutte le barbatelle: 10 mila per ettaro. L’alta densità, porta la vite a ricercare dal terreno tutto il nutrimento possibile, come abbiamo visto per i grandi sauvignon blanc della Francia. Resa ovviamente bassissima, di elevata ed eccelsa qualità.
Raccolta e selezionata rigorosamente a mano, l’uva dopo la macerazione in acciaio si affina per oltre 12 mesi in barriques giovani di rovere francese, poi circa 10 mesi nelle 2000/3000 bottiglie prodotte all’anno. Le premesse ci sono tutte, già premio decanter al suo esordio nel 2014 con la prima annata in commercio 2011.
Ma è giunta l’ora di assaggiarlo.
Spicca dal calice l’intenso e compatto rubino dell’annata 2015. La sensazione al naso è profonda, complessa e affilata. Cestino di frutti di bosco poi confettura di mora e marasca in un finale leggermente speziato che lascia presumere un potenziale evolutivo enorme.
In bocca è deciso, pieno e avvolgente. I 14,5° sono ben supportati da un’equilibrata acidità e da un bel tannino mai invasivo. L’equilibrio non manca nonostante la giovane età, la persistenza è lunga e piacevolissima.
Il Rigo ha ampiamente appagato le aspettative germinate dai miei ricordi. Ne ho presa qualche bottiglia che prometto di fare invecchiare. Merita davvero di aspettare la piena espressione della maturazione!

Grazie ancora ad Emanuela e Paolo per averci aperto le porte nonostante la tarda ora, è stata una bellissima serata!

R.R.

Brut 2010. Ronco Calino. Franciacorta

Vabbè… avete ragione… sempre la solita! Ma è l’ultima bottiglia del millesimo 2010 che dimorava nelle segrete del Tito..mi sarebbe dispiaciuto non ricordarla nel nostro cahier de doléances… e per cui cercherò di trattarne, astenendomi da ogni forma di giudizio.

Il giallo, alla vista, comincia ad assumere toni carichi, ma lo spettac…. ops… ma l’occhio è attirato dalla catena infinita di bollicine finissime. Intensa maturità al naso, dove la frutta è dolce e succosa, e dove anche qui il colore dominante è il giallo. Giusto equilibrio in bocca tra un’acidità ancora ben presente, una dolcezza da frutta matura ed una morbidezza alcolica che traspare a pennellate. Il ricordo della polpa di ananas e di un gheriglio di noce accompagnano l’uscita del vino dal cavo orale e… dalla vostra cantina!

Ora AVANTI con i nuovi millesimi!!!!

d.c.

Buio Buio Riserva 2016. Mesa. Carignano del Sulcis doc

Il proceddu che abbrustolisce attorno al suo spiedo nell’aia del tipico furriadroxu. Profumi e sapori antichi che inebriano l’aria e riempiono lo spazio ed il tempo. Ed allora, alla cucina di terra non potevamo che abbinare il vino della tradizione della Sardegna del Sud.

La frutta dolce, nera e matura affiora al naso, seguita immediatamente dalle foglie di tabacco. Il vino è corposo, carico di glicerina, impenetrabile come l’inchiostro, ma i profumi freschi ed una nota di lontana rusticità lo alleggeriscono. In bocca l’importante componente alcolica non riesce a sopraffare la struttura acido/sapida che conduce la beva, mantenendola sempre piacevole e dissetante. Ritornano aromi di sottobosco e di macchia mediterranea, con una chiusura lunghissima salata.

d.c.

Mamuthone 2016. Giuseppe Sedilesu. Cannonau di Sardegna doc

Mammamia che emozione avvicinare il naso al bicchiere di questo straordinario Cannonau: la vera percezione è antica, quasi esoterica. In quei profumi c’è tutto, soprattutto i tuoi brividi. Delicati ed intensi, dapprima su note di frutta scura, non maturissima, per poi avvicinare il tabacco, il caffè, la polvere di cacao. E tu rimani lì, inebetito, ad ascoltare parole e storie antiche, di un tempo e di un luogo oramai dimenticato. È incredibile la poesia che inebria i tuoi sensi, e la tua anima. Poi entra in bocca con solenne eleganza, quasi in un atto liturgico e celebrativo. L’acidità è misurata; il tannino lieve e levigato; il corpo sottile, nobile ma avvolgente come una stola di organza. Tornano note di un frutto, qui già maturo, e di cuoio, che ti accompagnano per interi minuti. Immenso.

d.c.

Giunco 2018. Mesa. Vermentino di Sardegna doc.

Vermentino proveniente dal Sud della Sardegna, da quella terra arida e bianca, arsa dal sole infuocato e battuto ora dal Maestrale ora dallo Scirocco. E la difficoltà della vite si ritrova nel vino: scorbutico, duro, persino verde, meraviglioso… I profumi sanno di grande freschezza e gioventù, dalle erbe aromatiche ad agrumi verdastri. In bocca è pura elettricità, una scarica di energia vigorosa: una torpedine! La freschezza è tale che mai immagineresti il volume alcolico indicato in etichetta; e rimane intatta sulle papille per molti secondi, lasciando poi lo spazio ad una piacevole nota salina che permette un perfetto abbinamento a piatti di crudità di pesce.

d.c.

Karmis cuvée 2018. Contini. Tharros Igt

Le misteriose uve autoctone, componenti la cuvée, non sono altro che la Vernaccia di Oristano (questa volta vinificata in versione “liscia” ossia senza flor) ed il Vermentino.

È un monumento all’estate, dal colore che assomiglia ad un estratto del sole di mezzogiorno, ai profumi intensissimi di fiori gialli e di frutta gialla, al gusto caldo e ricco di dolcezza fruttata. Vino giocato interamente sull’intensità, portata a livelli difficilmente duplicabili. Si perde un po’ la matrice delle basi “originarie” (la Vernaccia solo raramente traspare al naso con qualche aroma candito), ma il vino indubbiamente stupisce. Abbinamento non immediato: avvicinato a diversi piatti di pesce, forse emerge prepotente come aperitivo accompagnato da qualche amuse bouche marino.

d.c.

Vermentino 2018. Guado al Tasso. Antinori. Bolgheri doc

Credo che il Vermentino sia l’unica uva a bacca bianca coltivata, da Antinori, nella piana bolgherese di Guado al Tasso: lascio ai prossimi curiosi visitatori la verifica. Verdognolo alla vista; i profumi sono freschissimi e improntati su scie floreali bianche, forse su tutte il biancospino. Solo al leggero riscaldamento del vino affiora un po’ di pesca ed un goccio d’aranciata. In bocca però, dove ti aspetteresti pari freschezza, la prima sensazione è di calore, pur di fronte ad un volume alcolico nella norma, un po’ coprente e mai in equilibrio con la freschezza, che in un vino così sarebbe assolutamente preferita. Bella, in chiusura, la sapidità che permea la bocca.

d.c.

Vignadangelo 2018. Mastroberardino. Greco di Tufo docg

Che avessimo una sete atavica, non vi era alcun dubbio: dopo aver navigato l’intera giornata sotto il sole con il mitico Candelluva II, ed essere approdati in rada a Punta Chiappa, l’unica cosa che si desiderava veramente era di portare ristoro alle fauci infuocate. Ed infatti poco sono durate le tre bottiglie di Vignadangelo (pur considerando che tra minori ed infortunati chi poi bevesse erano solo in tre…).

Giovanile alla vista ed all’olfatto, con un gradito emergere di albicocca e pesca, ma anche di tenui erbe aromatiche che contraddistinguono la nobiltà della divina bevanda. In bocca prima arriva la sensazione di morbidezza per poi strutturarsi con note più dure, uscendo dal cavo orale con un’impronta salina.

d.c.

Ronco Calino Brut. Franciacorta Docg

… e poi non sono oggettivo! Ho un debole per questa cantina, e per la strenua e continua ricerca di qualità che affiora da tutti i loro prodotti. E per cui, dal momento che non sono oggettivo, non vi parlerò di questo straordinario Brut! Si… perché è quella gamma che una volta si chiamava “base”, ma che in realtà è il vero termometro e prova di chi lavora sempre bene, dalla “base” alla Riserva Millesimata Extra Brut Turbo Esse etc.etc. Nel bicchiere è pura eleganza, di un giallo abbastanza carico e solcato da un perlage nobilissimo. Gli zuccheri sono pochi, lo si può già percepire al naso, dove la frutta gialla è croccante, accompagnata da tanta frutta secca. Ma è la straordinaria correttezza in bocca che ti fa innamorare del vino, giocato su un equilibrio bilanciato tra l’imponente durezza acida ed una rotondità palatale che non diventa mai morbidezza. Ma non fa niente… lasciate stare… io non sono oggettivo!

d.c.

Pinot nero Brut 2013. Podere Bignolino. Oltrepò Pavese Docg.

Un elegante aspetto giovanile con riflessi verdognoli solcati da una fluida produzione di bollicine di minime dimensioni. Al naso emerge un pinot ancora un po’ rustico: i cinque e più anni dalla vendemmia hanno “digerito” la fraganza dei lieviti ed hanno lasciato la netta percezione di polpa di mela anurca (anche leggermente ammaccata). Ora non vorrei esasperare toni negativi, perché non è questo il fine, e perché, nel complesso, il vino si fa bere con piacere, ma il ricordo è… rustico! Bella la struttura che si percepisce al palato, molto inquadrata tra le durezze, con percezioni di spiccata ed inattesa sapidità.

d.c.