Non avevo mai bevuto prima di oggi un Moscato di Terracina, e non ricordo il tempo di un Moscato Secco! Il percorso ossidativo, dopo 15 anni, non poteva non essere iniziato (guardate però che straordinario colore aranciato brillante…), ma molte caratteristiche positive sono rimaste indelebili: del colore abbiamo già detto… tutt’altro che non invitante! Dopo la cremosità olfattiva data dall’ossidazione traspare prima un gradevolissimo té alla pesca, poi una camomilla, rimanendo sul sottofondo una spezia sussurrata, forse cannella. La bocca è immediatamente aggredita da una spina sapido-acida assolutamente non attesa. Poi prevalgono le note ammorbidite dagli anni.
Gogliardica e divertita ispirazione alla “forza” del vino, peraltro accudito in una bottiglia dalle dimensioni allungate, o sincero richiamo ad una divinità agreste, rappresentante della fertilità maschile, invocato nei baccanali e nei riti misterici? Vita… vite… vita…. il confine è quasi impercettibile…
Croatina, proveniente dallo spettacolare anfiteatro naturale di Rovescala, che ha saputo ben invecchiare (nel suo astuccio penico?): dal colore rosso sanguigno; dagli intensi profumi di dolci frutti rossi, ma anche di nobile speziatura ed una piacevole peposità, che tanto mi ricorda uno zinfadel americano. In bocca tanta dolcezza di frutto ed uno squilibrio verso la morbidezza alcolica che induce ad una gioiosità misterica…
Estate 2003, forse la più calda che io possa ricordare. E tutto il calore di quella rovente stagione è rintracciabile nelle espressioni di questo Nobile. Il vino, nonostante i 17 anni dalla vendemmia, è integro, perfetto. I profumi, intensi, sono però unicamente concentrati su note di frutta cotta, e solo dopo un’ampia “respirazione”, di qualche ora dalla stappatura, affiora un delicato poutpourri vegetale . In bocca è immediatamente percepibile la vivida freschezza degli acidi, ma è come se questa fosse slegata un po’ dalla succosità matura della prugna macerata , unico aroma coprente della fase gustativa. Il tannino setoso si lega in chiusura con la polverosità dei residui non filtrati, donando corpo tattile all’importante morbidezza alcolica.
Tempo di Covid-19. Restiamo a casa!!!! È l’occasione per preparare qualche manicaretto, dal forno già sale profumo di arrosto, non resta che recuperare una bottiglia. Scendo in cantina, penso a cosa voglio bere. La testa va non so come al Dolcetto, ma non si ferma tra gli scaffali del vino. Il ricordo corre a qualche anno fa, ad una partenza in un soleggiato pomeriggio di inizio autunno. Meta? La tenuta di Anna Maria Abbona dove siamo stati ospiti, a fine vendemmia, di una sontuosa merenda sinoira (a buon intenditor poche parole) offerta per festeggiare il raccolto. Così superate le langhe giungiamo in Frazione Moncucco – Farigliano (CN) sede della cantina. Immersi nei vigneti del Dogliani (del cui consorzio Anna Maria è Presidente), sulle note di una acustica Wish You Were Here dei Pink Floyd e di altri grandi revivals suonati dal vivo, abbiamo l’occasione di gustare le leccornie culinarie della tradizione piemontese. Il tutto ben abbinato ai vini di casa Abbona che spaziano dalla Nascetta spumantizzata fino al Barolo passando ovviamente per il Dolcetto e altre prelibatezze. È stato davvero un gran bel pomeriggio, ma torniamo alla scelta nella mia cantina. Maioli o San Bernardo? Entrambi Dogliani Superiore, massime espressioni del Dolcetto dell’azienda, il primo affinato in acciaio il secondo in legno grande. Opto per il San Bernardo annata 2015: 100% dolcetto da vigne di oltre 70 anni poste a 530-570 metri s.l.m. Rosso rubino profondo. Naso complesso dove il sottobosco duetta con marasca, ribes e viola poi ecco il pepe bianco che si lascia sedurre da balsamico eucaliptolo. A chiudere la dolcezza della vaniglia e note di cioccolato. Potente ed elegante l’ingresso in bocca, spiccano i 14,5° supportati da decisa freschezza e personalità. Persistenza lunga di amarena con sottili sentori di caffè. Ottimo il connubio con il mio agnello arrosto!!
Un saluto e un ringraziamento a Stefano che mi ha fatto conoscere la cantina e a Federico che con la sua famiglia sa regalarci emozioni in bottiglia.
Io la frutta tropicale non l’ho trovata! Ma è un Satèn gradevole, molto delicato, giocato su note verdi tra frutta croccante (su tutto la mela) e vegetale, che lascia una sensazione di dolcezza sia al naso che al palato, indicando nell’aperitivo la consumazione ideale. Sboccatura 2015 e vino che ha mantenuto perfetta la sua integrità, segno di una sapiente tecnica di vinificazione.
La Turbiana di Sirmione, la migliore che io conosca: Cà’ Lojera! Avere 12 anni, non aver ricevuto le coccole destinate alle riserve, ed essere straordinario: questo è ciò che tutte le volte ci sorprende di questo straordinario vino. Il bicchiere si tinge di un bel giallo oro brillante come il sole ferragostano. L’aria si inebria di camomilla, foglie di tè e solo in coda di frutta matura come albicocca e pesca, ma rimane, di fondo, una traccia balsamica e magica. Equilibrio in bocca misurato, tra un’acidità tutt’altro che arretrata ed un morbido abbraccio alcolico, che aiuta la succosità del frutto che permane ed addolcisce anche gli animi più irrequieti.
E chi se lo poteva aspettare? Il mio vizio di portare all’estremo l’affinamento del vino è rimasto sorprendentemente fregato… sì perché la bottiglia, portata a 20 anni di riposo, pur provenendo da una zona magica, non era assolutamente nobilissima, peraltro con tappatura in silicone! E ciò ha scatenato ulteriore stupore! Fin dalla stappatura spinge: i toni sono sicuramente terziari, ma nessuna traccia di ossidazione. I profumi all’inizio un po’ confusi, tra il cuoio e l’ “animale”, ed il tabacco. Poi si stabilizzano su note di frutta cotta ed ortaggi; con l’ossigenazione affiora un particolarissimo carciofo, abbastanza raro nei miei ricordi. Vent’anni e la freschezza è lì, struttura indelebile dell’intera trama, sicuramente agevolata da un blando tenore alcolico ed un tannino sussurrato. Chiusura infinita di cacao.
La chiamano ancora “Uva Francesca” proprio come la chiamava la regina di Francia Caterina de’ Medici nel 1500; e ciò è prova che su quelle colline sono cinquecento anni che addomesticano il Cabernet Franc.
Sono passati un po’ di anni dalla vendemmia, ma il vino, integro, brillante, di grande carattere non cede mai alle tipiche note varietali: le attese note verdi qui sono viola, prugna, tabacco biondo, more di gelso. Al palato tutto è misurato scientificamente: acidità, morbidezza e tannino si inseguono lungo i percorsi delle papille, distinti e coesi in un equilibrio mirabolante. Chiusura lunghissima su note fruttate e di cacao.
C’era un tempo in cui eravamo ammaliati dalla magia degli effetti della botrite, e ci si avvicinava a questi vini con una certa sacralità. Poi il nostro gusto è cambiato, si è indurito, ed abbiamo abbandonato le bottiglie dolci. Per fortuna io le ho abbandonate in qualche angolo della cantina e ogni tanto riaffiorano. Nonostante la cantina non sia delle più blasonate, il vino è arrivato alla nostra seconda decade perfetto e piacevolissimo. Al naso dolci effluvi di albicocca e pesca disidratata. Mai, neanche al variare della temperatura, compare quella greve nota di zafferano, che nelle zone “sacre” è ritenuto un difetto! Al palato le morbidezze di zuccheri e note alcoliche vengono ben compensate da una vivida acidità che è struttura tramante. Peccato che al contempo non sia affiorata anche una scaloppa di foie gras…
Ecueil (ed in piccola parte Les Mesneux) sono vigne a sud-ovest di Reims: in bicicletta dalla piazza della cattedrale le raggiungi in tre minuti. Esposizione perfetta e naturalmente predominanza del Pinot noir. Il vino? Uno spettacolo! Lo Champagne che piace a me! Un delicato agrume al naso: mandarino ed un po’ di bergamotto. In bocca persino violento, tanto è duro e scorbutico; pura scossa di elettricità. Il tutto a prezzi assolutamente alla portata di coloro che si avvicinano assetati al mondo della spumantistica.
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