Un gelato al limon…gelato al limon…

…libertà e per linee colorate, ecco quello che io ti darò. E la sensualità delle vite disperate, ecco il dono che io ti farò…”.

Chissà a che cosa si ispirasse l’avvocato astigiano? Io ho un sospetto! A me, vita disperata, ed al mio Zind  Humbrecht (Riesling 2001 Heimbourg, Alsace Aoc) che con il suo arcobaleno ha illuminato questo uggioso pomeriggio autunnale. E come di fronte ad un miracolo, bisogna rimanere senza parole, e lasciarsi abbandonare alle suggestioni. 

d.c.

Il gusto dell’antico del Sangiovese

Antica la zona di produzione, antica la cantina (narrata sin dal medioevo), ma soprattutto antico il gusto di un vino, per lo scrivente dal fascino impareggiabile. Chiaccherata ed un po’ dimenticata la denominazione di origine per eccessi modernisti inseguiti da molti dei produttori aderenti, forse troppo stretti nella morsa di un Chianti iper produttivo e dall’irrefrenabile marketing promozionale e dal non troppo lontano “Sua Maestà” il Brunello. Ma qui no! La forte sensazione nell’avvicinare il bicchiere è di arrampicarsi nella storia e nel cuore del Sangiovese. Riserva 2005 che scopriamo prodotta in 6.000 esemplari, nell’assemblaggio storico tra uve di Sangiovese (75%) ed una quota a complemento di Cannaiolo e Cabernet Sauvignon (ricordo che lo stesso dimora sulle colline intorno a Firenze dai tempi di Caterina de’Medici, importato dalla stessa e chiamata “uva francesca”).  Il rosso rubino nel bicchiere comincia a virare su note decisamente granate. I profumi sono intensissimi, ancora fortemente giocati su note di frutta rossa, marasca su tutti, ed una viola leggermente passita e suadente. L’aggettivo più corretto è signorile, quasi aristocratico. Solo dopo un po’ di ossigenazione avanzano note terziarie di tabacco e cuoio. In bocca l’acidità è persino aggressiva, donando note di spigolosità detergente. Qui la retrolfattazione restituisce note terrose e di tabacco. La componente alcolica seppur presente (13%) non è mai percepita. Persistenza lunghissima per un oblio di suggestioni.

Villa il Poggiolo, Riserva 2005, Cianchi Baldazzi, Carmignano docg.

d.c.



Tappo nobile e perfetto nonostante 11 anni.


Sanguis Giovis….

L’arte dell’ossidazione

Dopo una serie di incontri non propriamente piacevoli (alcuni dei quali racconterò in seguito) dovevo rinfrancarmi con il mondo, ed in tema di ossidazione mi sono tuffato nella “ruggine” aprendo uno straordinario Madera antico. Il Sercial old reserve Barbeito 10 years old dimorava nella mia cambusa da oltre un ventennio (cioè da quando per una settimana intera mi sono esclusivamente nutrito di liquidi relegato in un esilio paradisiaco sull’isola atlantica). Dal momento che questo blog (come già abbiamo detto) confidenziale non ha alcuna intenzione di essere una didascalica lezione da professorino, se qualcuno dei venticinque lettori è curioso di conoscere il metodo di produzione del Madera, se lo vada a studiare per conto proprio. Posso solo consigliare lui di abbinare alla lettura una fredda bottiglia di Sercial… vedremo poi se farà ancora quella faccia quando sentirà il termine “ossidazione”. Signori… il paradiso. Nei profumi di quel bicchiere puoi trovare di tutto: finezza da fioretto, intensità da pugile. L’uva passa vira al fico, cacao, tabacco (biondo). Una profondità da fossa delle Marianne. E poi perdendo un po’ di temperatura l’uva diventa spina e l’acidità ti avvolge l’olfatto. No… non sono ancora ubriaco! Ma le sensazioni si fondono confondendo i sensi. In bocca tagliente, misurato come un bisturi, infinito in persistenza. E tornano note agrumate imbevute di cioccolato amaro. Ma cosa fate ancora lì? Fra poco la bottiglia è finita.

d.c.



La felicità in un bicchiere ed in una bottiglia quasi finita… da solo!


Ai fondi del caffè preferisco la lettura di questi…

La curiosità a volte ha un costo…

Oro oro oro, Vino Spumante.Azienda vitivinicola Daniele Ponzini, Vicobarone (PC).

Bottiglia il cui studio estetico rivela la volontà di attrarre consumatori: poco tradizionale, molto di effetto, ma assolutamente priva di informazioni (peraltro non recuperabili neanche sul web). Il contenuto è sicuramente di colore dorato, ma tutto il resto è abbandonato alla maestria/fantasia dell’avventizio degustator bevitore. Tappo a fungo, anonimo. Olfatto che fa trasparire una consistente ossidazione che affossa una base aromatica di fiori gialli, camomilla e note fruttate dolci, ma anche qualche “puzzetta” di troppo (se dovessimo giocarci il vitigno, punterei la posta su una Malvasia, sottoposta ad una surmaturazione ). In bocca l’acidità si fa anche viva, ma il supporto carbonico del processo di spumantizzazione (credo, anzi potrei giurare in autoclave) però è insufficiente a dare struttura. L’aromaticità del vitigno ritorna cosparsa di sgradevole nota brûlé… dimentichiamo!

d.c.

P.s.

Mi viene voglia di invocare il grande Maestro e ricordarmi che la vita è troppo breve per mangiare e bere male…


Come siamo diventati sofisticati…

Ma quanto tempo era che non aprivo un rosso della mia terra? Ossia un vino della denominazione Curtefranca, già denominata Terre di Franciacorta, già… Ma quanti sono i produttori che insistono su questa denominazione? Si sa di nobili produttori di bollicine che si pregiano di alcune etichette di Curtefranca rosso e bianco a prezzi borgognoni. Ma mi incuriosisce sapere se il “tipico” taglio bordolese bresciano ha ancora un mercato significativo fuori dai confini locali.

La Montina Curtefranca Rosso dei Dossi 2012, 12% vol. di alcool. Da uve Cabernet (le indicazioni dell’etichetta non aiutano a rilevarne la tipologia, credo però il più morbido sauvignon) e Merlot. 8 mesi di affinamento in barrique ed 1 anno di bottiglia prima di essere messo in commercio. Vino semplice e facile, di gran frutto rosso all’olfatto, piacevole seppur non intensissimo. Fresco e brillante nel cavo orale, con una bella acidità che aiuta la pulizia dello stesso, pur se abbinato ad un piatto ricco dì grassezza come i tipici salumi bresciani. Ma la caratteristica più rilevante è la vivacità, anzi la giovinezza di un vino che invece comincia ad avere già 4 autunni alle spalle. Bottiglia di assoluta economicità: 13 eur in ristorazione (meno di 7 su vendite on-line). Ma perché ci siamo dimenticati dei nostri rossi?

d.c.

Il dettaglio dell’etichetta.


La retroetichetta un po’ troppo sintetica.


La vividezza di un rosso rubino da paradigma nonostante i 4 autunni.

Rebo, vino da invecchiamento

Qualche anno fa dedicai un po’ di attenzione ai vini nati dal misterioso vitigno Rebo, incrocio tra Merlot e Teroldego creato nel dopoguerra nella straordinaria “scuola” di San Michele all’ Adige dagli studi di Rebo Rigotti. Più facilmente rintracciabile in Trentino, sperimentato presso le cantine del Benaco bresciano alla fine dei primi lustri del nuovo millennio. Risale ad allora la mia raccolta e le mie bevute…

Così come risale al 2008 la vendemmia dello splendido Rebo stappato oggi. Ancora IGT del Benaco bresciano, Singia (che a mia memoria topografica è indicazione della vigna), Cascina Belmonte in Muscoline, località Moniga del Bosco (siamo ancora nella valle del Chiese, la vista del lago è inibita pur essendo a poche centinaia di metri dalla sommità della collina morenica).  Generoso il volume alcolico (14,5%). Sorprendente la vivacità e la vitalità del vino nel nostro bicchiere. Di un bel rubino intenso, impenetrabile. Mi sarei aspettato pennellate granate se non aranciate, qui introvabili. Naso intenso e delicato, giocato su note nette di mirtillo e di polveroso cacao, ma su uno sfondo decisamente “smaltato”.  In bocca meno intenso che all’olfatto, ma la tenuta di un’acidità ferrea bilancia la componente alcolica mai invasiva.  Delizioso il ritorno cioccolatoso, che sostiene la persistenza a livelli da record di durata.

Chi l’avrebbe mai detto di una tenuta del tempo tanto granitica, mantenendo il prodotto non solo integro, ma probabilmente non ancora al culmine della propria evoluzione (tranquilli compari… ne ho ancora un esemplare in cantina!). Avvicinato in abbinamento al primo spiedo dell’anno, ne è uscito come regale e perfetto compagno.

d.c.


Analisi di un tappo perfetto.


Il dettaglio di un’etichetta a mio giudizio bellissima (ed oramai abbandonata esaminate le ultime release).


I dettagli in controetichetta.


L’intensità di colore.

Colli, e sempre Colli, e fortissimamente Colli. II

Continua il mio studio piacentino sulla cantina Luretta: già avevamo analizzato un rosato di difficile connotazione ma di sicuro interesse e pregio.  Oggi invece percorriamo vie più conosciute e raffrontabili a prodotti similari sul terreno italico: Principessa Pas Dosè 2011. Da uve chardonnay e pinot noir, riposa 36 mesi sui lieviti, per un carattere indomito. Giallo dorato all’analisi visiva, perlage di piacevole finezza, la stessa finezza che si percepisce all’olfatto, blandendo la degustazione con delicatezza, quasi in punta di piedi. Cremoso, con frutta a polpa gialla ed agrumi, con un fondo di pasticceria. Pari note in bocca, dove imperia però una freschezza esemplare che doma e conduce la pur consistente dotazione alcolica (13,5% vol.). Eleganza nella retrolfattazione, nessuna nota amarognola, ma una persistente nota agrumata, lunghissima e piacevolissima. Da ricordare… “xxx”.

d.c.

La retroetichetta.


60 mesi e non sentirli… o perlomeno vederli! Colori di straordinaria vividezza.

90 punti? 

Ricordo quando il grandissimo sommelier e degustatore Luca Gardini assegnò al Valpolicella superiore 2011 di Roccolo Grassi il punteggio ricordato nel titolo.  Ieri ho avuto la fortuna di incontrare il 2012. Che grande vino! Naso intenso, una vera sferzata, con un complesso ventaglio di fiori e frutti rossi, accompagnagnati ai percettori da una colonna alcolica…alla vista la rossosità rubina è prova di una stabile giovinezza! In bocca l’entrata è potente e rotonda: la forza alcolica (14,5%) è anche qui veicolo non solo di calore ma di un frutto dolce e  scuro croccante che rimane di persistenza infinita. La giovinezza è ricordata da una freschezza che sorregge tutta la struttura e da una distinta nota di vinosità, nonostante i 4 autunni. Nessuna nota terziaria percepibile. Per i 90 punti… Non so! Ma di sicuro rimane la voglia di reincontrare questo 2012 fra qualche anno per goderne l’attesa evoluzione. Costo? Inferiore ai 20 euro.

Az. agricola Roccolo Grassi, Mezzane di Sotto (Vr).

d.c.

Tradizione o vetustà ?

La riflessione verso cui oggi voglio condurvi mi viene suggerita (suo malgrado) dall’assaggio di un vino semplice semplice: ho incontrato il Tramoser, un Venezie Bianco Igp dell’ azienda agricola Faccioli di Sona (Vr): vendemmia 2014. Da uve bianche (… Nulla più si ricava dalle schede tecniche sul vino recuperabili sul web… Mi gioco Garganega, Trebbiano e forse Trebbianino, ma scommetto su una quota di Pinot grigio) e lavorazione del mosto in acciaio. Evidentemente la denominazione è, come si diceva un tempo, “di ricaduta”, ma il prodotto è deboluccio: un bel giallo paglierino con chiari riflessi dorati, profumi per niente banali, con un bello spettro di complessità su note di frutta gialla matura ed una nota iodata però che sarà la fonte di tutti i miei dubbi. In bocca la cremosità dolce da crème brûlé sovrasta la spalla acida e sapidità e quella nota iodata già rintracciata dall’olfatto è per me sintomo di un processo degenerativo di ossidazione. Tutto il resto poi è calore apportato da una sostenuta dotazione di alcool (13%). Ricorda esattamente i vecchi vini vecchi da osteria… Ma è un 2014!!! Come pensare che la tecnologia di oggi porti a vini (destinati ad un mercato da “bottiglia”) di obbligato pronto consumo? La denominazione di ricaduta, anziché donare libertà e fantasia di produzione, dona ancora la libertà di scaricare i residui produttivi? Quale il mercato per questi prodotti, se non nell’ambito”localissimo” ?
d.c.

Vini da supermercato

Si! È vero! Pur essendo perdutamente innamorato del vino, anche nel suo essere oggetto, ho sempre considerato i prodotti venduti nella grande distribuzione, solo come lontani parenti del mio oggetto del desiderio. Ebbene sì: l’allocazione usata nel titolo ha sempre avuto valenza dispregiativa! Avevo ragione? Ma non lo so… Vedendo molto spesso i prezzi ed i tempi con cui la g.d.o. liquidava le proprie partite d’acquisto, la mia solidarietà verso il produttore si trasformava nella convinzione che quest’ultimo vendesse alla controparte la peggior produzione. E poi per un cultore della conservazione come me, vi immaginate scaffali e pallet di cartoni esposti a qualsiasi variazione di temperatura, luce e condizioni di umidità ? Barbarie! Era giusto che negli scaffali si trovasse solo il peggio! Certamente la crisi del consumo del vino ha aiutato a stemperare le mie posizioni intransigenti, convinto che in realtà la grande distribuzione sia stata utile valvola di sfogo (anche per le grandi cantine) nello svuotare almeno parzialmente gli stoccaggi che si saturavano. Non sono ancora convintissimo di trovare qualità , però perlomeno ho recuperato la valenza nel poter rintracciare velocemente vini non propriamente facili da recuperare. Per cui questa sera inizio una nuova rubrica, dedicata a quei, rari, vini che mi sentirò di salvare dal bancone facendo la spesa.

Sono quasi 10 anni che non bevevo un Cirò, ossia dalla mia ultima vacanza in terra calabra. Questa sera ho incontrato un Gaglioppo in purezza del 2015 della Vinicola Zito snc di Cirò Marina (Kr): un bellissimo rubino vivace, un intenso profumo di frutti rossi, tabacco e cioccolato, peccato una beva troppo leggera, solo acida, ma senza una struttura degna da vero vino rosso, nonostante ben 13% di alcool. Sfuggevole al palato. Lontanissimo da quei ricordi stampati nella mia memoria dei veri Cirò Rossi.

d.c.