Pardonnez moi, Madame: Est-ce que vous etes francais?

Mammamia che cosa non è questo non dosato di casa Cavalleri!

Intendiamoci: non voglio fraintendimenti! Non è mia assoluta intenzione paragonare i nostri amati Franciacorta ai sublimi francesi. Troppa la differenza delle zone vinicole anche solo in punto di clima. Troppa la differenza in termini di suolo. Rimane solo l’ispirazione: è assolutamente evidente che lo Champagne rappresenti per tutti un modello (anche industriale) unico ed irripetibile.

E questo straordinario Cavalleri, che tanto assomiglia a prodotti d’oltrealpe, è forse per questo ancora più straordinario.

Scende nel bicchiere vestito di un brillante giallo paglierino, ornato da infinito brulicare di minuscolo perlage: nobilissimo. Olfatto perfettamente definito e di complessità incredibile: frutta gialla sia fresca che disidratata, e tra questa una albicocca croccante; netta sensazione di leggera tostatura di una mandorla dolce. Speziato come sole le grandi maison sanno caratterizzare i loro prodotti. In bocca entra come un fendente: l’acidità taglia come un bisturi, e ferisce, piacevolmente, per la sua energia. Di persistenza impressionante. Torna alla deglutizione la tostatura leggera ed un anice stellato da brividi.

Probabilmente il miglior Franciacorta dell’anno; tra i migliori in assoluto prodotti con  metodo classico incontrati nel 2016.

Franciacorta Pas Dosè 2009. Chardonnay 100%. 13% vol. alcolico. Deg. Inverno 2013/2014.  Az. agricola Cavalleri, Erbusco.

d.c.




Il morso della vipera

Per molti anni è stato considerato uno dei più importanti vini bianchi d’Italia, fratello, non proprio minore, del celeberrimo Cervaro della Sala. Il Conte della Vipera viene prodotto da uve sauvignon blanc, con una minima quota di chardonnay. Oggi annata 2006, con tanta aspettativa di cogliere la franchezza di un grande vino, oramai maturo.

Ed invece.. AAAAAAHHHHH…. la rottura del tappo! In fase di stappatura il tappo è propriamente esploso in due parti. Considero l’evento al pari di una sventura, la punizione di qualche divinità. Chissà chi mai ho offeso…

Necessario operare, prima della degustazione, travasi e filtraggi per eliminare i residui di sughero, con l’umore che progressivamente si incupiva.

Il vino era comunque perfetto! Alla vista il giallo era ancora su note paglierine, solo leggeremente carico, privo di attese venature dorate. L’olfatto, per quanto non intensissimo, integro e nettamente costruito su nuances di frutta gialla a polpa acida come un ananas ovvero di agrume, ma più mandarino che arancia. Poi una bellissima foglia aromatica, forse una salvia ed un più caratterizzante dragoncello. In bocca la tenuta della freschezza comincia a lasciare il passo alla componente alcolica, contenuta in valore assoluto, ma rotonda ed ammorbidente il palato. Tale rotondità aiuta a far ritornare aromi retronasali sempre di frutta, qui però sciroppata o sotto spirito.

Chissà come avrebbe coinvolto il mio oblio senza la sventura!

Conte della Vipera 2006, Umbria IGT, Marchesi Antinori.

d.c.




Luna calante

Altissima l’attesa per un vino prodotto da una delle cantine più importanti del panorama piacentino: l’azienda agricola Tosa di Vigolzone da anni si erge per la qualità emergente dei propri prodotti. Oggi all’incontro era presente il Cabernet Sauvignon “Luna Selvatica” nella sua annata 2013, ma purtroppo anticipo subito la mia delusione perchè all’apertura del tappo, una netta sensazione di difetto è subito emersa. Forse più del classico “tappo” con l’invasiva molecola di tricloroanisolo, siamo in presenza della più subdola tetracloroanisolo! Ed è stato un vero peccato, perchè il vino sembrava avere tutte le caratteristiche per essere ricordato. Rubino inchiostro alla vista, di notevole corposità ed apparente “peso”. Nonostante il difetto, escono note scure di piccoli frutti di bosco, dolci, gradevoli, leggermente marmellatosi. In bocca la corposità e la muscolosità, quasi mascolina, del frutto riesce a scavalcare il mostro, che però ahimè rimane. Il peso che osservavamo nel bicchiere lo si ritrova in una corposità quasi carnale al palato. Nonostante tutto, esemplare l’equilibrio tra la componente acida ed il calore alcolico, notevole, che si sprigiona al sorso, figlio di una dotazione indicata in un 14% volume, ma forse persino un poco superiore. Impossibile però oggi ammettere un innamoramento.

d.c.


Particolare dell’etichetta.


È la storia di questa bottiglia! Io per questo riesco anche ad emozionarmi.


Evidente l’intensità del colore, e la componente glicerica e lacrimante.



Il colpevole!

Franciacorta… I love you… XI

Vado a rispolverare una rubrica ultimamente un po’ dimenticata, anche se del Franciacorta noi ne facciamo un consumo smodato…

Bottiglia nobile, anche nell’eleganza del proprio habillage: siamo andati a scovare in cambusa un Pas Dosé millesimo 2006, da sole uve Chardonnay, prodotto da Majolini di Ome, dedicato all’artista Aligi Sassu. Alla vista il colore biondo sta virando verso note dorate, perlage non intensissimo ma di finezza e persistenza estrema. Il sospetto di minima ossidazione sparisce però nell’avvicinare il naso al bicchiere, inondato da una magistrale intensità di frutti gialli maturi, pesca sciroppata, albicocca, e più tardi, con la perdita di temperatura,  anche di mela verde. Fendente in bocca, trascinato da una scarica acida vibrante. Persistenza notevole con aromi eleganti di frutta, più fresca di quella che avevamo assaggiato “al naso”. Credo di detenere ancora due esemplari in cantina, che possono attendere il proprio sacrificio.

d.c.


Il dettaglio dell’etichetta.


Il racconto ed i dettagli: sboccatura 2011? 5 anni sui lieviti, 5 anni in cantina.


… avete ragione: il bicchiere non è proprio da degustazione. Il giallo non è ancora dorato, ma comincia a caricarsi (alla cieca avrebbe potuto essere confuso con un blanc de noir.


Dettagli del tappo.


Vino puro

Origini umili, di estrema profondità non solo geografica, ma soprattutto nella storia per questa verdeca salentina. Amo questa cantina per i rosati, ma mi avvicinai a loro proprio tramite il loro vino bianco, accostamento ed abbinamento ideale alle ittiche crudità del tacco d’Italia. La breve permanenza del mosto sulle bucce, pur non facendo calare minimamente l’imponente acidità, estrae dalle stesse un potentissimo bagaglio di profumi: molto giallo l’olfatto, con frutti maturi, dalla sensazione quasi dolce, ma accompagnato da una leggera falciatura di erbe estive. Ma in bocca questa maturità viene immediatamente smentita, inquadrata dalla durezza dell’acidità rinfrescante; solo in chiusura una concessione di leggero calore che ammorbidisce il palato e lo appaga.

Mière, Bianco, Salento IGP, vendemmia 2014. 12,5% volume alcolico. Michele Calò & Figli, Lecce.

d.c.


Un’etichetta tutta da leggere.


Ricercatezza ed eleganza anche nella capsula.


E dove è tutto il sole del Salento?  Giallo paglierino carico, ma mai “dorato”.


La perfezione del tappo, realizzato con sughero ad alta densità.

Corsi e ricorsi

Qualche giorno fa ero  tornato sul Cisiolo di Villa Crespia declinato su una sboccatura più datata, questa volta mi sono risoffermato sul Numero Zero, che ricordo essere, a differenza del sopracitato non dosato blanc de noir, da sole uve chardonnay, nella medesima sboccatura (2013) già affrontata questa estate.

Già allora si era meritato un “Franciacorta… I Love You”, ma vuoi le temperature ambientali più rigide, vuoi un contesto differente, questa volta il vino è apparso meno prestazionale. Probabilmente a causa di una bottiglia non perfetta, sono apparse primigenite note ossidative, a soli 4 mesi dal gran campione agostano. Alla vista il brillante giallo paglierino animato da un perlage continuo e di grande finezza. Profumi abbastanza intensi, ma giocati solo su monotoni variazioni della mela (dalla verde alla golden, ed anche con note di leggera ammaccatura…). In bocca integro, secchezza tagliente, pulizia corroborante, piacevole chiusura su aromi tostati.

d.c.

Nella sua copertina protettiva


Bottiglia di sobria eleganza.


Dettagli di etichetta e…

…e retroetichetta.


Il tappo nei suoi dettagli.


Senza compromessi

Quale stupefacente incontro questo pomeriggio: non solo un vino, ma probabilmente anche il suo produttore, comparso e scomparso al nostro cospetto quasi al sussurro epicupereo del “vivi nascosto”. Da uve, lo pronuncerò in modo classico, di tocai friulano, in un vigneto di meno di mezzo ettaro, allevato in biologico con impianto a sylvoz con sesto d’impianto di discreta densità di piante (3.000 per ettaro, e non essendo neanche mezzo ettaro…) di età matura (30 anni). Vinificazione estrema, con fermentazione spontanea, malolattica e affinamento sulle fecce per 8 mesi in recipienti di acciaio chiuso. E tutto questo non si vede (il vino è di un brillante giallo paglierino) ma si sente! Alle tipiche ed uniche  note varietali del tocai, si staglia su tutti una leggera nota smaltata e soprattutto di… candela, cera da candela. Affascinate! Scaldandosi poi affiora tenuemente un’erba aromatica, una foglia di salvia fresca. In bocca è rapido, snello, pulito. Estremamente scorrevole, con un corpo non impegnativo, sorretto da un’acidità pulente. Chiusura su classica nota ammandorlata.

Borc Sandrigo, Denis Montanari, Villa Vicentina (UD). 3.900 bottiglie.

d.c.


La bottiglia non sono riuscito a fotografarla, ma il tappo me lo sono portato via!

Valzer viennese

Pararara rra pa ppa pa ppa… ma come avrà fatto a finire nella mia cantina questo vino? In realtà siamo lontani da Vienna, bensì nella vocatissima e bellissima area lacustre del Neusiedlersee. Pinot noir del 2005 (e nella mia cantina quindi è sufficientemente giovane…): tappo a vite! Beh la curiosità della tenuta del vino è tanta, troppo per resistere alla stappatura.

Ed il vino è assolutamente integro: ha iniziato la sua fase di maturità, ma non vi sono note nè di vecchiaia nè di pronunciata ossidazione. Alla vista il rosso rubino domina, con la tipica trasparenza del Pinot nero, ma con accennate pennellate granate. E l’olfatto, poco intenso, si declina ancora su note floreali e di piccoli frutti rossi; solo dopo una decisa ossigenazione appare un elegante cuoio. Fresco in bocca, molto scorrevole, persistenza appena accennata su note di frutta scura disidratata. Sensazione alcolica minimamente percepita. Nella retroetichetta si viene invitati ad una degustazione a temperature limitate a 13-15 gradi, e così ho fatto (15 gradi).

Ulteriore sorpresa otto ore più tardi, quando le poche dita rimaste dal pranzo sono state definitivamente sacrificate. Fuori temperatura consigliata, molto più vicina ai 20 gradi.Le caratteristiche visive sono le stesse, ma ora i profumi sono molto, molto più intensi, pur non avendo modificato il registro della gamma pomeridiana. Anche in bocca identico.

d.c.

Bottiglia regale.


I dettagli dell’etichetta.


… ed un romanzo nella retroetichetta.


Tappo a vite (in realtà durissimo all’apertura, tanto da necessitare di una lametta).


Bandiera ed orgoglio austriaco.


Vi sembra un colore ossidato?



Per chi non avesse capito per 11 anni il vino ha avuto questa protezione…nulla!

Ancora tu?

L’avevo già incontrato quest’estate con sboccatura 2014, ed andando a rileggere le note di degustazioni era apparso duro pur nel suo equilibrio.

Oggi versione con sboccatura 2013 del Blanc de noir non dosato di Villa Crespia: il Cisiolo. Scende nel bicchiere giallo paglierino con nette pennellate dorate; elegante perlage, anche se non intensissimo. I profumi cominciano a donare sensazioni più mature e rotonde. Decisa la sensazione agrumata al naso, ma non citrina bensì di bergamotto e singolarmente di mandarino, poi una cremosità piacevole proprio di crema pasticciera che si staglia su dettagli di nocciola e mandorla (forse leggermente tostata).  In bocca entra pulito, freschissimo, e non fa mai affiorare la nota alcolica comunque non limitata (13%). Giusta persistenza lasciando un ricordo giallo ancora di agrume.

d.c.


La retroetichetta.


Tappo e capsula (dedicata).

L’incontro

È necessario che ogni tanto (ahimè troppo raramente) i tre pazzi di questo blog si incontrino per affinare il potente strumento di ricordi che è Wine top blog, ma come al solito era così tanta la voglia di vedersi e di raccontarsi che del blog non abbiamo neanche parlato: peggio per tutti noi! Dovremo necessariamente rivedersi. Ma non è stato vano l’incontro: la buia notte è stata illuminata da una stella…

Clos de Coulaine, Chateau Pierre Bise, Bealieu sur Layon, appellation Savennières controlée, siamo nei pressi di Anjou sulla Loira: Chenin Blanc in purezza. Vendemmia 2013.

Non credo che nessun vigneto in Italia produca uve da cui si possa produrre vini dalle caratteristiche simili allo Chenin blanc, unico per espressione, imparagonabile per caratteristiche. Oro alla vista, tale da far presumere una maturità che invece non ha assolutamente. Al naso detta linee minerali, e poi sensazioni verdi ed agrumate: ma è la stupefacente capacità di trasformarsi via via che prende temperatura la nota che più impressiona. Il bicchiere continua a migrare, ora vegetale, ora fruttato, ora pervaso da nette sensazioni floreali, poi di nuovo nettamente pietroso e minerale fino ad una sensazione di tessuto immerso in ammorbidente, ma non per questo distintamente aromatico. In bocca è tagliente, citrino, un preciso rasoio: rapido ad incidere ed a scorrere, per poi sfruttare la retrolfattazione ricomparendo come agrume. La mineralità al naso è sale in bocca. E tale sapidità illude la persistenza, di per sè non lunghissima.

d.c.

Oro liquido, ma la presunzione di dolcezza ovvero ossidazione viene smentita già solo avvicinando il naso al bicchiere.


…i vignaioli anche qui si devono sentire “liberi”…