Giorgi 1870  Gran Cuvée storica 2011.

Pinot nero delicato, tenue, appena appena sussurrato. Abituati come siamo noi “franciacortini” a pinot di carattere, a volte muscolosi, a volte persino rustici, lascia spiazzati questa eleganza che non lascia traccia. Questa leggerezza era già stata definita come cifra stilistica in precedenti avvicinamenti alla cantina, già “postati” anche qui nel nostro petit cahier. Pluripremiato dalle Guide con bicchieri, gujot e chi più ne ha più ne metta…il vino è perfetto, ma… non mi ha pienamente convinto!

d.c.


Retroetichetta: non vi pare un po’ troppo piena?

Sigillo particolare.


Il tappo perfetto.

Amarone della Valpolicella classico, Campomasua, Venturini. 2006

Scende nel bicchiere con grevità glicerica, ma il colore è vivo e di affascinante vividezza. L’olfatto, giocato su note di frutto rosso avvolgenti, e su una netta sensazione di smalto,  non dell’intensità attesa dal “camino” alcoolico: c’è però una nota polverosa, incerta, non pienamente appagante. Forse ha bisogno di liberarsi dai 2 lustri i restrizione, probabilmente migliorerà con la serata, o forse ancor più domani…La qualità del campione però in bocca: equilibrio misurato e complesso. La nota alcolica, dalla presunta non contenibilità, è in realtà bilanciata perfettamente dalla componente acida, perfettamente anch’essa camuffata nei ritorni fruttati della retrolfattazione, e da una nota tannica decisa, morbida ma non completamente arrotondata: e mentre ti aspetti il calore nel cavo orale, le papille “sudano”freschezza. Da rivedere…domani!

d.c.

La retroetichetta… un po’ retorica ed autocelebrativa. Io sottolineo solo il volume alcoolico.

Il tappo assolutamente perfetto.

Meyer Fonné , Pinot Blanc Vieilles Vignes 2015. Vin d’Alsace.

Brillante, fresco, semplice, ma inneggiante alla beva, mai complessa o impegnata, ma non per questo non piacevole o appagante. Olfatto di floreale finezza, palato di conturbante leggerezza. Questo l’indelebile parte del ricordo. Ahinoi da dimenticare la vena artistica del fotografo, poco impegnato nel ritratto della testimonianza.

d.c.



Straordinario invece il ricordo del risotto che ha accompagnato il sacrificio della bottiglia: risotto al Castelmagno con nocciole delle Langhe e battuta di fassona piemontese. Il tutto servito qui…

Pietra Brox 2015- Tenuta Giardini Arimei.

Alla vista una presunzione di leggera ossidazione, visto il giallo carico, quasi dorato, con cui si presenta nel bicchiere. Forse gli effetti di una vendemmia un po’ avanzata. Ma invece i profumi sono lievi e floreali, su una nota salmastra. Entra pulito nel cavo orale, senza eccessi, sia per acidità che per alcolicità, entrambe sempre misurate. Persistenza indotta da una base di sapidità, cifra della tessitura di tutta la degustazione.

Da vitigno Biancolella. Ischia Doc. Cantina appartenente alla Galassia Muratori.

d.c.


La retroetichetta.


Il tappo di sughero ad alta tecnologia.


Il giallo oro che un po’ mi ha confuso…

Il Principe….

AMEDEO     CUSTOZA SUPERIORE D.O.C.

Grazie al mitico Tito che mi ha omaggiato di questa bottiglia dopo una sua visita in cantina, incuriosito da questo Custoza  segnalato tra i grandi vini con i tre bicchieri dal Gambero Rosso….

 

Il nome ricorda il Principe Amedeo di Savoia ed è davvero un vino da Principi…
Bianco con un grande potenziale per un buon invecchiamento, semi aromatico piacevole con un perfetto equilibrio tra frutta, tannino, alcol e acidità. Spicca la Garganega (40%) tra i vitigni che lo compongono e l’aromaticità della Fernanda 30% (clone di Cortese), Trebbianello 15% (clone di Tocai), Trebbiano Toscano 15% corposi ma neutri. Davvero una bella e buona sorpresa…

 

Andata e… ritorno.

Ripassaggio sulla Cantina Giorgi, con un prodotto, questa volta, similissimo ad uno già qui recensito un paio di mesi orsono: Pinot nero in Dosaggio Zero denominato Top Zero ma qui nella sua versione Vigna La Sacca ( e con cambio cromatico dell’etichetta…). Sboccatura leggermente più datata del precedente (dicembre 2015), prodotto fotocopia nelle sue caratteristiche principali, se non per una personale percezione di maggiore gioventù, o forse minore maturità, ed una spiccata nota olfattiva di rusticità, che non ho particolarmente apprezzato. Vino per il resto caratterizzato da puntuale correttezza e da una “leggerezza” che evidentemente ne rappresenta la cifra stilistica. Come alla visita di leva: rivedibile.

d.c.

Come nella precedente esperienza l’unico accenno al “cru” nel bollino sovrastante l’etichetta.


La retroetichetta: tutte le informazioni sono puntuali, ne rivedrei la veste grafica.


Tappo, perfetto e di alta qualità.


Miscellanea per la fine di un anno bisesto e per l’inizio di un altro con il 17

Esagerato, si è esagerato! Scrivere un post per ogni vino degustato/bevuto/strapazzato, impossibile! Ci saremmo trovati obbligati a farci offrire subito una cena dal nostro amministratore, cena promessa al raggiungimento del centesimo articolo…

E per cui la scelta di ricordare; di ricordarli tutti, o quasi tutti; sicuramente tutti quelli significativi.

Natale, il pranzo di Natale, all’insegna di una scelta locale e modesta, ma non per questo priva di dignità… Chardonnay, semplice e profumato, Pinot nero, rustico e leggero, delle colline dell’estremo confine franciacortino: per cui il bianco ha potuto fregiarsi della denominazione, mentre il rosso è ricaduto nell’IGP Sebino. Siamo nell’Osteria del Maestrì ed a tavola ci sono i loro vini.


L’avevo già incontrato nel corso del passato anno (bisestile), l’ho voluto fortemente ritrovare prima che il bisesto finisse: e come nel primo incontro, è stato amore viscerale per l’intima eleganza, non solo della sua veste, e per la sua profondità pur mantenendo una semplicità di beva impressionante.




Di corsa… di corsa… ne è rimasto solo il ricordo di una bottiglia finita. Semplice, mi permetterei di definirlo commerciale, ma preciso, pulito, elegante.

Uguale sorte, il pomeriggio seguente per il fratello maggiore: ed in quanto maggiore ha mostrato tutta la sua forza ed i suoi muscoli. Non ne conoscevo le caratteristiche, ne temevo la deriva commerciale, che in realtà non c’è: il vino è intenso, vibrante, emozionante, vero.

Tagliente come una lama. Peccato un ricordo fotografico incerto, ma non il vino apparso alle mie papille straordinario; persistenza di frutta gialla che mi rimane impressionata nella mente a giorni di distanza.


Era tanto che non bevevo un Prosecco tanto interessante. Dolce ma gradevolissimo, di beva immediata e mai paga. Il limitato tenore alcolico ne ha concesso un consumo un po’ fuori “ordinanza”.



Siamo tornati sull’Oger con un Blanc de Blancs molto diverso dal precedente Vergnon:  a parte il fatto che trattavasi, come oramai al solito, di una bottiglia dimenticata, la cuvée non ha mostrato alcun segno di ossidazione. Anzi rimarrà nella mia memoria impressa per la regale speziatura e per un particolarissima nota di polvere di caffè al naso, così straordinaria quanto unica.


Dieci anni e non sentirli! Struttura inscalfibile, acidità misurata e pungente, tannino setoso: qui però ho capito perchè il sangiovese grosso viene chiamato dalle parti di Montepulciano “prugnolo gentile”, l’olfatto è variegato su note di prugna croccante o disidratata come mai mi era riuscito di osservare nei precedenti incontri con questo nobile produttore.


Non ho dubbi! Il RE!!! Il RE di tutto il 2016, ma forse di tutto l’ultimo lustro. Ritengo ingiusto trovare parole per descrivere un vero miracolo: è un capolavoro rinascimentale, un paradigma. 


Una leggera ossidazione, ma non tale da compromettere fragranza ed eleganza di un vino che mostra interessante struttura e notevole complessità. Giunto però al suo culmine e probabilmente sofferente sboccature datate (non ne conosco però la conservazione del campione “magnum” incontrato).


Un altro Blanc de Blancs, un’altra zona (Avize), un vino grande ed ancora diverso: sa di antico, con note di frutta matura e lontana affumicatura di un legno nobile e leggermente vanigliato. Di persistenza impressionante, capace di accompagnare a tutto pasto forse qualsiasi piatto.



Cosa vi raccontavo tempo fa del Pinot Grigio? Beh… lo ribadisco con forza! Alla vista il sospetto di ossidazione, visto il giallo dorato carico con cui è sceso nel bicchiere. Ma i profumi sono puliti, netti, di una fruttuosità esuberante. Al palato l’acidità ha ceduto un po’ il passo ad un alcool intenibile. Io non posso essere obiettivo, ma lui è parso anche a tutti i miei commensali grandissimo.


E per cui… era necessario ributtarsi immediatamente su qualcosa che celebrasse degnamente una delle più importanti cantine goriziane. Vino di 5 anni, ma sembrava di perdersi tra un campo fiorito ed un frutteto maturo. Oblio spettacolare.

Rimasti nel nostro italico nord est, ecco lo sbiadito ricordo di una grande uvaggio: sbiadito nel riflesso fotografico e nella nostra memoria, aggredita dall’alcool della (forse) decima bottiglia della serata. La mano tremolante ne è certamente testimonianza!


Borgogna, magica Borgogna! Nulla come la Borgogna. Sia che tu incontri un vino semplice, anche con qualche difetto (ossidativo) sia che tu intacchi il limite del tuo affidamento in banca, sfidando (perchè di sfida si tratta!) bottiglie con qualche zero prima della virgola. La profondità dello Chardonnay borgognone potrebbe essere assimilato ad un trattato teologico, ma la cui conclusione si definisca esclusivamente con un pavor numi…



Ne conservo in cantina decine di bottiglie, convito, come sono, che trattasi di uno dei Barbaresco più veri e fragranti, senza necessariamente dover contrarre tutte le volte un finanziamento. E nel tempo mi sono convinto che come tutti i Barbaresco (grandi) solo il tempo è capace di levigare la dura pietra del nebbiolo, perchè di anno in anno le bottiglie che apro sono sempre più buone. Chissà i prossimi magnum?


Non fa quasi più notizia scolarsi per merenda un noto prodotto di una grande maison. Preoccupante!…


….Se poi la merenda richiede il rinforzo… c’è qualcosa che non va!

E perchè non ricordare l’ultimo? Semplice semplice, facile facile. Nonostante una sboccatura non recentissima (188/14 ?) un prodotto integro, giovane, di estrema fragranza e riconoscibilità: non un grande Franciacorta, ma indubbiamente un Franciacorta!

d.c. (Che adesso per qualche giorno deve dedicarsi ad una dieta a base di un liquido poco nobile incolore, inodore ed insapore…)

Tour de force

Non riuscirò questa volta a raccontare tutto: la quantità di incontri di questi giorni, che ci porterà a bere in poche settimane un numero di bottiglie superiore a quello che normalmente apriamo in sei mesi, e soprattuto l’assenza di un approccio professionale che esige di registrare con doviziosità tutti i dettagli, implicherà un po’ di superficialità nell’aggiornamento del nostro blog dei ricordi.

Contrariamente alle mie abitudini (che mi portano a dimenticare le bottiglie a maturare in cantina) e soprattutto incuriosito dai giudizi di una guida nazionale, mi sono approcciato ad una bottiglia dalla recentissima sboccatura.

Metodo classico, non dosato, da sole uve di pinot nero, proveniente da una sola vigna, da Canneto Pavese in Oltrepo. Cantina Giorgi. Sboccatura marzo 2016.

E la giovinezza del vino viene rappresentata in tutti gli aspetti dell’analisi organolettica: giallo brillante nel bicchiere, ma estremamente scarico. Perlato da bollicine fitte e abbastanza intense, di grandezza non minuscola. Olfatto tenue, delicato, nettamente impostato su freschi agrumi, su tutti un mandarino e forse anche pompelmo. Entra nel cavo orale secchissimo, ma non tagliente come mi sarei atteso: anche al palato la sensazione principale è la lievità. Piacevole la chiusura retronasale che ricorda l’ananas, leggeremente addolcito. Fintamente con poca struttura: in realtà il vino, che probabilmente è stato pensato non muscoloso e senza eccessi, trova nel suo equilibrio generale e nella sua leggerezza la sua assoluta beltà.

d.c.


Bottiglia esclusiva per la cantina. Di forma elegante, ma non ho apprezzato qualità grafica e tipologia delle etichette.


Retroetichetta, con poche informazioni.


Analisi visiva.


Il tappo, esclusivo e di ottima qualità, nonchè perfetto.


L’unico elemento, oltre al colore dell’etichetta, che contraddistingue la specifica vigna: forse avrebbe meritato più spazio…

Canicola al solstizio d’inverno

Già alla vista comincia ad affascinare: troppo giallo per passare inosservato. All’olfatto vieni rapito da una profonda mineralità: troppo elegante per un vino base vinificato in cemento! Ed invece è proprio così: promosso a pieni voti al primo occasionale incontro! Porta dentro l’estate questo verdicchio, e la porta con una fierezza da premium wine. Tutto risulta nella misura, ed infatti è l’equilibrio l’elemento che più spaventa. L’olfatto spazia dalla frutta gialla al fieno ed alle erbe aromatiche, arieggiando in un solco decisamente materico e minerale, quasi di selce. In bocca l’abbraccio tra la freschezza acida ed il calore alcolico è da applausi. Netto, pulito ed anche qui minerale.Tutto è nella giusta misura per ammaliare al primo sorso. E tutto a meno di 10 eur…

Verdicchio dei Castelli di Jesi doc, 2015…di Gino…Fattoria San Lorenzo, Montecarotto (AN).

d.c.