Pecorino IGP Terre di Chieti 2016. Belisario.

Cantina a me sinceramente nota solo per i meravigliosi Verdicchio di Matelica, dalla capacità d’invecchiamento mirabolante (trattengo in cantina ancora vendemmie ante 2005, la cui stappatura rappresenta sempre un piccolo sacrificio) sono incappato qualche giorno fa in un curioso Pecorino prodotto da Belisario: curioso perchè credevo il Pecorino originario di qualche parallelo più a sud di Matelica, più verso al Gran Sasso che ai Sibilini…

In realtà le sfuocate fotografie qualche indizio ce lo rilasciano: IGP Terre di Chieti (… si si siamo più a sud!). Ma per comprendere l’arcano è necessario visitare il sito internet della cantina che ci svela la provenienza delle uve prodotte da una consorella (cooperativa) teatina. Quello che in realtà più sorprende visionando il sito è il prezzo di spaventevole economicità (eur 4,50!!!) per un vino piacevolissimo, sicuramente poco conosciuto, ma che potrebbe far impallidire la vanagloria di molti vini bianchi diffusi lungo l’italico scarpone: il 2016 appare invitante alla beva già mentre scende nel bicchiere, giallo paglierino con diffusi riflessi verdi; verde che torna all’olfatto in un susseguirsi di profumi di erba sfalciata, fiori bianchi e qualche erba aromatica. Entra nel cavo orale con una acidità sferzante, pulente, per poi affievolirsi e dare spazio ad una sapidità che si struttura in persistenza. Ne godi della sua leggerezza, e hai bisogno immediatamente di un altro calice…

d.c.

… mai più chimica per dormire!… io voglio solo “vino logico”!

“ Lugana ieri, oggi, domani. I 50 anni della DOC LUGANA”

Convegno tenutosi il 12 Luglio 2017 presso la Rocca di Lonato per celebrare ufficialmente i primi 50 anni della DOC. Relatori della serata sono stati : il Presidente del Consorzio Luca Formentini, Carlo Veronese Direttore del Consorzio e Monika Kellerman giornalista e scrittrice. Sono poi intervenuti alcuni ex presidenti del Consorzio dal 1990 al 2013 e il “mitico” professor Michele Vescia.

IL LUGANA IERI

Non poteva mancare, per l’illustrazione di questo argomento, uno dei personaggi che ha marcato, con le sue iniziative, i primi passi nella costruzione qualitativa non solo del Lugana, ma dei vini bresciani: il professor Michele Vescia.

Il prof. Vescia ha messo in luce gli aspetti storici dei primi tentativi, anche se pur fallimentari, della politica, sulla scia di quanto fatto da francesi e spagnoli negli anni 30 del sec. scorso, di introdurre anche in Italia i primi concetti di qualità dei vini e dei territori di produzione.

Interessante anche la messa a fuoco delle dinamiche per riuscire nella stesura di un disciplinare condiviso, il racconto della nascita delle prime strutture organizzative , la definizione dei confini di un territorio inadatto all’agricoltura a causa della natura argillosa e acquitrinosa del suolo.

Si è passati quindi ad una breve esposizione dell’ex presidente Marisa Monesi, al ricordo da parte del Direttore Carlo Veronese dei compianti Walter Contato e Sergio Zenato. Hanno preso la parola poi gli ex presidenti Francesco Ghiraldi, Paolo Fabiani e Francesco Montresor.

Da questi interventi sono rimasto particolarmente colpito da quegli eventi che hanno contribuito al successo del prodotto “ LUGANA “

  • Precisa e rigorosa definizione del territorio
  • Da parte dei Produttori e Vinificatori una unità di intenti e scelte condivise
  • Assenza di Cantine Sociali
  • Coraggiosa scelta fatta nei primi anni di declassare la produzione eccessiva in vini da tavola senza riferimenti per non svilire il valore della produzione DOC

IL LUGANA OGGI

La giornalista e scrittrice tedesca MONIKA KELLERMAN ci parla dell’introduzione nel mercato tedesco del Lugana. Pensiero importante in quanto tale mercato ne è in assoluto il principale consumatore (export circa il 40%).Il prodotto risulta molto apprezzato per l’alta qualità, ma anche per l’attenzione ai prezzi. Superare certi valori potrebbe mettere in gioco i concorrenti. Fa notare poi una mancanza di indicazioni sul prodotto a causa dell’etichetta esclusivamente in italiano. Su questo il cliente tedesco è decisamente sensibile.

IL LUGANA DOMANI

Il direttore del Consorzio Carlo Veronese presenta un futuro abbastanza ottimistico.

Basato su alcune considerazioni di fatto:

  • E’ quasi impossibile trovare un terreno che non sia vitato.
  • La produzione in questi anni è più che triplicata.
  • Le cantine non hanno praticamente giacenze.
  • Nuovi importanti investitori stanno cercando di entrare nel territorio.
  • Il valore dei terreni inizialmente insignificante ha raggiunto valori interessanti.

Da tutto questo la convinzione che “ IL LUGANA “  non sia solo un vino di “moda“, ma un prodotto qualitativamente eccellente, supportato da un territorio turisticamente importante e dall’affiatamento dei produttori nella valorizzazione del lavoro svolto.

Chiude il convegno il Presidente del consorzio Luca Formentini che riassume brevemente i punti salienti dell’incontro.

Purtroppo una nota stonata: il brindisi finale presentato un po’ raffazzonato e privo di significato per la poca chiarezza del vino in mescita . Certamente non all’altezza di quanto sentito in precedenza.

Vero Editore? Un po’ principiava l’ossidazione…

Che la bottiglia fosse nobile, non v’eran dubbi: non tanto per blasone o prezzo, ma sicuramente per la sua esclusività! Uno Champagne 2005 direttamente proveniente dalle “marne” di Bouzy a firma del RM Alain Vasselle: 85% Pinot noir e complemento con Chardonnay.  Scende nel bicchiere con veste d’oro antico, perlage impercettibile alla vista. Profumi che cambiano di attimo in attimo, migliorando in complessità acquisendo la temperatura ambientale: e c’è di tutto, senza grande intensità, ma la finezza espressiva è massima, variegando dalla frutta gialla in maturazione, all’agrume candito, a note ferruginose, fino a complessità speziate tipiche di una elegante parfumerie. Entra deciso nel cavo orale sostenuto da ferma acidità ed una progressiva sapidità crescente; torna la frutta gialla matura e….. ed una nota di miele d’acacia dolcissima. Messieurs, Les jeux sont faits! Siamo arrivati appena in tempo, per godere di quell’olfatto miracoloso. Au revoir. 

d.c.


Monsieur Vesselle era stato onesto, quando consigliava di consumarlo dopo 5 anni dall’imbottigliamento…


Dove sta andando la denominazione Custoza?

La risposta è: BOH?

Questo è ciò che mi porto a casa dall’interessantissima degustazione avvenuta lunedi 03 luglio presso la sede dell’Associazione Italiana Sommelier delegazione di Brescia. L’interesse poggiava sul fatto che dovevo risolvere un pensiero conflittuale: abituato a bere vini bianchi (perchè il Custoza doc non è altro che l’antico Bianco di Custoza doc!) di pronta beva ed immediato consumo,  negli ultimi due anni mi ero imbattuto in campioni tutt’altro che banali, anzi di rilevante qualità e spessore espressivo (vedasi anche precedenti post di W.T.B.).  E naturalmente W.T.B. era presente quasi al gran completo per Voi, esimi lettori, ma soprattutto per noi al fine di godere del piacere dell’amicizia e magari anche del vino…


Otto i vini presenti, non uno uguale all’altro! Ha fatto del suo meglio l’esperto relatore ( ndr Costantino Gabardi per il quale nutro il naturale affetto dovuto dal mio essere un nostalgico ed ancora convintissimo porthosiano, peraltro dalle origini), ahimè professionalmente coinvolto nel difendere una serie di vini nè espressione di una linea produttiva nè tantomeno di un terroir impossibile da identificare in cotante distonie.

I primi due campioni (Summa Custoza Superiore) prodotti dalla stessa mano (Gorgo) in due vendemmie differenti (2015 e 2014) appaiono come Iside ed Osiride: olfatto finissimo il primo, elegante e raffinato. Note di frutta fresca gialla e agrumi canditi. In bocca leggero, troppo leggero e sfuggevole. Addirittura una iniziale nota di carbonica, segno di una fermentazione affrettata e non completamente conclusa (si dice che qui il Trebbiano è in quota minimale, ma è tipicamente il Trebbiano a fare questi scherzi…). Residuo zuccherino non irrilevante.  Che dire poi del seguente 2014 surmaturato, giallo oro, intriso al naso ed in bocca da un invasivo e fastidioso zafferano. Stessa etichetta, ma un vino sembra nato ai piedi delle Alpi e l’altro vendemmiato tardivamente in Sicilia. Capisco che sia la natura a comandare, ma un minimo di traccia del governo di cantina mi piacerebbe ritrovarla nel bicchiere…

Già noto al mio palato, e meritevole di positivi ricordi l’Amedeo di Cavalchina, qui nella sua vendemmia 2013. Già incontrato qui nel nostro diario almeno un paio di volte: una volta a firma mia ed una volta a firma di D.T. Il mio incontro estivo però era con un campione a tappo a sughero, mentre ieri sera con tappo Stelvin. Forse il sughero è destinato alla versione Superiore, che ne è Superiore anche in qualità generale ( e non poco). Qui olfatto sbarazzino, ben fruttato, preciso. In bocca non “finito”, scappa via senza persistenza, ritorna il ricordo del vino di tutti i giorni.

Di ben altra attrattiva l’olfatto del Vigne di San Pietro 2013: un godibilissimo potpourry di erbe aromatiche, una nota balsamica affascinante, un palato leggero ma preciso. Anche questo di persistenza un po’ deludente, ma quell’olfatto variegato e complesso aiuta a perdonare.

Tanta l’attesa che riponevo sul Piona, soprattutto nella versione SP 2013 (leggasi Selezione Personale): olfatto extra maturo con una iniziale nota di sciroppo medicinale e poi tanto, troppo zafferano (ma i nostri cugini d’oltralpe non lo consideravano un difetto?); anche qui carbonica al palato! Non ci siamo! 2012 Campo del Selese, sicuramente meglio, nella sua semplicità (ma complessivamente corretto), ma anche qui mano e cifra stilistica completamente differente dal 2013.

Le Vigne San Pietro 2005 pur in assenza di ossidazione, nonostante i 12 anni di riduzione in bottiglia, ed una polpa integra e matura non convince, donando sensazioni sia al naso che in bocca monotone.

Infine estremamente interessante il non ancora commercializzato Rabitta di Cavalchina (il 2015 non vedrà mai la vendita): finalmente si legge un progetto anche in prospettiva commerciale: mineralità friulane, olfatto verde ed agrumato, che un po’ strizza l’occhio al modello Lugana; di certo la depressione dei prezzi del Custoza rispetto ai vicini deve essere utilizzata come leva di competitività. Unico neo? Di nuovo una totale distonia identificativa con gli altri prodotti.

Peggio per voi, invidiosi!  Noi ci siamo goduti otto calici e tanta, tanta amicizia!

d.c.

Ancenstrali’s Karma

In una fase storica (commerciale) ove va tanto di moda invocare il metodo “ancestrale” nel processo di spumantizzazione, io ho incontrato un vignaiolo (anzi una vignaiola) che mi ha risposto: “ma io l’ho sempre fatto così!” E non potrebbe essere diversamente per la Fattoria Cabanon, che ha fatto del simbiontico rispetto del ciclo della natura la propria filosofia di vita.

Più conosciuta per i meravigliosi rossi prodotti, comincio l’avvicinamento delle nostre chiacchiere via web alla cantina, con il vino più strano della loro poliedrica produzione.

Scende nel bicchiere vestito di un giallo carico maturo (gli ultimi bicchieri persino velati dalla massiccia presenza delle proprie fecce);  i profumi sono semplici, elementari, sa assolutamente di uva, pur non riconoscendo alcuno dei  vitigni costituenti l’assemblaggio (Pinot grigio, Sauvignon e Chardonnay), poi sensazioni di litchi bianco. E’ semplice anche al palato, di struttura leggera, ed è proprio questa leggerezza l’elemento di equilibrio tra un’acidità che non si svela mai (ma presente anche se corroborata da una effervescenza solo residuale)  ed una rotondità alcoolica che ritorna con aromi di frutta gialla matura. Lascia nella degustazione un’impronta antica.

d.c.

L’etichetta.

Visione di insieme.

La retroetichetta con i dettagli del progetto.

Panorama.

Ribolla gialla 2012, Collavini.

Una ribolla gialla vinificata con metodo classico?  L’unica ribolla gialla ? Ero rimasto troppo appeso alla curiosità dopo aver sentito una mirabolante recensione durante una puntata di Decanter a Radio2. E quasi casualmente ho rintracciato una bottiglia del millesimo 2012, con sboccatura 2016 (quindi a maturità del prodotto al culmine).

Scende nel bicchiere in una bella veste giallo carico. Perlage di una certa finezza e persistenza. Deludente per intensità e spettro olfattivo, estremamente tenue e timido, incapace di contraddistinguersi per note aromatiche. Si rifà al palato con una buona incisività e pulizia, piena di frutto giallo. Di buona persistenza e chiusura fruttata senza note amaricanti. Non rimarrà, nonostante i redazionali ascoltati, nei miei ricordi più limpidi…

d.c.

La grafica dell’etichetta è nobile.


Complete anche le informazioni della retroetichetta

Panorama…

Cuvée 600uno, Concilio spa, Trento doc.

Ma bravo Vincenzo! Le aspettative non potevano di certo essere smisurate: Brut di produzione industriale, 6 eur (si si ! Ho scritto 6 eur…) alla bottiglia. Riposto in ghiacciaia per accompagnare qualche aperitivo improvvisato. Ed invece il prodotto è assolutamente corretto: forse, anzi sicuramente agevolato da una sboccatura non datata (giugno 2016), scende nel bicchiere di un bel giallo paglierino carico. Profumi di frutta gialla matura “da chardonnay”. Palato preciso, pulito, “rinfrescante”. Per fortuna mi sono lasciato fregare e ne ho acquistato un cartone… in Franciacorta avrei ottenuto a pari investimento un bottino molto più scarso!

d.c.

Barbera d’Alba doc: Lablù 2012, Damilano; Trevigne 2014, Domenico Clerico.

Il sabato la Barbera d’Alba di Damilano: facile, fruttata, piacevolmente succosa, ma con una acidità che sorregge costantemente la beva. Un inno alla convivialità. “Versato” su strabilianti Plin dell’Antico Pastificio De Filippis nel cuore della prima capitale d’Italia.


La domenica la Barbera di Domenico. Impostazione diversissima. Cupa, profonda (anzi profondissima), complessa e concentrata: nata per stordirti e stupirti. Difficile ad occhi chiusi riconoscere il vitigno, che si può solo intuire per la freschezza che traspare dopo che le papille si sono rilassate dalla corposità del fluido. Di persistenza impressionante.



  d.c.

On attend Emmanuel

Vive la France! Vive la France!!! Non troppo, anzi per nulla interessato alle vicende presidenziali transalpine, ho ben pensato di festeggiare il futuro Roi de France nell’unico modo che io conosca.


Champagne. Blanc de Blancs di uno dei Grand Cru a me graditi: Bouzy.  BARON DAUVERGNE. Elegante, cremoso, infinito al palato, il perfetto accompagnamento a qualsiasi cosa.


Ma non contento e seriamente intenzionato ad intonare al meglio la Marsigliese ecco la vera perla della serata:

Chablis, Grand Cru, Vaudésir, 2007, Jean-Paul & Benoit DROIN.


Un colpo di cannone! Scende nel bicchiere con una veste giallo oro, non intensissima, dando attesa di un prodotto perfetto, di incredibile concentrazione ed intensità. Ed all’olfatto di nuovo un colpo di cannone! Se ne percepisce nettamente il tipico (tipico solo nei grandi Chablis) profumo di canna da fucile ovvero di polvere da sparo, ma poi qui dentro c’è tutto! C’è un’intera macedonia di frutta gialla matura, con spruzzate d’agrumi. Ma c’è anche una leggera speziatura di erbe aromatiche. E’ talmente affascinante e perfetto che non riesci ad allontanare il naso dal bicchiere, e l’ossigenazione del liquido ora esalta alcuni profumi, ora altri, mantenendo un equilibrio sempre mirabile. Al palato la rotondità della concentrazione, ammorbidita da una componente di alcool (13,0% vol. inusuale) e polialcolica impressionante, anche qui perfettamente equilibrata da una freschezza che seppur non sferzante regge l’intera tessitura strutturale. 

Allons enfants de la Patrie….

d.c.


Albino Rocca, Barbaresco DOCG 2013.

Mi ha sempre emozionato nonchè suggestionato, fin da giovanotto, quella strada Rabaja che risale il dolce crinale della collina, e soprattutto quella via che si apre a destra: la Strada Giro del Mondo. E ti domandi (e mi domandavo): dove porterà? Da nessuna parte! Sei arrivato! Tutto il mondo è lì! Sei nel (mio) cuore del Barbaresco!

Frequento queste bottiglie da anni, e da anni bevo Albino Rocca (che in realtà è qualche decina di metri prima del Giro): è con queste bottiglie che ho compreso la mia incurabile nebbiolodipendenza.

E di conseguenza, anche questa volta, vale il silenzio…

d.c.