Il bandito 2015. Riesling renano, F.lli Giorgi

Nette sensazioni agrumate, forse anche di bergamotto, e persino candite; poi affiora un profumo verde, vegetale, ed una suadentissima albicocca matura, se non leggermente disidratata. La nota di mineralità qui è “pietrosa”. L’intensità è sussurrata, ma di grande fascino. Tutta quella maturità che si percepiva all’olfatto sparisce in bocca: qui una acidità corrosiva lascia nel cavo orale la percezione di grande freschezza che progressivamente sfuma su note minerali-gessose. Di apprezzabile persistenza.

d.c.

Cutizzi 2016. Feudi di San Gregorio

Il colore è giallo dorato; i profumi, inebrianti, di frutta matura: affiora l’aroma di una pera già dolce, della susina gialla e poi di un’erba aromatica, forse una mentuccia. Ma in bocca è inscalfibile. Tutto d’improvviso si ribalza ad una struttura granitica costruita su una acidità mai calante, ed alla tipica mineralità del Greco irpino. Rimane poi persistente in bocca e negli occhi, abbinato ad uno straordinario tagliolino alla polpa di gamberi rossi con vista sul porto di una luminosa Ponza.

d.c.

Franciacorta, I love you. Castelveder 2011

Mammamia che buono! Ogni elemento in valutazione vede la sua lancetta puntare i punteggi alti: visivamente di eleganza francese; profumi decisi, di assoluta eleganza, di notevole intensità, persino croccanti tra frutta gialla in maturazione ed una gradevolissima nocciolina. Poi in bocca appare imperioso: tagliente, preciso, sempre composto, con una non comune mineralità, che diventa l’elemento caratteristico assoluto dell’intera degustazione. Stupendo.

d.c.

Il vino di Alessandro

Lo so che è una suggestione. Ma molto spesso, per capire a pieno un vino, è necessario conoscere il viticoltore; conoscerne i tratti, la fisicità, il carattere: perché li ritroverai, filtrati dalla tua suggestione, nel bicchiere. Ho avuto la fortuna di incontrare qualche anno fa, ben prima del 2011, l’Alessandro a cui appartiene questo vino: uomo schivo, riservato, con un sorriso timido che sembrava implorare il distacco, e quell’umiltà di non voler riconoscere il proprio immenso talento…Così il vino! Nonostante i sette anni dalla vendemmia ha un aspetto estremamente giovanile: un bel rosso porpora, profumi di frutta rossa croccante, inizialmente solo sussurrati e poi persino invasivi. In bocca è duro, fresco, con un tannino ancora poco ammorbidito. Ma poi la frutta si scioglie, si fonde arrotondandosi, come un sorriso che ti concede una confidenza. Una confidenza che ti riempie come una persistenza, infinita.

d.c.

Non chiamatelo Prosecco… chiamatelo Cartizze!

I miei tre amici ed oramai anche i nostri quattro lettori sanno che non amo i Prosecco ( dei cui produttori però ammiro il virtuoso modello agricolo-industriale). Ma c’è una collina, una piccola isola nello sterminato mare di Glera nelle valli del Valdobbiadene, che produce un frutto diverso, dove il vino è distintamente differente: questa è Cartizze! Ed in Cartizze c’è un solo agricoltore che ha solo vigneti sulla collina: questo è Marsuret! Bevo Marsuret da 20 anni e bevo solo lui…

Si presenta nel bicchiere di colore giallo scarico e spumoso, ma risulta intenibile all’olfatto per la fresca ed esuberante intensità. È gioviale, e non può non piacere nella sua semplicità ed immediatezza: percepisci nettamente le fragranze di una pera William e diffusa è la sensazione di camomilla. L’elevata componente zuccherina dichiarata non è mai invasiva ed il notevole equilibrio richiama un nuovo sorso. In bocca la frutta aumenta il gradiente di maturità, come una macedonia a polpa bianca leggermente macerata che accompagna il ricordo.

Un sentito ringraziamento a Bobo, provvidenziale corriere di felicità.

d.c.

Monumentale

Sapevo di averle cacciate da qualche parte; sapevo di averne ancora tre. E così, sotto una impolverata catasta di bottiglie, ammucchiata chissà quanto tempo fa, sono comparsi i tre “Cabochon” Rosé 2001. Signori… 2001! I dubbi di trovare il vino integro sono crescenti. Lo sconforto nella rottura del tappo oramai incollato alle vitree pareti. Il colore nel bicchiere è ben oltre la buccia di cipolla, ma oramai decisamente aranciato. Al naso tenui elementi terziari: tra una mora di gelso ed una prugna disidratata affiora netto un bastoncino di liquirizia. Il vino è perfetto, ed evolve di minuto in minuto. In bocca è gentile, leggero, equilibrato: è tutto in punta di fioretto, è tutto molto elegante, direi femminile. Ritornano aromi di fiori appassiti e dolce fragolina di bosco. Un monumento.

d.c.

Petite patisserie

Costruito su un equilibrio mirabile, tutto dosato senza eccessi: profumi intensi e di eleganza sussurrata come gioielli di piccola pasticceria; la frutta matura e leggermente dolce lascia poi il passo ad una golosa crema a pasta gialla. In bocca non c’è bisogno di mostrare i muscoli: è tutto così talmente suadente che ci si lascia abbandonare ed affascinare dalla misura degli elementi, sempre perfettamente calibrati, tanto da non accorgersi che, come niente fosse, le nostre papille passano da una nota di sapidità certa ad una chiusura che sembra persino dolce, che rimane lì in amovibile persistenza, quasi a ricordo dell’antica tradizione champenoise.

d.c.

Giona 2011. Salina Bianco igt

C’è il sole sull’etichetta, ma c’è tutto il sole del Paradiso delle Eolie nel bicchiere. Ero convinto di essere arrivato tardi. Ero convinto di trovare un vino oramai spento, ed invece… Ha perso la primavera fiorita delle prime bottiglie, ma si è trasformato e racconta tutto il calore dell’estate: il colore è oro; i profumi sono fusioni di frutti maturi e succosi, pesca, melone cantalupo, fichi d’india. Tipico assemblaggio di Inzolia e Cataratto. In bocca la struttura tiene, acidità e calore si avvicendano con alternanza. Solo l’uscita leggermente amarognola di mandorla tostata ci racconta che siamo arrivati appena in tempo…

d.c.

Lugana Riserva Borghetta 2014. Avanzi.

Della citata barrique di fermentazione ed affinamento non se ne scorgono i tratti mentre cerchi di identificare i singoli elementi aromatici fusi in una complessità ancora in evoluzione. Affiora una polpa gialla di frutto maturo, un fiore estivo, note medicinali ma già al naso è nettamente percepibile il calore alcolico, che qui assume caratteristiche “solari”. In bocca poi è morbido, grasso, riempie ed appaga. L’alcool sovrasta la struttura acida, chissà se il vino sarà in grado di evolvere ancora nel tempo?

d.c.

Timorasso Archetipo 2014. Ezio Poggio.

Mai mi ero inoltrato, in vita mia, nelle “Terre di Libarna”, recente sottozona della più ampia denominazione dei Colli Tortonesi. Ed, a quanto pare, ho incontrato una celebrità della zona, la cantina Poggio, nell’espressione del vino più caratterizzante l’intera denominazione, il Timorasso. Decisamente verde nel bicchiere, trasferisce il suo colore anche ai profumi: siamo nel pieno di uno sfalcio di erbe di campo. Solo dopo alcuni giri di areazione affiora un piacevole agrume, direi senz’altro un pompelmo rosa. Nel cavo orale è l’acidità a farla da padrona, tanto strutturata da soverchiare la nota alcolica, quest’ultima forse affiorante solo nella morbidezza di un’uscita lunghissima e citrina.

d.c.