Perché vincerà la Francia.

Se la Francia vincerà i mondiali di calcio proprio non lo so. Non so se le giovani gazzelle transalpine insaccheranno molti palloni nella rete avversaria. Non lo so, e forse non mi interessa neanche. Antipatici? Egocentrici? Egoisti? Ma per forza! Sono tra gli ultimi tenutari del segreto di Bacco… la loro vicinanza al divino li rende superiori… E per cui non so se vinceranno la partita di calcio, ma tutte le altre (quelle che mi interessano) le hanno già vinte!

Calcio di inizio. Io e l’Editore ci concentriamo su un campione da Ambonnay a predominanza di Pinot Noir: J.Pérard, Cuvée de Réserve. Grand Cru ad un prezzo da locale Franciacorta. Impressiona per la finezza e nitidezza espressiva, tutta giocata su profumi e note di agrume e frutta gialla. Semplice, scorrevole… finito!

Secondo tempo. Ci spostiamo di qualche chilometro, pur rimanendo all’interno delle aree designate Gran Cru: siamo a Bouzy. Jenne Vesselle, Brut Prestige, R.M. Sempre quota prevalente di Pinot Noir su Chardonnay.

Rigore! È assolutamente stupefacente! Alla vista già giallo-oro, profumi di vibrante capacità emozionale: l’agrume succoso è miscelato con incredibili note gessose e minerali che arrivano fino ad una sensazione di canna da fucile. È impensabile la profondità in cui ci perdiamo, veramente senza fine… L’acidità affilata come un bisturi non permette mai di far affiorare un generoso grado zuccherino che ammorbidisce ed aiuta la percezione di piccoli frutti rossi a diventare persistenza.

Francia-Resto del mondo 2-0.

d.c.

Primo tempo.

Secondo tempo.

CCXLIII

Karmis 2016. Contini. Igt Tharros.

Porta con se il colore della sabbia dorata del Tirso e del sole antico di Sardegna. Porta con se delicati profumi di frutta matura e decise impronte aromatiche, tanto caratterizzanti da riuscire a svelare il segreto dell’etichetta celante i vitigni autoctoni nella quota preponderante di Vernaccia locale. È uno straordinario profumo femminile, caldo, che solo nel suo sfumare fa affiorare una lontana nota di vaniglia, segno di un passaggio almeno parziale in nobili legni nuovi. È rotondo in bocca, avvolgente, sicuramente molto secco ma più appoggiato alle morbidezze dell’alcol. Ha l’intensità dell’onda di mare che si scarica sulla spiaggia e la persistenza del suo ritiro.

d.c.

CCXLII

Lèant 2017. Ronco Calino. Curtefranca.

Strano, complesso, difficile (difficilissimo) da capire pur nella sua sola apparente semplicità. È un vino antico, forse proprio come lo bevevano i nostri nonni, ed al contempo modernissimo. Alla vista verdognolo, segno di una ancora adolescente gioventù. Olfatto che ti genera confusione: c’è sì una base di mela verde, ma affiorano, anche nettamente, profumi da vitigno semiaromatico come erbe aromatiche, sfalciate alpestri, camomilla, profumi di orto. Se non fosse stato accanto a me l’enologo, giurante, non avrei mai creduto in uno Chardonnay in purezza. Poi in bocca un nuovo cambio di registro: entra scorrevole nel cavo orale, ma affiora immediatamente un velo di carbonica, qui piacevolissima che attenua in maniera opportuna la nota dolce del frutto, affermante certamente uno Chardonnay forse dal carattere “montano”. Questa residuale frizzantezza, proprio minimale, rappresenta la chiave di volta su cui si costruisce l’intera struttura, voluta e ricercata per il consumo quotidiano.

Prende il nome dalla collina del “Levante”, in cui è inserito l’intero vigneto. Ma non è sbagliato l’accento posto sulla “e”? Nel caso… tranquilli! Sarebbe l’unica cosa fuori posto…

d.c.

CCXLI

L’epoca dei Rosé

Non vi è alcun dubbio che la politica commerciale perseguita dalle aziende del vino sta portando i suoi frutti: non ho mai bevuto così tanti Rosé come nell’ultimo periodo. Numerosi e così tanto diversi. Se poi vogliamo anche considerare che “in famiglia” il nostro Editore continua a fare la staffetta tra qui ed il Salento ( capitale dei vini a breve macerazione), ci si aspetta un’estate decisamente rosata.

Anche il vino sotto ritratto l’ha scoperto lui! Arriva dalle nostre parti, dalle meravigliose sponde del Benaco bresciano.

Nuit Rosé, Vedrine, vino spumante M.C., millesimo 2015, sboccatura aprile 2017. I vitigni produttivi non è dato saperli (ahimè neanche sul sito internet, ancora troppo incompleto): ipotizzo Groppello e forse una quota di Marzemino.

Il Rosa del bicchiere è imperioso, di una bellezza brillante. Profumi molto delicati, per nulla intensi, da cui affiora l’impronta del Groppello (forse…). In bocca è bellissimo: perfettamente equilibrato tra una acidità incisiva ed una morbidezza regalata da una evidente componente glicerica e dal ritorno della frutta rossa. La giusta componente alcolica non lo rende mai pesante. Si abbandona poi lentamente su note decisamente sapide. Produzione? Mi dicono di poco superiore alle 1.000 bottiglie… ma come farà l’Editore a scovarli tutti lui?

d.c.

CCXL

Chi ha paura dei Talebani?

Se passeggi per Piacenza in via 20 settembre, a due passi dal Duomo, lì sulla sinistra c’è un piccolo bar, tutto in stile belle epoque. Non ne conosco neanche il nome, per me, da sempre, sono ” i Talebani”. Quale che ne sia l’origine di tale attribuzione non lo so, ma al suo interno troverete una vasta e particolare scelta di Champagne: tutti piccoli produttori, assolutamente sconosciuti, commercialmente introvabili, sempre interessanti, molto spesso da sballo.

Ieri sera ero (quasi) casualmente lì! E per cui: Blanc de Blanc (originale l’indicazione Brut de Chardonnay…) Nature Premier Cru ( dalle vicinanze della zona di Montagne de Reims dove però si allevano i più importanti Pinot Noir da Champagne del mondo…) R.M. Hervieux-Dumez: sono pronto ad offrire una bottiglia a chi già lo conosca!

È tutto molto delicato, tutto sussurrato: cerca di imporsi per finezza, non avendo nulla di aggressivo. I profumi sono semplici, una macedonia di frutta gialla fra cui spunta nettamente distinguibile una “mirabelle” ancora non completamente matura. L’acidità è calibrata sui tenui tenori dell’alcool. In bocca ahimè spunta una sensazione di latticino, che devia poi su toni amarognoli. Potevamo essere più fortunati…

d.c.

CCXXXIX

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Siamo insaziabili cacciatori di emozioni. Tutta la nostra vita è concentrata, e troppo spesso delusa, a scovare attimi di felicità, che costruiamo con piccoli mattoncini emozionali. Cerchiamo emozioni in tutto, e quelli come noi, un po’ squilibrati, le cercano anche nel vino, straordinaria fonte di percezioni.

È così è successo ieri. Ero in gironzola con l’Editore, come oramai troppo poco spesso accade, approdati ai lidi di una Cantina “amica”, e tra tanti bicchieri, chiacchiere, bollicine e qualche sciocchezza ecco, all’improvviso, la scossa… il knockout che ti manda all’angolo.

Eravamo in Franciacorta, ospiti di Ronco Calino, cantina della quale non finiremo mai di parlarne bene, per l’instancabile ricerca della qualità rintracciabile in tutti i loro prodotti.

Arriva il “Classico”, poi il Nature e poi… boom! Un Rosè che toglie il fiato. Non amo i Rosè di Franciacorta, ma questo vino non è… di Franciacorta! Scende nel calice che sembra un “Saignée”. L’anidride carbonica spinge spinge spinge… guardate come le bollicine cercano di uscire anche dalla fotografia. Avvicini il naso al bevante e… boom! Il primo cazzotto. È un cestino di piccoli frutti rossi, poi affiora un arancia succosa, forse proprio un sanguinello, ed infine ancora una mora fusa ad aromi speziati… no…no… mi stanno ingannando! C’est ne pas possible!

Mi giro verso l’Editore, che è già in godimento. Devo berlo. Piano. La mia pelle già svela il segreto del mio silenzio. Boom! È una lama a doppio taglio: scende fendente, ritorna rotonda, ammorbidita da un frutto di bosco maturo. È secchissimo. I sorsi si richiamano. Il bicchiere non riesce a rimanere colmo. La persistenza è senza soluzione di continuità, imponente.

Un altro bicchiere, ti prego… un altro.

Pinot nero in purezza. Millesimo non dichiarato 2013. L’unica etichetta della produzione a cui hanno dato un nome: lo sanno anche in Cantina che questo vino oltre ad avere un corpo ha anche un’anima.

Degli altri vini, in particolare del fantastico Brut 2010, parleremo un’altra volta, se vorrete.

d.c.

CCXXXVII

Il degustatore Alfa

Tra gli animali sociali, ed in particolare tra i bevitori di vino, alfa, il degustatore alfa, designa l’individuo che in una comunità occupa il rango sociale più alto. In tal modo lo si distingue facilmente all’interno di un gruppo da esemplari che invece ricoprono un ruolo. In molte specie gli animali appartenenti allo stesso gruppo esibiscono compiacenza e atteggiamenti di sottomissione e rispetto: generalmente è colui che ha accesso prioritario ed a volte esclusivo alla carta dei vini ed al conferimento con il cantiniere, quest’ultimo spesso reo di non riconoscere in alfa, nel nostro degustatore alfa, l’indiscutibile superiorità.

Chi di voi, che siate dei perduti avvinazzati piuttosto che dei metafisici stillatori delle lacrime di Bacco, non si è sentito almeno una volta nella sua vita un degustatore alfa scagli la prima pietra!

Beh… a me succede sinceramente molto spesso, almeno una volta a settimana. L’ultima volta pochi giorni fa in un muscoloso scontro cavalleresco contro un tracotante cantiniere (ristoratore di un noto locale di Brescia) che si è permesso di consigliare e definire come “gasosino” un Grand Cru di Cramant prodotto da un R.M. Ma com’è possibile che un individuo si permetta di arrivare a tanto? Ed allora (in un petto contro petto furioso ) cosa dire del mio amato Pinot Mugnaio? Chissà cosa affermerà questo losco individuo? Il losco, tracotante ma non stupido e soprattutto conscio che il degustatore alfa era prontamente cascato nella sua rete, si è subito prodigato in consigli di abbinamento rassicurando alfa sulla superiorità della scelta effettuata, cercando di fugare i dubbi su una eccessiva “rusticità” del prodotto, presentandolo con un servizio impeccabile degno di una bottiglia da milionari…

Mandarino al naso e soprattutto in bocca con punte di maturità dolciastre. Equilibrato nel suo complesso, ma abbastanza piatto, fresco ma senza percezioni minerali o gessose e quindi incapace di dimostrare di essere un prodotto voluto dagli Dei.

Degustatore alfa?……… pprrrrrrrrrr………

d.c. (già degustatore alfa)

CCXXXVI

Trattoria San Lorenzo

Sangue di Giove… dove sei? Sono a Firenze in piazza San Lorenzo presso l’omonima trattoria, di fronte ad un fumante piatto di pappardelle al cinghiale. Ma tu dove sei? È vero che l’uva “francisca” fu proprio introdotta nella zona del Carmignano fin dai tempi medicei, ma fare fatica a trovarti è cosa assai ardua. In realtà il Sangiovese affiora ma solo al palato: l’olfatto viene impresso da eleganti toni verdi donati dai vitigni cosiddetti “migliorativi” e su tutti un Cabernet peperoneggiante. Come detto solo in bocca è percepibile lo scontroso e tanto amato “padre degli dei” che impone freschezza ed un tono scorbutico che aiuta l’evaporazione rapida della bottiglia. Il tutto per permettere alla notte di Firenze di rendere la città ancora più ammaliante.

d.c.

Monterossa P.r. Brut.

È vero. È proprio vero: fino a qualche giorno fa avrei intitolato il nuovo ricordo “Franciacorta, I love you”, perché questo Blanc de Blanc lo merita sicuramente… ma ogni tanto bisogna cambiare e ricercare nuove vie… in attesa di trovare nuove ispirazioni creative per il titolo della rubrica, accontentatevi della sobria “normalità”.

È bello, intenso, croccante. In ogni sua caratteristica appare come se volesse necessariamente piacere. Finezza visiva transalpina. Profumi di frutta gialla e di frutta secca la cui leggera tostatura si lega perfettamente ad aromi di pasticceria e di forno dolce. In bocca sa essere dalla vibrante tensione, detergente… quasi rassicurante. Affiora la profondità della importante quota dei vini di riserva che donano al vino le caratteristiche di unicum all’interno del panorama franciacortino, abituato a vini più rapidi, che non inducono, normalmente, alla riflessione…Franciacorta, I love you xxx…

d.c.