Il nebbiolo di Gattinara. La versione di d.c.

Come è bello il nebbiolo di Gattinara, e tra tutti il nebbiolo di Travaglini. Si, perché il bicchiere di Gattinara di Travaglini ti riempie e ti lascia con una stupenda percezione di bellezza. Può essere bello un vino? Credo fortemente che la percezione dell’assoluto (quand’anche relativo) sia una percezione estetica. La bottiglia avrebbe meritato di attendere qualche lustro prima di essere stappata, ma la bellezza ha una pienezza nell’età infantile, in quella adulta e finanche in quella della maturità. Il colore è un rubino tra la trasparenza e la brillantezza; i profumi sanno di mora, prugna, un po’ di mirtillo appena raccolto, poi incredibilmente di tabacco, poi un passaggio rapido di un oggetto di cuoio. E tu rimani lì come uno stupido con il naso nel bicchiere ad ascoltare ciò che immediatamente lo stesso ti suggerirà ancora. In bocca entra finissimo, con un’eleganza femminile divina: la freschezza è misurata ma tagliente; ma è lo stato del tannino che impressiona e commuove: è un velo di seta che avvolge il cavo orale e lo sazia. E di tutto ti rimane, per interi minuti, un cacao in polvere mai amaro.

Perché la versione di d.c.? Perché questo come altri due vini sono stati stappati alla presenza degustante del nostro R.R. È evidente che ne attendiamo la “versione” (di questo miracolo e degli altri…).

d.c.

CCLXXX

Apres déjeuner sur…

Ha l’incredibile intensità di colore di un tramonto d’agosto: gli occhi non riescono a staccarsi dal bicchiere brillante che irradia la tavola. E L”Oeil de perdrix” che ha riposato almeno due lustri nella mia cantina ha voglia di stupire ed urlare tutta la sua forza: l’intensità della luce è intensità dei profumi che nascono da una spremuta d’agrumi, ma che con stupefacente repentinità si complicano come in un mercato di spezie d’Oriente (suggestionandomi fino a percepire la curcuma…) per poi ritornare alle origini di un piccolo frutto rosso immaturo. Praticamente un percorso inverso. Sorprendentemente fresco al palato, non lascia mai trasparire la sua età e si lascia abbandonare con una lunga scia di intensa sapidità. Immenso e irripetibile.

Vincent Dauvergne Grand Cru di Bouzy.

d.c.

CCLXXVIII

Polenta, lomaghe e…

Dell’autunno amo i colori, il clima e quella insanabile voglia di “ciccia” che distrugge senza remore la malata tensione alla “prova costume” estiva… E per cui allontaniamo i freni inibitori ed abbandoniamoci ai grassi (saturi o insaturi… qualunque cosa essi siano).

Ma ditemi: come fate a resistere ad un croccante spiedo bresciano o meglio ancora ad una calda polenta conciata con strachitunt, bieta e morbidissime lumache? Come resistere? E come resistere a non abbinarvi un vino che amo particolarmente per la sua semplicità ed al contempo profondità? Un vino intriso di sapienza contadina e di tradizioni pur nella sua “correttezza” enologica. Non lo tratterò qui; già spesi le mie note d’analisi in un oramai lontano passato. Qui solo il ricordo del suo nuovo passaggio nella mia vita e l’invito a tutti a non resistere, mai!

d.c.

CCLXXVII

Ancora Loira: ecco il Pouilly-fume – Chateau de Tracy

Ripartiamo da Sancerre e attraversiamo la Loira, siamo nella campagna di Pouilly-sur-Loire circondati da vigneti adagiati su lunghi e dolci pendii.
Il sauvignon di questa zona è famoso in tutto il mondo come Pouilly-Fumé, amato per il suo sentore di “pietra focaia”.

Prima tappa Domaine du Château de Tracy. Il castello, restaurato negli anni ’50 dello scorso secolo dalla nobile famiglia che tutt’ora lo abita e che ha dato inizio all’attuale produzione vitivinicola, domina le colline del borgo che porta il suo nome.
Ci accoglie la figlia del proprietario e socia della cantina che ci accompagna in un tour nelle viti. Siamo sul terreno del Silex e veniamo invitati a sfregare tra loro due pietre: si esala un sentore misto di pietra focaia, polvere da sparo e zolfo, da qui i sentori di fumé che percepiremo nel bicchiere.
La produzione è completamente consacrata al sauvignon da cui 4 Pouilly-Fumé di elevato standing: Mademoiselle de T, Château de Tracy, Haute Densité e 101 Rangs.
Iniziamo quindi con la degustazione del Château de Tracy che proviene da terreni calcarei e in parte silicei poi assemblati.
Giallo pallido nel bicchiere con riflessi verdognoli, al naso risulta intenso, fresco e ben definito. Note floreali, sambuco, poi frutta esotica e pompelmo. In bocca è cremoso, minerale, chiude con note agrumate, di buona persistenza. Perfetto per due ostriche.
Proseguiamo in crescendo con l’Haute Densité, dai migliori terreni calcarei del domaine, coltivato a circa 17000 piedi per ettaro (la media della zona è circa 7000).
Tale “alta densità” stressa la vite rendendola più robusta e spingendola a ricercare nutrienti in profondità amplificando così l’effetto del terroir.
Ogni barbatella rende un solo bicchiere di elevatissima concentrazione e complessità: una limitata produzione che, per il millesimo 2013 è pari a 3200 bottiglie.
Giallo paglierino intenso, al naso grande complessità: fiori d’acacia, ananas, pera e liquerizia. In bocca è pieno e intenso anche se la vaniglia derivante dal legno -ancora troppo esuberante – la fa da padrona. Occorrerà riprovarne una bottiglia fra una decina di anni per apprezzarne equilibrio ed evoluzione.
Concludiamo in nostro percorso con il vino di punta della maison Les 101 Rangs.
Dal vitigno più antico del castello, anche qui produzione limitatissima.
Il 50% del vino viene affinato in barriques per 9 mesi, mentre la restante metà in vasche d’acciaio soggette a rimescolamento.
Una volta assemblato si presenta dorato pallido nel bicchiere in cui occhieggiano riflessi rosa. Al naso è potente, verticale. Spicca forte la mineralità su note di arancio maturo, poi fiori di sambuco e mughetto. In bocca è intenso, profondo di grande freschezza con un finale di note dolci, mandorle tostate. Un grande vino di infinita persistenza. Pronto alla beva rispetto all’Haute Densité anche se, sicuramente, di pari potenzialità di invecchiamento.
Gran bella cantina, vini importanti, emozionanti.

Ma è ora di ripartire, alla scoperta di altre eccellenze del Blanc Fumé

…… segue.

R.R.

C’est la Loire e sua maestà «Le Sauvignon Blanc»

Vagabondare per la Francia alla scoperta dei sui favolosi vini è sempre emozionante. Se poi il fatto è di essere accolti dai leggendari “Domaine” della Loira immersi in incantevoli paesaggi ricchi di colline, castelli e vigneti, l’esperienza è da pelle d’oca. L’opportunità ci è data da una spedizione AIS Emilia, capitanata da Giovanni Derba, alla scoperta del Sauvignon Blanc. In questa zona dell’ampio panorama di produzione della Valle della Loira (che da Nantes passando per Orléans, seguendo il corso del fiume, arriva fino all’Oceano Atlantico) sapienti vigneron dediti al biologico e al biodinamico (di cui spesso non perseguono la certificazione), hanno saputo esaltare le doti di questo vitigno rendendo famosi i loro vini tra le cui eccellenze si annoverano alcuni tra i bianchi top al mondo.Siamo tra Sancerre e Pouilly-sur-Loire site ai lati opposti del letto della Loira. Il clima freddo fa maturare lentamente le uve favorendo il mantenimento dell’acidità e l’integrità dei profumi. Il sottosuolo è contraddistinto da diverse tipologie di terroir: marna “kimmeridiana”, argilla focaia e pietra calcarea (le cosiddette “caillottes”) i cui frutti, vinificati separatamente o sapientemente assemblati, esprimono nel bicchiere sentori di mineralità, pietra focaia, elegante sapidità e potenza oltre a una eccellente propensione all’invecchiamento.
Partiamo da Sancerre, dal cui belvedere si gode di una vista romantica e mozzafiato della valle della Loira, le viti sono poste in zona collinare sui 200/300 metri di altitudine e si estendono per circa 3000 ettari intorno alla cittadina. Della AOC Sancerre abbiamo avuto modo di assaggiare e visitare diversi produttori tra châteaux e cantine scavate nella roccia: Domaine de La Perriere, Chateau di Sancerre, Joseph Mellot e il petit vigneron (si fa per dire – 17 ettari di proprietà) Daniel Chotard che ci ha piacevolmente colpito.Una curiosità, la poca produzione di rosso – principalmente vocata al pinot noir – ci viene fatta degustare per prima! La motivazione dataci è legata all’autorità varietale e alla persistenza del sauvignon il quale coprirebbe, se bevuto prima, il pinot noir che comunque ci ha riservato alcune sorprese (…certo non ci troviamo di fronte alle maestosità della Bourgogne).
Ma è giunta l’ora di un bicchiere, ci troviamo a la Cave Henry Bougeois la cui famiglia detiene un mosaico di terreni tra Sancerre e Pouilly per un totale di circa 80 ettari. Cantina moderna, all’avanguardia: siamo in piena vendemmia e ci stupisce che la raccolta, per le sole uve bianche che vengono comunque istantaneamente lavorate, avvenga totalmente a macchina. Altra particolarità che ci lascia un po’ scettici, l’imbottigliamento avviene al momento della richiesta di fornitura da parte dei distributori internazionali (parliamo ovviamente di grossi quantitativi).Passando alla degustazione però le perplessità svaniscono. Dell’ampia produzione assaggiamo una decina di vini, senza nulla togliere al “Sanserre d’Antan” punta di diamante della maison, mi ha piacevolmente stupito il “La Bourgeoise” annata 2015. Proveniente da storici vitigni, vinificato parte in acciaio e per la restante in botte di quercia, “La Bourgeoise” si presenta oro pallido dai riflessi argentati, al naso è fresco con sentori di meringa agrumata, una lieve pietra focaia, spezie e frutta matura. Il gusto è pieno, armonioso, ricco di aromi profondi e variegati di bella concentrazione. Sorso di grande freschezza, con finale elegante e lunga persistenza. Davvero un bel Sancerre, da far invecchiare per una decina di anni.E’ stato piacevole (per quanto didattico) durante la degustazione paragonare la produzione locale con il “Clos Henri” da vigneto di proprietà di famiglia da agricoltura biologica a Marlborough in Nuova Zelanda: qui prevalgono le note fruttate e agrumate e una mousse di pompelmo, ben diverse dalle caratteristiche del Sancerre.Ma è giunta l’ora di andare verso Pouilly e il suo Blanc Fumè…… segue

R.R.

Quanto tempo senza vini dolci.

C’era un tempo in cui ci beavamo a degustare vini botrizzati o passiti, ed ad inventare abbinamenti avventurosi o audaci. Non c’era cena importante che non finisse con una “chicca” che attentasse a pancia e trigliceridi… Ma poi, quasi improvvisamente, ce ne siamo dimenticati, lasciando decine di bottiglie ad invecchiare ed evolvere nelle nostre cantine. E così, ogni tanto, ne affiora la voglia riportando a tavola bottiglie necessariamente agée.

Tredici anni per avere nel bicchiere un succo d’oro con un aroma di albicocca disidratata (a cui non eravamo più abituati) coniugato con sentori di marmellata di agrumi, miele d’acacia ed, ahimè, anche qualche traccia di zafferano, che un po’ indebolisce la poesia struggente. In bocca invece si compie la solita magia dei grandi vini di Sauternes, quando calore alcolico e dolcezza, necessariamente esuberanti, vengono attutiti dalla granitica durezza della componente acida. Poi persistenza caramellata.

d.c.

CCLXXII

A nozze con l’Editore

Si racconta che l’Editore al ritorno dal matrimonio principesco inglese di Meghan ed Henry (non è dato a sapersi se ospite ufficiale o imbucato… ma ciò non rileva) si sia portato via qualche bottiglia del vino offerto al ricevimento e… noi quelle bottiglie ce le siamo bevute! Mi aspettavo che questi spilorci di Principi e Duchesse almeno al loro matrimonio imbastissero tavolate di Riserve e Cru, ed invece un umilissimo A.O.C. Bourgogne…Radin…

Il vino però che ho bevuto è un grandissimo vino, in perfetto stile borgognone. Forse servito all’inizio troppo freddo, si è poi scatenato scaldandosi. Nel bicchiere si mostra giallo, non troppo carico. I profumi, nel momento di acme sensoriale, sono una lunghissima sequela di percezioni: la frutta gialla è intrisa di spezie dolci d’oriente, anice stellato, radici e dragoncello. E per fotografarli bisogna appuntarseli perché loro continuano a cambiare con toni di rara raffinatezza. In bocca il succo è rotondo, dona una magica sensazione di oro.. ma l’oro non ha gusto! Sei accarezzato dalla morbidezza e la tua lingua “suda” per l’acidità, ed invoca un altro bicchiere… Ces sales Victoriens!

d.c.

CCLXXI

Vite da winesnob (vip)

Chi sia l’Editore nessuno lo sa! A differenza dei critici delle guide enogastronomiche che girano incappucciati per non farsi riconoscere, Lui appare ovunque si mangi e soprattutto si beva (pare che il miracolo dell’ubiquità gli sia già stato riconosciuto da tempo). Ma di Lui nessuno conosce la vera identità (…probabilmente neanche il codice fiscale!). Non c’è bottiglia al mondo che Lui non abbia già bevuto; non c’è vignaiolo al mondo che non gli abbia offerto la Riserva più personale della cantina. Lui è l’Editore, e basta! Anzi Lui è l’Editoreebasta, perché nonostante conosca tutti nel mondo del vino, nonostante legga tutto ciò che si scrive sul vino, nonostante ascolti tutti coloro che raccontano il vino, bravi ed incapaci, e nonostante degusti (e beva) ogni anno qualcosa come 3.000 diversi assaggi, Lui non scriverà mai una parola!… perché a Lui basta esserci. E se sarà lì con voi, sarà solo perché Lui vuole vivere la percezione: vuole percepire parole, suoni, rumori, vibrazioni, profumi, sensazioni…perché l’Editore è un goloso di vita…

Ma l’Editore ce l’abbiamo solo noi di W.T.B. Gli altri si devono accontentare solo della sua presenza, perché Lui ci sarà!

d.c.

Ritorno a nord

Dopo qualche bottiglia proveniente dai limiti meridionali della Champagne, avevamo bisogno di ritornare alla “tradizione”: è così ci siamo affidati ad un assemblaggio dalle Montagne di Reims. Villedommange è a pochi minuti da Vrigny, capitale mondiale del Pinot Menieur (forse ricorderete il nostro amore per Les Vignes de Vrigny di Egly-Ouriet). Qui però il “Mugnaio” è solo in quota, accompagnato dai classici Chardonnay e Pinot Noir, per un risultato un po’ fiacco… Arriva subito il profumo di mandarino e poi l’attesa crosta di pane, ma poi nulla più. Anche in bocca, pur di fronte ad un indubbio equilibrio della struttura, tutto appare sottotono ed un po’ troppo scorrevole. Di certo la sorpresa alla notizia de prezzo: in Italia a 21 Eur! Ho visto bottiglie di Prosecco a 15…

d.c.

CCLXIX

Trifola!

Me lo sento! Quest’ autunno faccio il record di trifola: fine settembre ed il Bianco è già arrivato. E cosa ho abbinato ai primi tagliolini e uovo al tartufo? Il primo grande rosso è una sconosciuta ma interessantissima Barbera del Monferrato. Vivace olfatto che sa di violetta, prugna ed una leggera speziatura, ma il tutto con note che sanno di gioventù. Succoso in bocca, rotondo, leggermente più maturo: freschezza e frutto dolce coabitano il palato, il mirtillo evolve in susina matura per poi lasciare una sensazione di miceto. Giusta persistenza che contribuisce alla leggerezza di bevuta, nonostante un alcool da stordimento.

d.c.

CCLXVIII