Raccolgo prove: quanto sa invecchiare un Franciacorta?

Cuvèe non dosata s.a. Sboccatura 2014. Nessuna nota ossidativa, ma un bel frutto maturo che riempie la bocca; poi improvvisamente un piacevole principio di speziatura abbastanza anomala tra i vini della zona. Conservata ottima acidità. Comincio a convincermi (ma sono ancora solo all’inizio…) che anche qui i vini sappiano maturare dopo la sboccatura. Continuiamo ad indagare: avanti un altro!

d.c.

Brunello Villa Poggio Salvi 2008.

L’ultimo Sangiovese mi aveva mandato un po’ in depressione… per fortuna questo mi ha un po’ rinfrancato con il mondo. Due lustri ma una struttura solidissima: bel colore rubino intenso che non lascia traccia ad ulteriori variazioni cromatiche. Grande intensità di frutto al naso, ma solo dopo aver lasciato l’ overture alle note di un mazzetto di viole. Poi affiora la prugna, anche un po’ disidratata, la mora e sfuma su sensazioni di fungo e cuoio. Bello rotondo in bocca, pieno, edibile pur all’interno di una scatola non scalfibile di freschezza e graffiato da un tannino non completamente smussato. Chiusura su note terziarie di piacevole lunghezza.

d.c.

Troppo sottile per essere ricordato

L’origine di natura prettamente commerciale, probabilmente per vendite da “scaffale”, non lo poteva aiutare a superare i pregiudizi dello scrivente (winesnob). Ma nonostante la “Riserva” ed i tanti anni accumulati, la bottiglia non verrà elevata al… Paradiso dei Ricordi (che è l’unica classifica accreditata alla mia tavola). Alla vista ancora di un vivido rubino giovanile che è riuscito a destare inizialmente numerose speranze. Poi però profumi piatti, monotóni e monotoni, senza alcuna profondità e concedenti solo una sensazione di succo di prugna. In bocca è rimasta solo l’acidità, effettivamente importante, ma il vino appare senza corpo; persino il tannino si è disciolto, lasciando una flebile traccia. Povero Chianti… povero Sangiovese… ma sarà veramente sia l’uno che l’altro? Va beh, non indaghiamo: basti la pena dell’oblio!

d.c.

Black Friday – cari amici – bollicine – “i Talebani” e i Cinesi

Sabato pomeriggio, gironzolo per il centro di Piacenza alla scoperta del Black Friday (ma perchè?) che si confonde nelle vetrine già addobbate per il Natale. Nel mio vagare ho l’inaspettato piacere di incontrare una coppia di carissimi amici e così faccio la conoscenza del loro neonato bimbo.
Quale miglior occasione per un brindisi, bollicina metodo classico ovviamente. E allora, in un lampo, il pensiero della combriccola va al barettino stile belle epoque (così come definito da d.c. in un post dello scorso giugno) nei pressi del Duomo. Conosciuto dai suoi appassionati frequentatori come da “i Talebani” (chissà poi per quale motivo?) qui vengono da sempre serviti per l’aperitivo salumi, formaggi e bocconcini davvero gustosi con ottima selezione di vini al seguito. Di recente agli storici proprietari, i F.lli Repetti (forse “i Talebani”?), è subentrata una gestione made in Cina che, fortunatamente per gli avventori, ha saputo mantenere lo standing e l’atmosfera del locale.
Ci lasciamo pertanto consigliare dalla proprietaria nella scelta tra i vari champagne della collezione Fier ce Fit (FcF), marchio dell’esportatore che ha riunito diversi petit vigneron (per lo più sconosciuti) delle zone più vocate alla produzione di questa eccellenza francese.
Andiamo di Perrot Batteux – brut nature – blanc de blanc (ovviamente mai bevuto). Giallo paglierino con brillanti riflessi verdolini, di fine e copiosa effervescenza. Naso soffice, essenza di agrumi, crosta di pane e poi mandorla. Riempie la bocca la vigorosa bollicina, cremosa, anche se forse un tantino esuberante. Inizio leggermente citrino poi mela e biscotto, il tutto soffuso e ben bilanciato, di facile beva. La persistenza, probabilmente influenzata dai decisi sapori dei salumi abbinati, pur essendo equilibrata ed elegante non risulta essere lunghissima. Pomeriggio che ha riservato una gradita sorpresa oltre a confermare questo locale quale punto di riferimento per i “viandanti”. Grazie agli amici per l’ottima compagnia di cui non dubitavo e congratulazioni per il piccolo. Come sempre in debito, ci vediamo alla prossima sbicchierata….. il Natale è alle porte e come ogni anno pioveranno bollicine.

R.R.

Ritornando a casa…

La curiosità ci ha portato a provare Champagne di “frontiera” esplorando i nuovi confini, ma ogni tanto è bello tornare a casa e ritrovarsi nella tradizione. Siamo a Sud Ovest di Reims: dalla piazza del Comune di Ecueil, le cui vigne sono classificate Premier Cru, si vede agevolmente La Cathédral de Notre-Dame de Reims. Siamo proprio sulle “Montagne”. Affascina fin dalla sua caduta nel bicchiere: giallo intenso, solcato da mille rivoli ed infiniti spilli. Profumi di calibrata intensità che spostano l’attenzione dal cestino di piccoli frutti rossi poco maturi alla tipica mirabelle, ma c’è, come al solito, altro: ci sono le spezie, c’è forse la carruba… In bocca è energia pura, taglia e “scossa” ad ogni sorso, con una uscita sapida quasi “marina”. Bentornato.

d.c.

Con una rosa hai detto…

Chiaretto fuori paradigma inseguito dalle attuali produzioni. Tenue nel colore e silenziosamente suggerito, profuma di petali primaverili, ancora non fiduciosi che il freddo si sia definitivamente congedato: ancora freddo lascia percepire proprio una nota di acqua di rose, per poi prendere coraggio (e calore) e far affiorare piccole fragoline di bosco. Stupefacente equilibrio in bocca, tanto da far pensare non corretta l’entità del volume alcolico oppure la delicatezza che ti accarezza il palato. Gradevole l’amarognolo lasciato da una scia di nobile sapidità.

d.c.

“…Rosa come un romanzo di poca cosa

come la resa che affiora sopra al viso

come l’attesa che sulle labbra pesa

rosa non è la rosa che porto a te…

Vinicio Capossela

Collio che passione – Sturm Merlot 2015

Sarà il piacere di stare in compagnia davanti a un piatto abbinato al buon bicchiere, sarà forse l’ebbrezza del tasso alcolemico, sia come sia non vi è alcun dubbio: il vino è convivialità.
Ne è conseguenza il condividere con amici la passione e l’emozione che una bottiglia ci sa donare (e fin qui….”ça va sans dire” proferirebbe Jacques de La Palisse, anche se non andò proprio così… ma questa è un’altra storia). Veniamo quindi al sodo. Questa volta è stato uno dei miei cognati, non certo nuovo alla scoperta di primizie di egual tenore, a omaggiarmi di una bottiglia di Merlot 2015 dell’Azienda Agricola Sturm di Zegla frazione di Cormons, nel cuore della DOC Collio, terra di grande espressione vitivinicola.
Nel calice il rosso rubino di vigorosa profondità è già un chiaro invito all’assaggio. Avvicinando il naso si viene avvolti dalla varietale eleganza dei frutti rossi. Ciliegia e marasca su tutti a cui segue, in perfetta armonia, lo speziato: pepe bianco e chiodi di garofano dall’affinamento in rovere (mai invasivo). In bocca l’assaggio è potente, profondo. Riempie il palato la morbidezza del frutto, poi liquirizia e note balsamiche.
Invoglia subito al secondo sorso, anche al secondo bicchiere e via seguendo……
Gran bella sorpresa, appassionante interpretazione friulana di questo meraviglioso vitigno internazionale.
Grazie cognato per avermi fatto scoprire questo entusiasmante produttore (mi toccherà andare a trovarlo). A buon rendere.

R.R.

Salutiamo la Loira con l’ultimo indimenticabile Pouilly fume’- Le Baron de Ladoucette

La giornata, magnificamente iniziata con la visita al leggendario “Domain Didier Dagueneau” (che bel ricordo…), è proseguita tra produttori delle colline di Sancerre. Nel pomeriggio riscendiamo verso Pouilly-sur-Loire e ci immergiamo nei vitigni che circondano il maestoso Château du Nozet, fulcro degli oltre 100 ettari del Domain de Ladoucette. Il bellissimo possedimento è di proprietà, già dal XVIII secolo, della famiglia del virtuoso Baron Patrick de Ladoucette, storico patron di alcune blasonate maisons dislocate nelle più importanti zone di produzione dei grandi vini di Francia (Chablis, Champagne, Chinon, Vouvray, per citarne alcune oltre, ovviamente, qui a Pouilly).
La cantina, ricavata nei locali adiacenti e nei sotterranei del castello, impressiona per la modernità, l’estensione e la tecnologia che ben si fonde con gli antichi ambienti, i soffitti a cassettone etc. Bella e imponente, da visitare. E’ il preambolo di quanto troveremo nei vini che, anche in presenza di grandi numeri, esprimono una grande passione vitivinicola legata al territorio che vanta complessità ed eleganza.
Ci trasferiamo nella lussuosa sala di degustazione, iniziamo con alcune versioni del Pouilly Fumé Baron de Ladoucette. Pur variando per intensità ed equilibrio in funzione del millesimo, nel calice appare di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, sempre cristallino. Soffice al naso con prevalenza di sentori floreali, note agrumate ed erbacee. Di ottima beva caratterizzata da freschezza e grande intensità, chiude con sapida mineralità. Con l’invecchiamento aumentano le note balsamiche ed esce, con maggiore intensità, il tipico e amato fumé.
Proseguiamo in crescendo con un Baron de L 2015, punta di diamante della produzione della maison, considerato tra le migliori espressioni del sauvignon blanc della zona e prestigiosa etichetta a livello mondiale. Oro con riverberi verdognoli, al naso l’etereo bouquet è elegante, floreale poi emergono pesca e pera con sottofondo di silicio e pietra focaia. In bocca spicca la fragranza del frutto esaltata da una intensa mineralità di lunghissima persistenza.
Bella bevuta, ma non è finita. Come già accaduto in altre cantine l’affiatato gruppo (forse meglio dire l’alcolica combriccola) pone la domanda: ma cosa beve il Barone quando soggiorna al castello?
Dopo qualche minuto di chiacchiere sull’argomento, con grande stupore di tutti, appare un Baron de L – Collection Baron Patrick de Ladoucette 2002. Nelle migliori annate una parte della produzione viene invecchiata nelle cantine del castello. Lo scopo è di bypassare le esigenze di mercato la cui energica richiesta porterebbe al prematuro consumo senza che, il vino, possa esprimere la piena potenzialità di invecchiamento che, per i grandi blanc-fumé, è davvero impressionante. Appare dorato con riflessi brillanti. Ma è avvicinandolo il calice al naso che questa delizia esprime tutta la sua eccelsa fragranza. Frutta tropicale, sentori vegetali, iodio, poi fine pietra focaia e grafite. Come già successo per il Silex di Dagueneau bevuto di pari annata, l’affinamento ha elevato questo vino alla sua massima espressione. In bocca è affascinante, corpo importante, pieno e avvolgente di matura sapidità. Assolutamente emozionante.
Questa riserva si colloca tra i migliori Pouilly fume’ degustati, concludiamo davvero in bellezza.……chapeau Barone.
Ci rechiamo al wine shop nel parco del castello, dove non resisto all’acquisto di uno chablis Albert Pic 1er cru 2005 (tra le maisons di proprietà), ma questa è un’altra storia……..
Il meraviglioso tour tra le eccellenze del sauvignon blanc è giunto al termine. Ottimi assaggi. A tutti i compagni di avventura un grosso grazie, arrivederci alla prossima “scampagnata”.

R.R.

Non va sempre benissimo…

Qualcuno si domanderà legittimamente se, con tutto il vino che si beve (qui sopra, vi assicuro, affiora solo una parte, forse anche piccola…) non capiti mai la bottiglia sbagliata ovvero il vino da non ricordare. Capita… capita anche molto spesso! L’ultima volta eccola qui! Non citerò la cantina ( della quale però, come da tradizione, lascio testimonianza), anche perché ne parlai in modo lusinghiero già in passato per aver degustato prodotti semplici ma godibili, e soprattutto perché occupa un angolo di paradiso sul cocuzzolo di una collina piacentina che mi ha rubato occhi e cuore. Ma la bottiglia che ho aperto era proprio andata… peccato! Le attese erano per un vino un po’ sfacciato e tracotante che… è finito senza decoro nel secchiaio! Sarà per la prossima volta.

d.c.

CCXCIII

San Cristoforo Pas Dosè 2013

Era tanto che non riapprodavo alle sponde di questa virtuosa cantina franciacortina, mai in assaggio di un non dosato. Non c’è da sorprendersi se una cantina che ha sempre fatto della qualità una delle proprie caratteristiche salienti se ne esca con un prodotto da… urlo. È un vino dal taglio moderno, ma che di fatto rappresenta un po’ un archetipo, un modello di cui mi sono riempito testa e bocca. È apparentemente semplice, schietto… vero; ma in realtà è sintesi e misura. Paglierino alla vista, con persino riflessi verdognoli (segno che il tempo è stato domato). Il naso si impressiona facilmente per l’intensità della scossa: ed anche qui una netta sensazione di frutta croccante, forse anche acerba. Non c’è una complessità da far girare la testa, anzi, ma un’integrità del frutto da divenire sostanza. In bocca è cesello e bisturi: ritorna l’idea della misura perfetta, scientifica; tutto è perfettamente calibrato, ma l’equilibrio sa di naturale, mai di artefatto. Ed anche qui una croccantezza di frutto che disseta e che diventa edibile.

d.c.

CCXCII