Ronco Calino Brut. Franciacorta Docg

… e poi non sono oggettivo! Ho un debole per questa cantina, e per la strenua e continua ricerca di qualità che affiora da tutti i loro prodotti. E per cui, dal momento che non sono oggettivo, non vi parlerò di questo straordinario Brut! Si… perché è quella gamma che una volta si chiamava “base”, ma che in realtà è il vero termometro e prova di chi lavora sempre bene, dalla “base” alla Riserva Millesimata Extra Brut Turbo Esse etc.etc. Nel bicchiere è pura eleganza, di un giallo abbastanza carico e solcato da un perlage nobilissimo. Gli zuccheri sono pochi, lo si può già percepire al naso, dove la frutta gialla è croccante, accompagnata da tanta frutta secca. Ma è la straordinaria correttezza in bocca che ti fa innamorare del vino, giocato su un equilibrio bilanciato tra l’imponente durezza acida ed una rotondità palatale che non diventa mai morbidezza. Ma non fa niente… lasciate stare… io non sono oggettivo!

d.c.

Pinot nero Brut 2013. Podere Bignolino. Oltrepò Pavese Docg.

Un elegante aspetto giovanile con riflessi verdognoli solcati da una fluida produzione di bollicine di minime dimensioni. Al naso emerge un pinot ancora un po’ rustico: i cinque e più anni dalla vendemmia hanno “digerito” la fraganza dei lieviti ed hanno lasciato la netta percezione di polpa di mela anurca (anche leggermente ammaccata). Ora non vorrei esasperare toni negativi, perché non è questo il fine, e perché, nel complesso, il vino si fa bere con piacere, ma il ricordo è… rustico! Bella la struttura che si percepisce al palato, molto inquadrata tra le durezze, con percezioni di spiccata ed inattesa sapidità.

d.c.

Loacker non solo wafer

Siamo a cena in un maso del 1200 in Val Gardena. I piatti sono naturalmente a chilometro “super” zero così come le proposte della carta dei vini che, seppur “minimal”, presenta un’interessante selezione del territorio altoaltesino.

E’ così che ci imbattiamo in questo Gran Lareyn – Lagrein Riserva 2015 di Loacker. Scopro quindi che la famiglia Loacker oltre a produrre i celebri e buonissimi wafer è anche produttrice di vino e proprietaria di tre tenute: una in Alto Adige, la seconda nel cuore della produzione del Brunello a Montalcino e l’ultima sempre in toscana nella Maremma.

Ma torniamo al nostro lagrein, pluripremiato in diverse annate della rassegna bolzanese dedicata all’autoctono vitigno. Sigillato da un elegante tappo di vetro una volta aperto l’intenso rosso granato appare polposo nel bicchiere. Raffinato e profondo al naso, emerge la viola poi vigorosa mora seguita da leggeri sentori di fumè. Morbidezza al palato ben supportata da acidità. Distante dai lagrein più commerciali, si distingue per eleganza e piacevolissima beva.
Buona la persistenza, lascia il palato pulito.

Non resta che mangiare un Loacker per chiudere in bellezza…

R.R.

Animante. Extra Brut. Barone Pizzini. Franciacorta

Visivamente perfetto. Il giallo è oltremodo brillante e le bollicine, minuscole, nobili e perduranti. Il profilo olfattivo quanto mai originale: l’agrume in varie sfaccettature è il tema dominante passando da un iniziale bergamotto inatteso e scorbutico, ad un netto tarocco, per poi atterrare ad un più docile pompelmo rosa. E la stessa percezione elettrica, giocata sulle asprezze agrumate, si trasferisce al palato. Vino di straordinaria unicità ma che esige un calibrato ed adeguato abbinamento: assolutamente piatti di mare, privilegiando composizioni di crudo, ovvero in abile Tempura.

d.c.

Il Montanaro 2013. Pecorino. Offida docg. Cantina Offida

Troppo poco raramente oramai, al contrario dei miei compagni di viaggio… ops di blog… riesco a dedicarmi un po’ di tempo per andare per cantine, a provare se le mie papille funzionano ancora (le emozioni si! Sono ancora tutte integre…). Quasi per sbaglio, ed in compagnia dei miei bambini mi sono trovato nel piccolo paradiso di Offida a provare il Pecorino insieme al “Capo” della Cantina Sociale ( osservate come la forma societaria non sia una cooperativa bensì una società di capitali: anche il mondo contadino del vino si sta trasformando!). I bicchieri si assommano, le chiacchiere diventano più fluenti, i ricordi scappano… per fortuna che rovistando tra le bottiglie scovo un 2013: forse è anche l’ultimo (ci sono americani e francesi che accanto a me stanno facendo incetta di bottiglie giovani). Sarà questo il mio ricordo di Offida.

Una ancora gradevole ossidazione si sprigiona dalle pareti del bevante. Il giallo è carico, ma è vivo. Il fluido è pesante, ha una viscosità antica, vuol far pesare tutto il suo corpo. I profumi sembrano provenire da un cesto dopo una repentina raccolta in un frutteto di frutta ancora non matura: c’è l’albicocca, le nespole, le percoche. Poi affiora il verde da sfalcio dei pascoli d’altura marchigiani, ricchi di erbe aromatiche. In bocca il vino è duro. L’acidità è aggressiva, non dà scampo, un po’ è scomposta. L’alcol, imponente, affiora solo alla fine, regalando al palato una persistenza che il vino non avrebbe. Le papille tornano al verde dei prati, le emozioni sconfinano in panorami unici.

d.c.

Piaggia 2005. Mauro Vannucci. Carmignano docg Riserva

Caldo. Caldo afoso. Ma tra i programmi della serata c’è un’attesa grigliata di carne e per cui non ci siamo fatti intimorire dal volume alcolico, a dispetto delle temperature “esterne”. Da tempo puntavo all’apertura del Carmignano Riserva e devo ammettere che le attese sono state ampiamente ripagate. Nonostante i quasi tre lustri appare alla vista vivo, di un rubino acceso. Ma sono i profumi che ammaliano: inizia una mora di gelso appena raccolta, segno che la riduzione in vitro non ha leso un’indomabile forza espressiva. Poi la progressiva ossigenazione lascia emarginare percezioni uniche ed originali: dalla battuta di carne, al crostino toscano, quello con i fegatini, ed infine ad un’incredibile pasta d’acciughe. In bocca l’equilibrio è ancora solidissimo, non facendo mai prevalere o l’acidità presente e nascosta ovvero l’alcol riportato in etichetta, ma mai percepito per quell’entità. E la magia si conclude con un ritorno di marasca dolce che ci fa pensare che questo Carmignano avrebbe potuto essere immortale…

d.c.

Extra Brut Paul Lebrun

Serata di luglio, caldo afoso. Urge qualcosa di rinfrescante che abbia facoltà di sollevare il morale.
E allora Champo! Consigliato dal mio pusher opto per l’Extra Brut di Paul Lebrun di Cramant, villaggio “Grand Cru” della Côte des Blancs.
La maison è consacrata allo chardonnay che nel taglio extra brut é per l’80% proveniente da Cramant e per il restante 20% da Sézzane.
Blanc de blancs, circa tre anni sur lie. Abbondano i riflessi dorati nell’elegante giallo puntellato dagli spilli del fine perlage. Invoglia all’assaggio….
E allora mambo! Al naso la fragranza è immediata: agrumi e frutti canditi poi croissant al burro, note di caramello e accenni di miele. Al palato morbida mousse dal buon equilibrio aromatico non eccessivamente secco se consideriamo il basso dosaggio (circa 4 gr/litro). Ne berrei una cassa, rinfresca e allieta!
Ottima scoperta dal buon rapporto qualità prezzo.
Massimiliano grazie per il consiglio!

R.R.

Dosaggio zero Riserva 2007. Lo Sparviere. Franciacorta docg.

E poi… sicuramente per la benedetta incuranza di qualcuno, ti ritrovi a rintracciare, in un aperitivo nato per sbaglio, una bottiglia così… e tu invochi al miracolo! Perfetto alla vista, con un giallo paglierino carico ed un perlage degno di una grande maison di Epernay. I profumi che si sprigionano dal bicchiere sono la prova che in Franciacorta si producono grandi bottiglie ( ed io continuo a ripetermi: sempre più nei “non dosati”): c’è ancora molta gioventù in un frutto giallo molto croccante (trovi le pesche nettarine e le albicocche, mai l’attesa banana), fuso con note lontane di pinoli e nocciola tostata che cresce ogni secondo che passa. È meraviglioso l’equilibrio tra una rotondità abbracciante e l’assoluta assenza di dolcezza. In bocca la struttura è imperiosa, granitica: nulla è lasciato al caso. Il passaggio tra la coltellata dell’acidità e la morsa della sapidità è senza soluzione di continuità: la bocca è ingabbiata in una morsa, ma non se ne vuole liberare. È eleganza allo stato puro, finissima ed avvolgente. E rimane in bocca una percezione lunga che si trasforma magicamente già in ricordo. Magnifico!

d.c.

Le Vaglie 2018. Verdicchio dei Castelli di Jesi. Santa Barbara.

È incredibile la schiettezza di questo Verdicchio che ti cattura al primo assaggio. Alla vista ed al naso la sensazione è verde, ma l’orto in cui ti imbatti è variegato ed esteso: c’è lo sfalcio estivo delle erbe di alpeggio, ma presto arriva un pesto di basilico e rosmarino, per poi continuare su note più dolci e fruttate, tra il melone cantalupo ed un commovente pompelmo rosa maturo. Ma in verità, più inzuppi il naso è più scopri… In bocca il binario è dritto, tra un’acidità ancora corrosiva (che fa sperare in una vita lunghissima), ed una sapidità ancora non doma e che squilibra la bevuta verso le durezze, cancellando, di fatto, le morbidezze ancora letargiche. Bottiglia da aprire fin da subito senza inibizioni, e frequentarne la compagnia per i prossimi dieci anni!

d.c.