Me lo diceva l’Editore che avrei trovato soddisfazione dalla bevuta: e così è stato! Piacione l’Extra Brut 2012…nonostante la dichiarata quota residuale di zuccheri, il vino, anche per una “ragionata” ossidazione, appare rotondo e di taglio classico, quasi antico, con una lussureggiante grassezza! Il numero di esemplari tirati hanno fatto della degustazione un evento esclusivo (ndr. 1260 bottiglie).
E se questo era classico, il Zéro Dosage invece cambia completamente canone ed appare modernissimo: non abbiamo le quote dell’assemblaggio, ma il vino è aggressivo, molto fresco. Tanto opulento il primo, quanto essenziale questo, misurato all’osso, ma non per questo non godibile, anzi appare di sicuro più facilmente abbinabile alla cucina contemporanea .
Dopo qualche giorno di quiete sulle alture dell’Alpe di Siusi, come farci mancare una giornata tra i dolci pendii della strada del vino del Lago di Caldaro? Siamo a fine agosto, le viti sono cariche d’uva, pronte per la vendemmia, che spettacolo! Puntiamo alla piccola Tenuta Unterhofer, scoperta durante l’ultima edizione del Mercato dei Vini di Piacenza nel novembre 2019, grazie al nostro D.T. che più volte ne ha elogiato le qualità. Ci accoglie Thomas fondatore nel 2006 della cantina di famiglia, dopo aver maturato oltre 15 anni di esperienza nel mondo del vino. La tenuta, letteralmente immersa nei filari, è stata oggetto nel 2020 di un’importante ristrutturazione che ha visto la nascita del wineshop, l’espansione dei locali sotterranei e l’adozione di una moderna domotica che consente la puntuale gestione di lavorazione e temperature. Gli investimenti tecnologici e il contributo innovativo del giovane Andreas, che porta avanti la passione del padre, proiettano la cantina a pieno titolo nel futuro della vinificazione. I terreni dedicati alla produzione, pari a un totale di circa 4,5 ettari, sono ubicati in parte nei pressi della tenuta e in parte sopra Bolzano. Le due zone hanno natura diversa: la prima, limitrofa al lago, presenta un terreno calcareo e argilloso mentre la seconda è di tipo sabbioso e ricco di porfido. Peculiarità diverse che riscontreremo poi nel bicchiere, a volte anche sapientemente intrecciate tra loro. La produzione, pari a circa 20 mila bottiglie l’anno, è prevalentemente focalizzata sui vini autoctoni ma troveremo anche un’interessante versione dell’internazionale merlot.
Che dite iniziamo l’assaggio? Ci accomodiamo sulla terrazza del nuovissimo e luminoso wineshop che ci regala un’impagabile vista a 360° sui vigneti, quale migliore location per calarci nella degustazione. Partiamo dallo Spalier pinot bianco in purezza, 80% della zona di Caldaro e il restante 20% proveniente dai terreni di Bolzano. Dai 7 ai 9 mesi in acciaio. Giallo paglierino di eccezionale, elegante trasparenza che ritroveremo anche negli altri bianchi di Unterhofer, tutti assaggiati dell’annata 2019. Naso incisivo e tagliente come questo vitigno sa regalare, una cascata di mela e limone (by D.T.). Sorso intrigante ed equilibrato. Passiamo allo Chardonnay, mix 50 e 50 delle due zone di produzione, da vitigni a pergola di 45-50 anni. Spiccato paglierino in cui già occhieggiano lievi sfumature dorate. Fresco di fiori di montagna, poi un cesto di frutta tropicale in cui affiorano il miele e sentori speziati dati dal passaggio in legno di rovere. Bocca piena di morbida e intensa sapidità. Ecco ora nel bicchiere il Mirum, sauvignon in purezza dai soli vitigni di Bolzano fermentato e affinato in acacia. Paglierino intenso, dall’affilatissimo bouquet aromatico che spazia dal lime all’ortica, dalla mela golden al tipico bosso. Eccitante aromaticità e persistenza infinita. E’ la volta del Kerner che stupisce per freschezza: kiwi e lime poi consistenza di albicocca e pesca matura. Proveniente da giovani viti del 2007 della proprietà di Bolzano. Eccezionale come aperitivo o dopo il pasto. Non sorprende che questo vitigno ora si stia sempre più diffondendo nella zona. Un plauso ai coraggiosi come Thomas che perseverano. Avanti con l’ultimo bianco il Reitl l’unico blend di casa Unterhofer. 30% sauvignon, 60% chardonnay e una piccola percentuale di passito. Aumenta la densità nel bicchiere da cui si esalano sentori evoluti di frutta esotica: banana, ananas seguiti maracuja. Dice Thomas: “da provarsi con un buon sushi”. Condivido!! Cambio di bicchieri e via con i rossi. Leitn 2019 Lago di Caldaro classico Superiore: 100% schiava da vigneto a pergola sulla strada del vino di circa 40 anni. Lampone, ciliegia e concentrato di Alto Adige. Beva meravigliosa. Saliamo di complessità con l’Artis 2018 St.Magdalener, miscela delle uve schiava più vecchie e un 5% di lagrein. Il 20% fa appassimento poi fermentazione in acciaio e se l’annata lo richiede affina per breve tempo in barrique. Anche qui sono i frutti di bosco e la ciliegia a farla da padrone ma già con tendenza alla confettura. Bella persistenza con toni di spezie dolci. Chiudiamo con il Ka&Ka 2017, decisamente fuori dal coro. Merlot proveniente da entrambe i terreni, appassito in cassette di legno e poi per 2 anni in barrique nuove. Rubino denso dai sentori di marasca e sottobosco inseguiti da note di pepe bianco e tabacco. In bocca morbida e densa polpa di lunghissima persistenza. Siamo giunti al termine. Tutti i vini sono accomunati da pulizia e ricerca dei profumi varietali. Il legno, quando utilizzato, è accuratamente dosato e assolutamente mai invasivo. Produzione di marcata identità, anche nella scelta dei tappi rigorosamente a vite per tutte le bottiglie. Questo mi aspettavo dai vini di Thomas, continuate così!!
Dietro a quel Rosso nell’etichetta si nasconde un 100% di Syrah. Ed è un Syrah cortonese, che racconta esattamente ciò che ti aspetti dai Syrah di tutto il mondo: profonda speziatura, polvere di cacao e quella tipica sensazione pepata! Perfettamente abbinato ad un fumante piatto di pici, serviti nella magica ambientazione della splendida Osteria del Teatro, nel cuore di Cortona (dove lascio tutte le volte un pezzo del mio cuore … che presto finirò!).
Sabato pomeriggio, shopping in centro a Piacenza. Colti da improvviso nubifragio troviamo riparo a “La Canteina”, quale migliore occasione per una chiacchierata con Paolo, esperto e appassionato proprietario dell’enoteca sempre alla ricerca di novità enogastronomiche. E così, esplorato il panorama degli champagne in proposta, chiedo un suggerimento originale per accompagnare la grigliatina casalinga in programma per la sera. Mi ha incuriosito con il canaiolo della linea “Vini del Futuro” di Terenzuola, cantina che conoscevo per il Vermentino dei Colli di Luni. Ostico il canaiolo, di solito usato come taglio del sangiovese, qui nero autoctono dai locali chiamato uva Merla impiegato per oltre il 90% con aggiunta di barsaglina. Bello il rubino con sprazzi giovanili, già confettura al naso di marasca e mora su spunti di vaniglia, chiude con intriganti sentori balsamici. Intenso il sorso di appaganti toni minerali e gradevole tannino. Bella scoperta. Grazie Paolo!
Non hanno certo bisogno di presentazioni. Noti agli amanti del vino per l’originale idea del portale che, da circa un quinquennio, consente di imparentarsi ad un vignaiolo sostenendo la sua produzione in cambio di week end in azienda, esperienze enogastronomiche, bottiglie etc. Ma non è finita qui, qualche tempo dopo i “The Winefathers” si uniscono ad altri appassionati e professionisti per realizzare un sogno. Ed è così che questa “cricca” inizia a produrre vino a Prepotto in Friuli tra i Colli Orientali e il Collio….. e perché non chiamarsi appunto “La Cricca”? Entriamo in contatto con Luca Comello, cofondatore dei “The Winefathers”, all’inizio di quest’anno con l’intesa di fare una degustazione dei loro vini al primo raduno utile del nostro team. Ma anche qui il Covid ci ha messo lo zampino e, complice anche la separazione tra Regioni, la nostra di “cricca” non si è più riunita. Per questo, nell’attesa di rivedere i compagni di penna, una sera decido di “sacrificarmi” per il gruppo. Stappo il Busart 2018 uvaggio di Friulano, Pinot Bianco e Sauvignon. Partiamo dall’elegante e sobria etichetta, comune a tutta la produzione, credo volutamente minimal. Poi guardo meglio, ma sì sono proprio loro…..quelli che al Musée d’Orsay continuano imperterriti a giocare incuranti dei tanti curiosi visitatori. Bella storia! Ma torniamo al vino. Giallo paglierino compatto, naso carico che fa subito intuire toni articolati dati dal passaggio in legno. Mousse di agrumi su cui spicca il pompelmo, poi sentori speziati di cannella e vaniglia subito inseguiti da toni di mandorla. Sorso pieno che conferma la forza espressa al naso, blend di elegante complessità. Ma attenzione!! Finalmente si organizza un brindisi post lockdown e così ho modo di poter condividere l’assaggio del Pinot Bianco con d.c., d.t. e l’editore. L’annata è sempre la 2018 e si presenta giallo paglierino dall’intensa luminosità. Anche in questo caso i toni del legno sono evidenti. E così la frutta si mischia al burro e a profumi di panificazione, con una punta di salvia e a chiudere leggere note di dolci al miele. Sorso strutturato supportato dai 14,5° che sembra, al primo sorso, quasi assopire un po’ la freschezza. Entrambe interpretazioni originali, assolutamente fuori dal coro anche in considerazione della provenienza. Il timbro dato dal legno, ritengo voluto per dare l’impronta della cantina, si fa sentire. Per quanto mai invasivo, dona una complessità olfattiva che meriterebbe un assaggio fra qualche tempo così da poter restituire un’amalgama sensoriale integrata, più definita ed evoluta. Non ci resta quindi che fare una capatina in cantina, quale miglior modo per provare qualche vecchia annata ed assaggiare il Friulano, unico tassello a noi mancante della produzione. Luca ancora grazie per la tua disponibilità! Speriamo di conoscerci presto.
Merenda in Valtidone, con vini dell’Oltrepò Pavese?? Facciamo un po’ di chiarezza!!
La fine dell’isolamento non ha cancellato alcune abitudini adottate al tempo del lockdown. La panificazione è andata per la maggiore: focacce, pizze, michette e chi più ne ha più ne metta. Pur essendo stato sedotto da tale “arte” ho presto capito che era meglio lasciare il posto ai professionisti: nel mio caso non c’è storia!!! Molti sono però gli amici che ci hanno preso gusto e sono sempre alla ricerca di particolari farine. Così con la scusa di qualche omaggio agli amici, facciamo rotta verso l’Alta Val Tidone per racimolare qualche chilo di farina biologica di Terra Antica – Corte dei Principi. Il pomeriggio inizia con una bella passeggiata che, dopo tanta chiusura e isolamento, ci sa donare sensazioni di libertà oltre a una grande, grandissima fame! Non manca ovviamente un buon salame ….. e ça va sans dire pane fatto in casa. E allora merenda!! Certo nel rispetto del distanziamento sociale e delle precauzioni anti Covid-19!
Con noi non a caso c’è anche Gaia che, unitamente al fratello, porta avanti la storica tradizione vitivinicola di famiglia. Tramandata da generazioni, ha dato vita nel 2008 a Cantine Vitea – Montù Beccaria, nel cuore dell’Oltrepò Pavese. La produzione attuale vede 4 linee denominate, in un crescendo di complessità, “Cascina San Carlo”, “Collezione gli Elementi”, “Etichetta Nera” e “La selezione di Vitea”. Il salame è già affettato, partiamo con il Tramés, Pinot Grigio della linea Etichetta Nera. La trasparenza nel bicchiere, dai verdognoli riflessi, lascia da subito intuire la freschezza tipica dei bianchi dell’Oltrepò: un campo di fiori seguiti da mela verde. Mi stupisce la facile beva che risulta davvero appagante, ma ancora di più la nitidezza dei sentori, diretti e precisi, non facili da riscontrare nei prodotti di pari fascia di prezzo. Viene voglia di berne una cassa. Ma molti sono gli assaggi a disposizione e scopro ben presto che le piacevoli virtù del Tramés sono comuni a tutti i vini della produzione, dai frizzanti Pinot Nero (vinificato in bianco) e Barbera alla ferma Croatina tutti della linea Cascina San Carlo entry level della produzione, fantastici per accompagnare una buona merenda. Ed eccoli riaffiorare anche nel Flora, lo spumante metodo charmat 100% pinot nero che esprime delicati sentori di pompelmo rosa con un buon ritorno minerale. Ne bevo un’altra cassa? E ancora, seppur salendo di struttura, riscontro la stessa piacevolezza nel Moretto Pinot Nero e nella 1895Barbera della linea Etichetta Nera. Barbera di cui ricordo sensazioni di mirtillo e ciliegia supportate da un gradevole tannino. Sì, lo ammetto non li ho bevuti tutti in una volta, qualcosa ho tenuto per un secondo e terzo round a casa. Ecco quindi i top di gamma della selezione Vitea. Il ViteusRiesling affinato in acciaio che schiude aromi di ribes bianco, kiwi e pesca, seguiti da effluvi di mentuccia. Chiudo in bellezza con una bottiglia di Cà del CervoButtafuoco assaggiato dell’annata 2015: ricca polpa dai sentori di ciliegia e prugna seguiti da una nota di cioccolato che ben si è abbinato alla faraona arrosto mangiata in occasione delle ultime piovose giornate….. Ma questa è un’altra storia.
Ben venga il connubio tra la Val Tidone e l’Oltrepò in fondo basta scavallare una collina. …… Ragazzi pomeriggio bellissimo, cerchiamo di ripetere presto.
Gaia avanti così i tuoi vini sono stati una piacevole conferma.
Taglio bordolese di montagna. Di rosso purpureo nel bicchiere, dai profumi caratterizzati da rustiche verdi note varietali, forse riconducibili alle quote di Merlot ( e ad una maturità fenolica non pienamente raggiunta). Molto fresco in bocca, con indicazioni di ancora squilibrata gioventù, essendo un po’ sbilanciato sulle durezze. Torna un po’ di verde, sicuramente più elegante rispetto alle impressioni olfattive, ma la persistenza si spegne rapidamente: facciamolo spegnere su carni rosse e salumi.
Devo ammettere che sono rimasto spiazzato dalla profonda dicotomia tra quello che ti racconta il naso e ciò che ti suggerisce il palato! Netti profumi di marasca e ciliegie di Vignola, ma con la sensazione che il fruttato sia “secco”, per poi trovarsi in bocca un vino volutamente dolce, con forzati toni di morbidezza e rotondità, che effettivamente richiamano, come suggerisce la retroetichetta, la sensazione del velluto. Non so, da rigidone winesnob quale sono, mi risulta complesso inquadrarlo, confondendomi anche su un efficace abbinamento. Una cosa però impressiona: la freschezza e croccantezza della frutta che persiste in bocca dopo la deglutizione, nonostante gli anni dalla vendemmia comincino a crescere… Mi ritorna il pensiero al vino alimento come lo era per i nostri nonni.
E mentre il nostro R.R. si diletta a degustare delle “prove di botte”, io continuo a rimanere sui lunghi affinamenti in bottiglia.
Oggi, una delle mie cantine preferite in tema di bianchi. E considerando la capacità di invecchiamento che hanno normalmente i vini di Vie di Romans, effettivamente i nove anni sono ambiti temporali di “prontezza”. Si, perché di sospetti ossidativi non vi è traccia! Il colore è di un giallo carico (ma dalle uve utilizzate non mi ricordo prodotti dagli aspetti paglierini). I profumi spaziano dall’erbaceo (proprio di sfalcio), al floreale intenso, ad un tocco di frutta tropicale in una macedonia di drupe a pasta gialla. Sapidità ed acidità all’unisono aggrediscono la lingua, con una soluzione purificante, che solo in uscita viene “addolcita” dalla morbidezza alcolica, da un non trattenuto ricordo di frutto giallo e di nota balsamica che risale nella retrolfattazione e dalla commovente orma amaricante dell’amato tocai.
Ennesima scoperta di mio cognato non certo nuovo a stanare intriganti Merlot in giro per il Bel Paese. Appassionato sì, ma chissà poi dove li va a scovare. Questo proviene da pochi filari, circa una 20ina, di particelle variabili da anno in anno della tenuta Cecchetto, storico produttore trevigiano di cui ricordo le varie vinificazioni dell’autoctono Raboso. Credo fosse il 2015 quando assaggiai per la prima volta il suo Merlot, allora del millesimo 2012. Mi aveva subito ammaliato. Da allora, per quanto centellinate – certo l’esigua produzione non aiuta – mio cognato ogni anno non manca di procurarci qualche bottiglia di Sante Rosso. L’ultima bevuta insieme a metà febbraio, bei ricordi pre-pandemia, era dell’annata 2016 di cui ho ancora vivo il ricordo di un piacevolissimo avvolgente cacao in chiusura.
È con la mente a tale ricordo che, in fase di pieno lock down, non ho resisto alla tentazione e così ho aperto una bottiglia dell’ultima fornitura a mie mani, già annata 2018. Un po’ giovane?
Appare compatto il fitto rubino nel bicchiere, graffiato da leggerissimi riflessi violacei. Al naso entusiasma il deciso sottobosco a cui si affacciano spezie e tabacco rincorsi da accenni minerali.
Entra in bocca vigoroso con quella appagante potenza che ricordavo, avvolgente e pieno. Lunga la persistenza che riempie il palato di frutti rossi in confettura.
Sì lo ammetto, pur non raggiungendo appieno le percezioni evolutive dell’ultimo assaggio, la curiosità di provarlo mi ha ripagato con piacevolissime sensazioni a garanzia delle potenzialità di affinamento. Riposi quindi ancora qualche anno nella mia cantina l’altra bottiglia di pari annata.
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