Conobbi il sig. Marsura tanti anni fa. Mi piacque tanto lui ed i suoi vini, pur non essendo mai stato un estimatore di vini da “autoclave” (pur riconoscendo ed ammirando il modello industriale…). Da allora una sorta di affetto mi avvicina a Marsuret, che, se ricordo bene, è l’unica che può pienamente fregiarsi della denominazione Cartizze, per la quantità e qualità di vigneti sulla “collina d’oro”.
I profumi sono intensissimi di pera, fiori bianchi, camomilla. È un inno alla primavera: dona giovialità al solo “ascolto”. Freschezza e dolcezza sono strenuamente abbracciati, disegnando un profilo di vino da aperitivo straordinario, stimolando un consumo smodato.
I vent’anni e più appaiono nel bicchiere vestiti di un bel granata, velato da cospicuo pulviscolo da feccia. I profumi, molto evoluti, hanno una matrice vegetale, un po’ macerata: si scorgono la foglia di té, il tabacco, la carruba e persino un’impressione di torbatura. In bocca l’acidità è ben presente, persino prevaricante in una struttura che ha perso l’appoggio dei tannini, ora molto blandi. Bello il ritorno retrolfattivo succoso e fruttato, su una sicura prugna sotto spirito.
Un piacevole naso di crosta di pane, frutta gialla croccante e di fiori bianchi. Un’acidità incisiva, tenace. Perfetto per un aperitivo, magari a base di crostacei. Ha un qualcosa di francese, per il sapiente equilibrio tra le durezze inscalfibili ed una succosità fruttata che forse diventerà un giorno cremosità. Editore…ma cosa mi succede? Mi piacciono sempre di più i Satèn? Non mi riconosco…
Bere tanto vino e baciare tutte le donne del mondo. Per buona parte della mia vita ciò ha rappresentato un po’ della mia filosofia esistenziale. Vi confido che sono un po’ in ritardo sul baciare tutte le donne del mondo, ma in quanto a bere tanto vino… E bevendo tanto e tante diversità a volte si fanno incontri che non rimarranno nei nostri ricordi, ma sul nostro blog si! La bottiglia si presenta con un habillage molto curato, l’etichetta è bellissima. Anche il colore è spettacolare ed invitante. Il vino? Dai tratti troppo rustici, con una carbonica insufflata dalle dimensioni degne di una Coca Cola, con un frutto dolciastro monotono, piatto. Chiusura amara. Tranquille donne… nonostante tutto continuerò a bere tanto vino…
Non avevo mai bevuto prima di oggi un Moscato di Terracina, e non ricordo il tempo di un Moscato Secco! Il percorso ossidativo, dopo 15 anni, non poteva non essere iniziato (guardate però che straordinario colore aranciato brillante…), ma molte caratteristiche positive sono rimaste indelebili: del colore abbiamo già detto… tutt’altro che non invitante! Dopo la cremosità olfattiva data dall’ossidazione traspare prima un gradevolissimo té alla pesca, poi una camomilla, rimanendo sul sottofondo una spezia sussurrata, forse cannella. La bocca è immediatamente aggredita da una spina sapido-acida assolutamente non attesa. Poi prevalgono le note ammorbidite dagli anni.
Gogliardica e divertita ispirazione alla “forza” del vino, peraltro accudito in una bottiglia dalle dimensioni allungate, o sincero richiamo ad una divinità agreste, rappresentante della fertilità maschile, invocato nei baccanali e nei riti misterici? Vita… vite… vita…. il confine è quasi impercettibile…
Croatina, proveniente dallo spettacolare anfiteatro naturale di Rovescala, che ha saputo ben invecchiare (nel suo astuccio penico?): dal colore rosso sanguigno; dagli intensi profumi di dolci frutti rossi, ma anche di nobile speziatura ed una piacevole peposità, che tanto mi ricorda uno zinfadel americano. In bocca tanta dolcezza di frutto ed uno squilibrio verso la morbidezza alcolica che induce ad una gioiosità misterica…
Estate 2003, forse la più calda che io possa ricordare. E tutto il calore di quella rovente stagione è rintracciabile nelle espressioni di questo Nobile. Il vino, nonostante i 17 anni dalla vendemmia, è integro, perfetto. I profumi, intensi, sono però unicamente concentrati su note di frutta cotta, e solo dopo un’ampia “respirazione”, di qualche ora dalla stappatura, affiora un delicato poutpourri vegetale . In bocca è immediatamente percepibile la vivida freschezza degli acidi, ma è come se questa fosse slegata un po’ dalla succosità matura della prugna macerata , unico aroma coprente della fase gustativa. Il tannino setoso si lega in chiusura con la polverosità dei residui non filtrati, donando corpo tattile all’importante morbidezza alcolica.
Tempo di Covid-19. Restiamo a casa!!!! È l’occasione per preparare qualche manicaretto, dal forno già sale profumo di arrosto, non resta che recuperare una bottiglia. Scendo in cantina, penso a cosa voglio bere. La testa va non so come al Dolcetto, ma non si ferma tra gli scaffali del vino. Il ricordo corre a qualche anno fa, ad una partenza in un soleggiato pomeriggio di inizio autunno. Meta? La tenuta di Anna Maria Abbona dove siamo stati ospiti, a fine vendemmia, di una sontuosa merenda sinoira (a buon intenditor poche parole) offerta per festeggiare il raccolto. Così superate le langhe giungiamo in Frazione Moncucco – Farigliano (CN) sede della cantina. Immersi nei vigneti del Dogliani (del cui consorzio Anna Maria è Presidente), sulle note di una acustica Wish You Were Here dei Pink Floyd e di altri grandi revivals suonati dal vivo, abbiamo l’occasione di gustare le leccornie culinarie della tradizione piemontese. Il tutto ben abbinato ai vini di casa Abbona che spaziano dalla Nascetta spumantizzata fino al Barolo passando ovviamente per il Dolcetto e altre prelibatezze. È stato davvero un gran bel pomeriggio, ma torniamo alla scelta nella mia cantina. Maioli o San Bernardo? Entrambi Dogliani Superiore, massime espressioni del Dolcetto dell’azienda, il primo affinato in acciaio il secondo in legno grande. Opto per il San Bernardo annata 2015: 100% dolcetto da vigne di oltre 70 anni poste a 530-570 metri s.l.m. Rosso rubino profondo. Naso complesso dove il sottobosco duetta con marasca, ribes e viola poi ecco il pepe bianco che si lascia sedurre da balsamico eucaliptolo. A chiudere la dolcezza della vaniglia e note di cioccolato. Potente ed elegante l’ingresso in bocca, spiccano i 14,5° supportati da decisa freschezza e personalità. Persistenza lunga di amarena con sottili sentori di caffè. Ottimo il connubio con il mio agnello arrosto!!
Un saluto e un ringraziamento a Stefano che mi ha fatto conoscere la cantina e a Federico che con la sua famiglia sa regalarci emozioni in bottiglia.
Io la frutta tropicale non l’ho trovata! Ma è un Satèn gradevole, molto delicato, giocato su note verdi tra frutta croccante (su tutto la mela) e vegetale, che lascia una sensazione di dolcezza sia al naso che al palato, indicando nell’aperitivo la consumazione ideale. Sboccatura 2015 e vino che ha mantenuto perfetta la sua integrità, segno di una sapiente tecnica di vinificazione.
La Turbiana di Sirmione, la migliore che io conosca: Cà’ Lojera! Avere 12 anni, non aver ricevuto le coccole destinate alle riserve, ed essere straordinario: questo è ciò che tutte le volte ci sorprende di questo straordinario vino. Il bicchiere si tinge di un bel giallo oro brillante come il sole ferragostano. L’aria si inebria di camomilla, foglie di tè e solo in coda di frutta matura come albicocca e pesca, ma rimane, di fondo, una traccia balsamica e magica. Equilibrio in bocca misurato, tra un’acidità tutt’altro che arretrata ed un morbido abbraccio alcolico, che aiuta la succosità del frutto che permane ed addolcisce anche gli animi più irrequieti.
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