Franciacorta, i love you. Nr. ?

Si, lo so! So perfettamente che i tre (o tremila) lettori di WTB diranno che parliamo sempre delle stesse cantine… forse è anche vero, ma… quanto è buono il Brut 2010 di Ronco Calino! Le bollicine sono minuscole ed infinite, movimentando un giallo che ha già acquisito un gradiente di intensità di colore superiore. I profumi sono ammalianti: alla polpa gialla della frutta, alle note agrumate di mandarino ed alla piccola pasticceria si associano note evolutive ancora più interessanti, forse speziate; incredibile la carruba che lascia i bordi del bicchiere ed una insolita (in Franciacorta) mirabelle di stampo “nobile”. In bocca esalta la precisione: tagliente all’ingresso, pieno al palato, di elegante e lunghissima persistenza.

A che numero siamo arrivati per “Franciacorta, I love you”? I lettori, se provano un vino così, sicuramente mi perdoneranno…

d.c.

CCLXXXVI

Proseguendo con il Pouilly fume’- Didier Dagueneau “Le Roi du Sauvignon Blanc”

Ci sono ricordi che rimangono indelebili nella nostra mente, momenti emozionanti che anche il vino sa regalare….. mi era già successo da Mouton Rothschild ad esempio o da Château d’Yquem….
Siamo ancora immersi tra i dolci pendii di Pouilly-sur-Loire, lo sguardo si perde all’orizzonte nei vitigni.
Percorriamo una piccola stradina di campagna, Rue Ernesto Che Guevara – Saint-Andelain.
I lettori più appassionati avranno sicuramente già compreso, ci troviamo nel cuore dei 12 ettari di produzione di un grandissimo vigneron che portava i capelli scompigliati e la barba incolta, dedito alla cultura biodinamica, anticonvenzionale e fuori dagli schemi che ha saputo elevare il suo sauvignon blanc a rango di eccellenza, fino a divenire mito.
Già da tempo annoverato nei libri e nelle riviste del settore Didier Dagueneau, a volte definito pazzo (sicuramente un genio della viticoltura), ci ha atrocemente lasciato nel 2008 a soli 52 anni. I figli Charlotte e Louis-Benjamin proseguono la sua opera alla guida della Maison che esprime la quintessenza del terroir di questa zona della Loira.
E’ fine settembre e fervono le attività della vendemmia, non ci avevano assicurato la visita e invece, veniamo accolti all’interno della piccola cantina (circa 50 mila bottiglie prodotte all’anno).
Ci incuriosisce la particolare vinificazione, da subito in barrique per un anno poi in acciaio per lo stesso periodo. Assaggiamo il vino in primeur, come avviene dai grandi del Bordeaux, rimaniamo sbalorditi e capiamo che siamo davanti a qualcosa di grande, il vino dopo un anno in legno ne trattiene solo un lieve sentore.
Sorseggiamo poi il prodotto dalle vasche di acciaio: Silex e Pur Sang del millesimo 2017 e già i vini, per quanto non pronti, donano sentori e profumi complessi, variegati.
La visita giunge alla fine, ci viene versato nei raffinati calici fornitici per la degustazione Le Jardin de Babylone vino dolce di grande eleganza e complessità. Petit Manseng, vinificato e maturato in barrique. Giallo oro intenso, di elegante morbidezza e profondità. Si godono sentori di frutta esotica matura e spezie dolci. Lascia la bocca fresca, di lunghissima persistenza. Spettacolare anche perché ottenuto, con nostra sorpresa, senza attacco di botrytis.
Soddisfatti siamo pronti a lasciare la cantina ma un vigneron, forse incitato da alcuni compagni di viaggio, sta versando nei bicchieri una bottiglia di Silex annata 2002.
Contemplato a pieno titolo tra più grandi vini bianchi al mondo, nel calice si mostra giallo paglierino con decisi riflessi brillanti. Al naso è emozionante, ricco e complesso. I 16 anni di affinamento ci restituiscono, probabilmente, il vino al massimo della sua essenza. Mineralità di grande eleganza, effluvi tipici del siliceo: fumè, pietra focaia e grafite. Poi emergono erbaceo, scorza d’agrume e frutta tropicale.
Il sorso è eccelso, affilato e avvolgente. Di grande freschezza, riempie il palato con equilibrio vellutato e morbidezza che lascia spazio a un finale di profonda sapidità aromatica. Persistenza infinita.
Vino impressionante, indimenticabile. Per chiudere in gloria non ci rimarrebbe che assaggiare l’Asteroide “Franc de Pies”. Ma lasciamo questa leggenda ai nostri sogni…
Che altro dire, mi affido a un romantico motto Cubano dedicato appunto al “Che” che calza a pennello: grazie Didier “tu ejemplo vive tus ideas perduran”.

Un encomio a Simona e Giovanni, le nostre guide, che con il loro impegno ci hanno regalato questa grande emozione. Grazie
E ora via verso l’ultima tappa del Blanc Fumè …… segue

R.R

E con il carrello dei bolliti?

Continua il girovagare, senza sazietà, nell’allevare la ciccia che contraddistingue il nostro girovita. Ma cosa abbinare ad uno straordinario carrello di bolliti ed arrosti? Trovandosi in terra veronese, presso il famoso “Ceccarelli”, abbiamo ricercato un abbinamento di vicinanza, preferendo un Ripasso locale di Tommasi. Di colore intenso e purpureo, rimarca con forza al naso un impeto alcolico (pur mostrando un volume alcolico complessivo non impressionante) ed una varietà un po’ monocorde di frutti rossi, in primis la prugna disidratata. Corretto al palato, forse apparentemente già più squilibrato verso le morbidezze, ma la bocca risulta sempre perfettamente pulita e mi permetterei di dire “sgrassata” pur in presenza di un piatto impegnativo. Certamente la ratio prezzo/qualità per una bottiglia di poco superiore ai 12 eur al ristorante ne aumenta verticalmente la godibilità.

d.c.

CCLXXXIV

Sfursat Fruttaio Cà Rizzieri 2013. La versione di d.c.

Per molto tempo la mia dichiarata nebbiolodipendenza mi ha portato a navigare tra Langhe, Roero e Valtellina (nonché zone più marginali, come oramai sapete…): tutte espressioni diverse di un vigneto che ti appaga, sempre, ma non ti sazia, mai. Ed in Valtellina ho sempre ritrovato l’eccellenza espressiva in due grandi vini: lo Sforzato 5 Stelle di Nino Negri ed appunto il Fruttaio di Rainoldi. Potete immaginare come siano brillati i miei occhi quando la comanda è stata lanciata, colma di sicumera ed un po’ di tracotanza, da parte di R.R.: è evidente che questo Sfursat sia un monumento per tutti gli amanti del bere bene.

Rosso rubino di profondità abissale. Profumi mai domi, che continuano a cambiare e rincorrersi: lo spettro olfattivo è impressionante. Difficile definire una complessità non arginabile che va dal frutto rosso e nero di bosco (fragolina, mirtillo, lampone) per poi trasformarsi in una dolcissima mora di gelso, per poi ancora andare su note terrose, di fungo essiccato, di tabacco e probabilmente di cuoio toscano. E la ruota del pavone continua a girare, e la nostra capacità percettiva è finita, incapace di farsi ulteriormente impressionare. Quando scende nel cavo orale non si percepisce minimamente l’elevato contenuto alcolico, ma rimane integro, racchiuso all’interno di due lunghissimi binari di durezze che ne regolano una struttura sontuosa e granitica. Persistenza non terrena: a giorni di distanza mi pare di averlo ancora lì in bocca. Suggestione? Senz’altro! Ma R.R.raccontami il tuo Cà Rizzieri… il mio è stato, come sempre, indimenticabile.

d.c.

CCCLXXXIII

Roverone 2014. Colline del milanese igt

Vino da tutti i giorni, ma che ricerca una correttezza di impostazione non banale. L’uvaggio di tre uve diverse (Barbera, Croatina e Merlot) regala profumi di tradizionale “vinosità”, senza mai però scadere nel rustico. Le note sono fresche, di frutta rossa croccante al morso, ovvero di fragola non ancora dolce. Mi attendevo un apporto erbaceo, in realtà assolutamente assente. Certamente di non impressionante complessità, anzi fa della sua sottigliezza la cifra di maggior godibilità nella bevuta. Sottigliezza che si trasmette anche al palato, dove si presenta ancora “duro” nonostante i quattro anni di maturazione. Persistenza coerente alla tipologia del prodotto che non vuole stupire, ma, credo, accompagnare il pasto quotidiano lasciando certezze.

d.c.

CCCLXXXII