L’incontro

È necessario che ogni tanto (ahimè troppo raramente) i tre pazzi di questo blog si incontrino per affinare il potente strumento di ricordi che è Wine top blog, ma come al solito era così tanta la voglia di vedersi e di raccontarsi che del blog non abbiamo neanche parlato: peggio per tutti noi! Dovremo necessariamente rivedersi. Ma non è stato vano l’incontro: la buia notte è stata illuminata da una stella…

Clos de Coulaine, Chateau Pierre Bise, Bealieu sur Layon, appellation Savennières controlée, siamo nei pressi di Anjou sulla Loira: Chenin Blanc in purezza. Vendemmia 2013.

Non credo che nessun vigneto in Italia produca uve da cui si possa produrre vini dalle caratteristiche simili allo Chenin blanc, unico per espressione, imparagonabile per caratteristiche. Oro alla vista, tale da far presumere una maturità che invece non ha assolutamente. Al naso detta linee minerali, e poi sensazioni verdi ed agrumate: ma è la stupefacente capacità di trasformarsi via via che prende temperatura la nota che più impressiona. Il bicchiere continua a migrare, ora vegetale, ora fruttato, ora pervaso da nette sensazioni floreali, poi di nuovo nettamente pietroso e minerale fino ad una sensazione di tessuto immerso in ammorbidente, ma non per questo distintamente aromatico. In bocca è tagliente, citrino, un preciso rasoio: rapido ad incidere ed a scorrere, per poi sfruttare la retrolfattazione ricomparendo come agrume. La mineralità al naso è sale in bocca. E tale sapidità illude la persistenza, di per sè non lunghissima.

d.c.

Oro liquido, ma la presunzione di dolcezza ovvero ossidazione viene smentita già solo avvicinando il naso al bicchiere.


…i vignaioli anche qui si devono sentire “liberi”…

Più verde che gialla!

Ribolla gialla 2015 Vigne Orsone, da Cividale del Friuli, prodotta da Bastianich, all’interno del disciplinare dei Colli Orientali del Friuli. Fresca, agile, giovanissima, mai impegnativa: naso non troppo intenso, su note più vegetali e minerali che fruttate (da qui il mio titolo), in bocca scorre rapida, supportandosi su una buona dotazione di acidità ed una discreta sapidità in uscita. Dotazione alcolica non impegnativa (12,5 vol.). Vino da battaglia e di pronto consumo.

d.c.

Ascoltare le stelle sulle sponde benacensi

Neanche un ettaro impiantato con l’autoctono Groppello Gentile per una cantina che ha fatto della biodinamicità la sua bandiera fin dalle origini. Coltivato in zona Picedo sulle colline che si tuffano nel basso Benaco bresciano, con esposizione da manuale. Probabilmente non il vino di punta, ma sicuramente il prodotto che meglio degli altri può dare la cifra del livello di tecnica raggiunta in termini di allevamento delle viti e dei vini derivanti.

E la “gentilezza” del Groppello qui si sente tutta: pur essendo un vino giovane (2015) la sensazione di equilibrio generale è data dalla “misura”: è misurato in tutti i suoi parametri. Profumi freschi di piccoli frutti rossi, viole ed una lontana rosa appassita, ma mai nè troppo intenso nè tantomeno complesso, ma immediatamente piacevole. Buona struttura acida, ma la sensazione più netta in bocca è una fruttuosa rotondità, una dolcezza di frutto gradevole e abbastanza persistente, tale da richiamare il sorso successivo, anche perchè il tenore alcolico non eccessivo ne concede una buona gestione. La caratteristica principale di questo vino, e che lo caratterizza alquanto dai vicini Groppello più muscolosi in tutte le loro espressioni, è proprio questa “dolcezza” non in termini di dotazione zuccherina, ma di soavità delle percezioni… alla faccia di quelli che pensano al vino biodinamico come portatori di “puzzette”.

Garda classico doc Groppello (gentile) 2015,  Azienda agricola biodinamica Le Sincette Brunori srl, Polpenazze del Garda.

d.c.

Etichetta strepitosa, ricorda nobili origini bordolesi: siamo sulla Mappae Mundi.


Le informazioni direttamente sull’etichetta nella “spalla” destra.


Per chi non avesse capito siamo in uno dei posti più belli al mondo… il Benaco!


Il Groppello nel suo colore più vivido possibile: rosso rubino da “libretta”.


Biodinamicità e rispetto del territorio: il messaggio declinato con metalinguaggi.


L’eleganza della bottiglia (finita), la tristitudine di un bicchiere (vuoto),

Affumicato ? Povere creature

Povere creature i miei figli! Abituati fin dalla nascita ad avere un papà (ma anche una mamma) che si avvicina con un rispetto religioso ad un bicchiere di vino, trattando le bottiglie come dei piccoli idoli, con tutte quelle mimiche (anche piuttosto buffe) nella fase di olfattazione del bevante, e quel piacere tangibile che si legge ovunque mentre ci si abbandona con godimento all’oblio della persistenza. Povere, ma curiose le mie creature, che fin da piccole, evidentemente per scimmiottare (e contemporaneamente corrispondere alle attese, come solo i bambini sanno fare…) quel babao del loro babbo, richiedevano di avvicinarsi con il nasino al bicchiere per “ascoltarne” i profumi (ecco dove arrivano le suggestioni dei padri…).

Forse mi sto solo illudendo di trasformare loro, un giorno, nei più grandi sommeliers dell’intera galassia, od anche solo condurli verso una cultura, spero di consumo consapevole,  del vino. Fatto sta che ieri sera, celebrando per la non numerabile volta, la stappatura di una bottiglia ed il rito della degustazione, il mio piccolo Alessandro è uscito alla prima olfattazione con uno strabiliante… “affumicato”…. come affumicato Ale?… è difficile la sensazione di affumicatura di un vino…. Ale….fermati alla ciliegia, alla mora, al mirtillo… ai profumi facili… No, ha proprio ragione lui! È proprio quella la sensazione caratterizzante il ventaglio dei profumi: una leggera nota di affumicatura che si ricava dopo tutto il passaggio del cestino rosso del fruttivendolo. Concedetemi la commozione.

“Valpolicella blend”: così è definito il nobile assemblaggio veronese dalla letteratura anglosassone: Corvina veronese (o Corvinone) al 65%, Rondinella al 30% e Molinara al 5%. Gli Allegrini di Fumane non hanno bisogno di note, rappresentando oggi i più importanti ambasciatori della denominazione nel mondo. Questo è il vino base della cantina, ma signori che vino! Acquistabile facilmente sotto i 10 euro, saprà esservi compagno fedele in una bella serata. Facile, immediato, fragrante, ma non per questo banale, anzi di una complessità e struttura da premium wine.  Dei profumi vi ho già raccontato. Entra “rosso” e rotondo in bocca, senza eccessi: ma l’acidità è rilevante, e l’alcolicità non indifferente (13% vol.). E la gioiosità del cestino di piccola frutta rossa torna negli aromi della retrolfattazione, aderendo al cavo orale senza fuggire. Sfuma in chiusura su una nota verde di giovinezza, nonostante oramai 3 anni di cantina.

d.c.

Tutto è volutamente elegante, classe e stile di una cantina straordinaria.

La retroetichetta … what else?…


Solo dalla granatura del sughero si può intuire la classificazione umile del prodotto… ma solo dalla granatura !


Rosso rubino da libro scolastico… più che rubino… burma.



Ultimo ricordo della nostra bottiglia… au revoir.


Tappo a vite…

Trebbiano d’Abruzzo doc 2015, prodotto dalla Collina biologica Cirelli di Manopello (Pescara). Fresco, fragrante, dalle piacevoli note erbacee (erbe di campo) e da un netto profumo di mela verde. Mai troppo intenso, mai troppo complesso, ma della giusta franchezza e semplicità. La sensibile spalla acida ed un tenore alcolico limitato ne invitano la beva. E dagli aromi ritorna tutta la vena di gioventù, di un vino che ricorda l’estate, ma con i colori e profumi di un alpeggio montano. Da agricoltura biologica. Da consumarne senza inibizioni…

d.c.


La retroetichetta: c’è scritto tutto quello che serve!


Giallo paglierino, molto luminoso e… verde.


La particolarità più interessante: tappo a vite, ma naturalmente integrità garantita del prodotto.


Per chi non avesse capito che la coltura è biologica in senso fisico ed “etico”…

La fortuna di chiamarsi…Paolo

Credo percorribile la parodia della celebre commedia wildiana: non so se sia veramente così fortunato portare quel nome (o meglio Paolone), ma è sicuramente una buona dotazione di sorte avere il soggetto evocato (silente motore e promotore di queste chiacchiere) tra i nostri compagni di viaggio. Non mi soffermerò su un trattato “de amicitia” , che annoierebbe anche lo scrivente, ma vi rappresenterò dove è finita questa volta la sua irrefrenabile curiosità…

Ho già raccontato come il sottoscritto ami i vini vecchi ed i vini strani, ed in quanto a vini strani Paolo(ne)  ne è uno scopritore incredibile: ad ogni suo sovente viaggio è capace di stupirci con produzioni, non solo irritracciabili, ma soprattutto mai degustate.

Questa è la volta di un vino salentino bianco a base di Fiano b. (???) e Malvasia (puntinata?). Prodotto da Vini Menhir, nella magica e misteriosa Minervino di Lecce. Nonostante un indirizzo internet riportato direttamente in etichetta, il sito molto moderno e molto scarno non aiuta a svelare alcun dubbio. Quindi un Salento IGP del 2013, di sorprendente giovinezza: colori  di un giallo paglierino tenue tendenti sinamai al verdognolo. Profumi di fieno appena falciato, erbe aromatiche, frutti a polpa chiara, di notevole ampiezza di spettro ed intensità. Gusto di grande freschezza iniziale, di una sensazione calorica, in realtà non sorretta dal volume alcolico limitato, e da una piacevolissima uscita che lascia ricordi dolci, pur non avendo alcuna impostazione zuccherina. Ma è la sapidità che impressiona e che sorregge tutta la struttura del vino. Chiaramente con sensazioni tattili differenti, sembra ricordare la dolce salinità della carne cruda dei gamberi rossi salentini. E ritornano note gialle di frutti non ancora maturi, e di erbe aromatiche assaggiate nel prato. Di giusta persistenza. 

Un bicchiere straordinariamente diverso. Vi assicuro che di vini ne provo ed assaggio molti, ma questo mi ha dato sensazioni e gusti totalmente nuovi. E laddove c’è la novità, non necessariamente vi è il pieno ed immediato appagamento. In realtà è proprio la novità che richiede un prossimo ripassaggio per percepirne a pieno i valori.

Peccato per voi, che non avete Paolone…

d.c.

Bottiglia modernissima, elegante, frutto di un progetto di marketing di altissimo livello.


Etichetta a fascia che abbraccia a 360 gradi la bottiglia, con giochi di trasparenze e scritte nel lato interno ( chissà mai perché “sale”…).


…marchiatura ad 1/4 di giro…


Retroetichetta in continuum girata in verticale.


Tappo esclusivo, a grana di sughero un po’ più grossolana, dando sensazione di maggiore friabilità. La tenuta del vino però era perfetta, come ho raccontato, addirittura “verde”.

Prometto: non lo faccio più!

È dalle piccole cose, e dai loro dettagli, che si denota la qualità della propria attività. E proprio a testimonianza della gestione principiante dello scrivente, denuncio il mio mea culpa in relazione ad un recente incontro, sicuramente positivo, ma ahimè non certificato dal dovuto (a parer mio) corredo fotografico. Ed a farne le spese, questa volta (in passato sono stato talora salvato dal mio angelo in terra…) un decisamente valido Curtefranca Rosso prodotto dalla straordinaria (loro si per qualità dei prodotti) e stilosa cantina Cavalleri.

La scelta di un Curtefranca si inserisce nuovamente nel percorso (iniziato pochi mesi ed articoli fa) di ritorno a vini dimenticati dallo scrivente, pur rappresentando i vini a noi più vicini, geograficamente parlando.

Al nostro cospetto è comparsa l’annata 2012. Subito una particolarità: il sito ufficiale ne traccia una condizione di non rintracciabilità in cantina a causa del suo completo esaurimento. Si comunica che l’imbottigliamento è avvenuto nell’agosto 2014. Forse proprio per l’elevato gradimento della vendemmia (probabilmente andata “a ruba”) il produttore è stato costretto a procedere all’imbottigliamento dell’annata seguente (2013) solo 9 mesi più tardi (aprile/maggio 2015). Ed in effetti il vino che abbiamo degustato è apparso assolutamente equilibrato, piacevole, ma ancora significativamente giovane: nel solco del modello bordolese con quote predominanti di Merlot (50%) su Cabernet Sauvignon (30%) e complemento con Cabernet Franc (20%). Nessuna nota verde nè al naso nè al palato, anzi una gradita predominanza di piacevoli frutti rossi. Il passaggio in legni, per quanto soprattutto grandi, non ha lasciato ricordi. Acidità forte, piacevole, sgrassante per un ideale abbinamento alla cucina locale bresciana.  Giusta persistenza e nessun eccesso alcolico. Ed il tutto in una bottiglia al costo ben inferiore ai 10 euro. L’unico difetto? La oramai sancita rarità.

d.c.

L’insostenibile leggerezza del nebbiolo

Ci fu un periodo della mia vita, in cui, utilizzando una felice espressione coniata da grandi degustatori, mi definivo nebbiolodipendente. Effetto di questo mio maniacale innamoramento: una serie di “ciocche” da antologia, e l’accaparramento di decine e decine di bottiglie, proveniente da zone diverse, a base di nebbiolo.È risalente a quell’epoca il nebbiolo valtellinese sacrificato per la cena a base di pizzoccheri a casa di vecchi amici.

Credo che solo i vini da uve nebbiolo sappiamo invecchiare assumendo un’impareggiabile vena di aristocraticità eterea: la stessa affiorante con impeto cavalleresco da questo Inferno Valtellina Superiore 2006 docg della straordinaria Nino Negri spa di Chiuro. Profondo ed al contempo leggero come un’amicizia di vecchia data, delicato ed avvolgente come una sensuale carezza, tagliente e caldo come il ferro della spada: questa è la fotografia del compagno di viaggio incontrato.

Già in fase di raggiunta maturazione, naso giocato su evolute note terziarie di cuoio, tabacco, cioccolato nero di Modica (di cui magicamente ne percepisci la polverosità). Non ha perso toni di freschezza, ma il gusto è affascinato dalla setosità del tannino. E tornano aromi di frutta matura e cacao, infiniti.

 d.c.

Controetichetta ed etichetta provati dal tempo.


Ma tappo perfetto.

Povero Anacleto

Potrebbe sembrare il titolo di una novella pirandelliana, ed invece è la sintesi dell’esperienza odierna.


Anacleto: metodo classico da uve chardonnay, 30 mesi sui lieviti da un millesimo 2011 con sboccatura generica 2015. Tutte caratteristiche che possono identificare  un prodotto di punta della cantina, nella fattispecie la Cantina Bonelli in Rivergaro.



Bottiglia ed etichettatura semplice, ma non per questo non eleganti.

Tappo non generico, anzi ricercata l’iniziale caratterizzante.



Giallo paglierino tenue con note di gioventù, nonostante qualche anno sulle spalle… perlage non intenso ma sicuramente fine.


Sembrerebbe tutto perfetto, se non fosse che…TAPPO!!! Un tragica infestazione da tricloroanisolo!  Peccato… 

Concederemo in futuro al buon Anacleto la giusta rivincita.

d.c.

Amarcord

È oramai un passato lontano. Partecipavo, immeritatamente, ad una “calotta” composta da degustatori prestigiosi per fama e preparazione, tra le più professionali mai incontrate in terreno Italico. A quel gruppo straordinario tornano i miei pensieri ed i miei ricordi, e la malinconia che non sarà più possibile ricostituirlo. Del loro sapere mi sono nutrito, con la loro esperienza sono cresciuto, di tutti loro miei insuperabili maestri. A quel gruppo di pazzi appassionati sono legate degustazioni irripetibili reiterate con la disperazione di ricercatori insaziabili. Ed intorno a quel tavolo di degustazione, nascosto in un classico retrobottega di provincia, si sono stappate bottiglie introvabili, assaggiati piatti quasi esoterici, emozionati da poesia e letteratura: tutti gli ingredienti perché si compissero volontari riti misterici. È ad uno di quegli incontri, forse il più strabiliante, che va il mio ricordo di questa sera. E così cercherò in futuro, per puro piacere personale, di ricostruire quegli appuntamenti e magari ricordare qualche dettaglio, sicuramente i vini incontrati.

Solo per la vostra invidia…

Era una domenica di fine autunno del 2009; tema della magia erano i Premiers Grand Cru Classé di Bourdeaux: tutti in una volta…Ma la follia non finì ahimè li!

Questa la sequenza dei vini: Chateau Latour 2001, Chateau Mouton Rothschild 2001, Chateau Lafite 1997, Chateau Margaux 1996, Chateau Haut Brion 1989. Già questa serie avrebbe potuto far vacillare la tenuta psichica di qualsiasi appassionato, ma noi no! Non ci fermammo. 

Perchè passeggiare solo su una riva della Garonna? C’era, nascosta nascosta una scatola di legno con 2 bottiglie di Chateau Cheval Blanc 1996: la prima, alla stappatura frizzò, e ricordo come ci guardammo tutti quanti, con una nota di sorpresa ed un pò di delusione, ma tanta curiosità. Dopo la dovuta ossigenazione, vi assicuro che incontrammo un vino straordinario. Ed allora quello che dimorava ancora in cantina? Di questo la stappatura fu perfetta, e non ho parole per raccontare come sia su quella bottiglia  stampato il ricordo del più grande vino rosso che abbia mai bevuto nella mia vita: tuttora le suggestioni di quel incredibile St.Emilion mi coinvolgono.

Ma potevamo fermarci lì? La classificazione del 1855 imponeva la chiusura con il Premier Grand Cru Superieur: Chateau d’Yquem 1996.

Il knockout era compiuto: inumano riprendersi…

Manca solo l’ultimo elemento: insieme a quei pazzi, c’era uno chef, anche lui magico, che accompagnò ogni vino con un piatto dedicato. Ho accennato prima a piatti esoterici: il signature dish fu un incredibile “beccacce alla Mitterand”, ma di queste racconterò un’altra volta…

d.c.