La riflessione verso cui oggi voglio condurvi mi viene suggerita (suo malgrado) dall’assaggio di un vino semplice semplice: ho incontrato il Tramoser, un Venezie Bianco Igp dell’ azienda agricola Faccioli di Sona (Vr): vendemmia 2014. Da uve bianche (… Nulla più si ricava dalle schede tecniche sul vino recuperabili sul web… Mi gioco Garganega, Trebbiano e forse Trebbianino, ma scommetto su una quota di Pinot grigio) e lavorazione del mosto in acciaio. Evidentemente la denominazione è, come si diceva un tempo, “di ricaduta”, ma il prodotto è deboluccio: un bel giallo paglierino con chiari riflessi dorati, profumi per niente banali, con un bello spettro di complessità su note di frutta gialla matura ed una nota iodata però che sarà la fonte di tutti i miei dubbi. In bocca la cremosità dolce da crème brûlé sovrasta la spalla acida e sapidità e quella nota iodata già rintracciata dall’olfatto è per me sintomo di un processo degenerativo di ossidazione. Tutto il resto poi è calore apportato da una sostenuta dotazione di alcool (13%). Ricorda esattamente i vecchi vini vecchi da osteria… Ma è un 2014!!! Come pensare che la tecnologia di oggi porti a vini (destinati ad un mercato da “bottiglia”) di obbligato pronto consumo? La denominazione di ricaduta, anziché donare libertà e fantasia di produzione, dona ancora la libertà di scaricare i residui produttivi? Quale il mercato per questi prodotti, se non nell’ambito”localissimo” ?
d.c.