Un caldo pomeriggio lavorativo piacentino; la volontà di distrarsi con due amici andando a fare, come dei ragazzini, i tuffi nel fiume. E poi incontri amici di vecchia data, gente che non hai mai conosciuto ma che dopo poche parole capisci di avere molte cose in comune ed una serata da condividere: pochi bicchieri della divina bevanda per scoprire che il vero fiume siamo noi… Con 40 oppure 50 od addirittura 70 anni da raccontare in un effluvio senza fine. Che importano le note organolettiche di fronte ad un ricordo così bello oramai impresso nella nostra memoria? Poco importa se Grand cru or seulment Premier, vi assicuro assolutamente i migliori!
I primi tre sinceramente semplici, corretti, uno di questi anche banale. Poi, già carichi, il mitico Pinot menieur in purezza di Egly Ouriet “Les Vignes de Vrigny” Premier Cru, riconoscibile per la sua “rusticità”, ma anche per la sua naturale purezza, tra mille. È un vino che amo moltissimo proprio per la sua originalità tutta incarnata nel solco della tradizione: dopo esclusivi Chardonnay e Pinot noir, tutti Grand cru e dal prezzo paragonabile ad un gioiello evviva evviva l’umile, ma generoso, Pinot “mugnaio” tanto bistrattato, ma tanto buono e ruspante (come dopo tutto siamo noi…) nonché no so expensive. (Nota tecnica “passage en cave” 46 mesi; degorgement Maggio 2013).
Chiusura con un altro Champagne della tradizione: il Cramant per antonomasia, Blanc de Blancs Grand Cru Lilbert-Fils. Anche questa, come mia abitudine, era una bottiglia dimenticata in cantina: alla classica struttura acida si affianca un frutto dolcissimo, riportando a memoria l’idea che mi sono fatto degli Champagnes delle origini: in bocca una leggera nota ossidativa trasforma questa dolcezza finissima in miele, corroborando le mie convinzioni…
d.c.
FANTASTICO….